Wolfgang Goethe.
Nonostante
non avessi sentito pronunciare il suo nome, durante i cinque anni delle scuole
elementari (1944-1949), anzi, dei sei anni dato che avevo ripetuto la prima
classe, e nemmeno nei quattro anni delle famose Scuole Aziendali della Larderello
SpA (1951-1955), mi avvicinai precocemente agli scritti di Wolfgang Goethe,
attraverso un volume della Utet, anni ’30, Urfaust, al quale feci seguire, sempre nella stessa collana dei
Classici Stranieri della Utet, il Faust, successivamente riletto in una
traduzione più moderna di Barbara Allason. E per questa opera titanica mi sono
impegnato nella lettura e rilettura fino ad oggi che sono vecchio, sfruttando
di tanto in tanto le mie modeste conoscenze della lingua tedesca. E così,
vennero il Werther, il Guglielmo Meister, le 50 Poesie, tradotte da Diego
Valeri, nella bellissima edizione della Sansoni, fino ai recenti quattro volumi
dei Meridiani e “Vita poetica, opere
scelte” nell’edizione de Il Sole 24 Ore dedicata ai grandi poeti. Come sappiamo
Goethe ci ha lasciato circa 2000 poesie! Un numero impressionante di testi che
vanno dal sublime al mediocre e occasionale. Ci ha lasciato anche molti
Epigrammi, e, Motti e proverbi. Mi ripropongo di esaminarli tutti per
arricchire, ed alzare di tono, il mio Dizionario dei proverbi, soprattutto cercando
quelli a più spiccato carattere passionale e licenzioso. Sono contento di
conoscere Carlsbad e Marienbad, luoghi amati da Goethe, anzi quelli dove l’inesausto
amante, s’innamorò all’età di 72 anni della
graziosa Ulrike, figlia diciassettenne di una amica di Goethe, che sembrò ricambiarlo, ma di fronte alla
proposta di formale di matrimonio (dato che Goethe era vedovo) e al vasto
mormorio di disapprovazione dell’ambiente frequentato dal poeta, la proposta
non ebbe risposta e cadde nel vuoto. Dopo l’ultimo incontro con Ulrike a
Carlsbad, durante il tragitto di ritorno in carrozza, Goethe compose una delle
più belle liriche del suo immenso canzoniere: la Elegia di Marienbad nella
quale si leggono questi versi nei quali il “superuomo” si fa più umano:
Per
me tutto è perduto e anch’io per me stesso,
io
che finora per gli Dèi ero il beniamino…
Cinque Epigrammi Veneziani di W. Goethe.
72) Fossi una donna di casa, provvista
del necessario,
sarei fedele, e contenta d’abbracciare
e baciare il mio uomo.
Così mi cantava a Venezia, tra altri
stornelli triviali, una sgualdrinella,
e non avevo mai udito una preghiera
più pia.
84) Divino Morfeo, invano agiti i
dolci papaveri;
gli occhi miei restano aperti se non è
Amore a chiuderli.
85) Tu ispiri amore e desiderio; lo
sento e ardo.
Adesso, adorata, ispirami fiducia!
92) Dimmi, come vivi? Vivo! Fossero
cento e cento
gli anni concessi all’uomo, vorrei il
domani come oggi.
98) Povera e spoglia era la giovane
quando la conquistai;
allora
mi piacque nuda, come anche adesso mi piace.
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