giovedì 10 aprile 2014




Dante Alighieri

Sommerso dalle “novità” ritorno alle letture antiche. Dante Alighieri e la sua divina Commedia. Mi par di incontrare di nuovo vecchi amici, mai dimenticati, e l’emozione non manca. Mi chiedo talvolta cosa mi leghi a questo meraviglioso “congegno della mente”, una struttura imbalsamata nel secolo XIII, spesso in concetti astrusi e personaggi “finti reali”, solo per assecondare la filosofia del poeta, ma poco umani per lettori del secolo XXI°, con cantiche, terzine, endecasillabi impeccabili mentre la nuova poesia senza struttura, ritmo e senza rima nasce da una creatività disgiunta dalla biografia, non certo a scopo beatificante, ma immersione misteriosa nell’io, antidoto alla disperazione e anelito, allo stesso tempo, alla speranza. Certo, conviene meditare sulla “vana gloria de l’umane posse!” e l’oscurarsi rapido della fama, come Cimabue per l’apparizione di Giotto, oppure l’uccello (Dante) che caccerà dal nido  “l’uno e l’altro Guido”. Lo dico per me, per la mia vita dedicata alla poesia: <“che voce avrai tu più, se vecchia scindi/ da te la carne, che se fossi morto/ anzi che tu lasciassi il “pappo” e ‘l “dindi”,/ pria che passin mill’anni? Ch’è più corto/ spazio all’eterno, ch’un muover di ciglia/ al cerchio che più tardi in cielo è torto.> Ed è per questo che amo il canto solitario del “re di macchia” nella siepe. O la canzone d’una mendicante gentile che strimpella la sua fisarmonica, ignara di suscitare inaspettate  visioni nell’anima di uno sconosciuto qualsiasi.


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