Follonica.
Il mare, lo vedevo laggiù,
lontano, stretto tra due nere colline, luccicare d’oro e sangue, mentre
stringendomi nel logoro pastrano, spingevo dal monte tra boschi e tratturi, il
gregge per la mungitura. Non avevo paura, e già molti segreti del mondo sapevo.
La nonna mi diceva che quello era il mare. Come il serpente, mi spogliai della
primeva pelle, scesi nel borgo di pietra, serrato come il mio cuore, allo
sguardo arditi monti, ma non si scorgeva più il mare. La prima volta che lo
vidi ero già un uomo, e il mare era ancora
cangiante e profondo, ed anche salato e canoro. All’ombra di consunti
graticci assaggiai, su consiglio del mio babbo, il cacciucco e a seguire una
frittura mista accompagnati da un vinello leggero. Su quella mitica rombante Mivar
125 Sport ci ritornai più volte, mai sfidando il destino ai Rondelli, come se
l’Aurelia non esistesse, perché la vita
mia valeva. Certo, non potevo vantarmi con gli amici del Bar Sport, di aver
osato. D’altra parte son sempre stato timido, non lo nego. Follonica era un
piccolo borgo di un mare senza porto, gente umile, case mangiate dalla
salsedine, vicoli stretti e puzzolenti, e la gora che trascinava i veleni di un
sugherificio a Senzuno. Bottegucce buie, e tutte le donne, anche le vecchie, si
mostravano impudiche a noi montanari. La spiaggia stretta tra le maree e la
casupole, odorava di folla e d’olio abbronzante, e al di là, la prima e poi la
seconda secca, oltre la quale dondolavano alcune barchette dei pescatori.. Ero
giovane e forte, e dell’acqua non avevo paura. Mi arrischiavo ben oltre
l’ultima secca, e rientravo alla riva
felice. Non cercavo l’amore, non sapevo nemmeno bene che cosa fosse, e con precisione non saprei descriverlo nemmeno
adesso che son vecchio, però l’ho sempre avuto a lato. Ci son ritornato
stamattina, adesso tutto è cambiato là, come è cambiato il mondo intero, e come
anch’io sono cambiato. Il passato non ritorna e non deve ritornare, dal nuovo è
meglio stare in guardia. Mi son fermato su una piccola duna a studiare i pigri
movimenti di un rettile smeraldino uscito dal letargo, ascoltando l’antica voce
delle onde leggere e il grido dei gabbiani.
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