Lo stupore del melo selvatico nato sull'aia di un antico podere, quando si trebbiava il grano battendolo sull'ammattonato (circa 1880), nel suo manto fiorito, e il piccolo e solitario ranuncolo che proprio in una fenditura dei mattoni è sbocciato. Due simboli, non troppo misteriosi, del tempo pasquale. Ed a una Pasqua lontana, della mia inquieta giovinezza, dedico un canto dell'età fiorita:
Pasqua [
C’erano la stessa aria densa e calda di
primavera,
la pigrizia del mattino e i petali perlacei
dei ciliegi
che cadevano lenti nel piccolo giardino;
c’erano, ed ora non più, le note della
fisarmonica
ammiccanti e tenere, i sorrisi delle donne
nelle piccole
stanze di legno, odoranti d’antico;
c’erano gli occhi innocenti e civettuoli
delle acerbe
compagne di scuola, nel vicinato raccolto,
nell’intreccio
di voci amiche;
c’era nel petto un sommovimento profondo,
un tendere indefinito all’orizzonte
ancora
bianco di neve, un’ansia sconosciuta
nel primo risveglio d’amore, e l’attesa di
lei;
lei, la grazia sempre nuova, leggera,
liquefatti smeraldi
tra pagliuzze d’oro, frutti acerbi ammiccanti
in vaporosi
ricami, melodia delle sciolte campane
nell’incedere flessuoso.
Altro non c’era, per me, in quel santo
giorno,
in quella resurrezione misteriosa che mi
lasciava sbigottito.
Nessun commento:
Posta un commento