lunedì 6 febbraio 2017




Le immagini  furono scattate con una Nikkormat su pellicola  e sono raccolte in un album. La loro riproduzione casalinga è pessima, ma l'insieme dell'album bellissima. Partenza in tre con Ibiza nella notte tra l'8 ed il 9 luglio 1988, ritorno nella notte del 2 agosto. Km. percorsi  in auto 10.603. Il primo giorno da Castelnuovo a Lauf in una notte quieta e calda. Tappa alla locanda  "I tre orsi neri", km. percorsi 918. Il giorno seguente arrivammo a Lanshan, Km. 715, con cielo azzurro e temperatura fresca. Si pensa al Nord, ancora lontano...








A Capo Nord.
  

Nell’agosto 1988, a bordo della mia piccola auto, ho compiuto il terzo tour in Scandinavia, il più emozionante ed oggi ne do’ notizia perché a distanza di quasi trenta anni, due giovani italiani si aggregarono a noi nel tratto finale. Uno di loro si chiamava Mauro.  Oggi, siamo diventati amici su FB! Il mondo s’è fatto, per certi versi, più piccolo. Mauro ha sposato una bellissima donna di Praga, ha due figli splendidi, e non solo perché è aviatore, gira il mondo. Ma Praga e la Boemia sono nel suo cuore, ed anche nel mio. Sono felice di averlo ritrovato ed anche di vedere le sue splendide fotografie, come quella del Ponte Carlo innevato. A distanza di anni ripercorro con la memoria il lungo viaggio nel Nord, in quelle terre dalla strana forma d’orso che tanto mi avevano incuriosito guardandole sulla mappa appesa nell’aula delle scuole elementari. Un viaggio intenso, indimenticabile, che non potrò ripercorre se non nel ricordo e nella fantasia, anche sé non potrò mai cancellare  l’impressione più profonda e durevole che è rimasta in me, quella del predominio della natura, nei suoi multiformi aspetti di acque, nevi, ghiacci, selve, rocce, cascate e cieli aperti su orizzonti sconfinati, e luce che in estate pare eterna (e poi viene il regno delle tenebre, per mesi, a sottolineare questo antico dualismo che è in tutte le cose, Dio-Demonio, Morte-Vita, Ebbrezza-Malinconia…), e nemmeno quella della fissità senza tempo di antichi giorni d’infanzia, che più corrispondente all’anima profonda di queste terre. Lassù il segno dell’uomo altro non è che una lieve scalfittura sul corpo immenso, ed anche dove esso appare più netto e profondo si avverte tutta intera la fragilità, la provvisorietà. Basterebbe una minima diminuzione della temperatura delle acque marine perché la sua presenza fosse nuovamente respinta dalla banchisa e dalle tormente…in ogni caso, è l’uomo che deve adattarsi all’ambiente, amarlo, propiziarselo per non soccombere. Ed è forse in questa estrema sintesi, in questo continuo rimando alla conoscenza di noi stessi che procurano le grandiose forme dell’ambiente esterno, che hanno origine le malinconiche e struggenti visioni di inutilità e transitorietà e gli eccessi più sfrenati di gioia e voglia di vivere, come ci rivelano le magistrali opere di Munch, di Ibsen e dello scultore Vigeland al Parco di Oslo. Si viaggia per migliaia di chilometri entro sconfinate foreste, laghi e pianure al Sud e poi per monti modellati dalle glaciazioni che paiono altissimi e sui quali si ergono piccole pietraie votive, tra i ghiacciai ed i nevai eterni accerchiati dall’effimera fioritura di erbe artiche, in nebbie veloci e improvvise che nascondono il precipitare di acque bianchissime in gole profonde, verso fiordi sottili e intricati come scritture runiche, che portano chiese e barche, luce, ciliegie, fragole, mele, colore e vita quando meno te lo aspetti e già disperi di trovare un rifugio e gente ospitale. E poi la chiara notte senza luna e senza stelle, con il carillon dei campani dei greggi erranti su rocce aspre o stranamente rotonde dipinte dal vento e dai licheni, pecore e renne e alci e le altre invisibili presenze fra magia e realtà che da un immemore tempo sognavo, il tempo, anch’esso magico e fiabesco, di quando in pace entro noi stessi si stava, senza paura dell’universo amico.

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