giovedì 21 febbraio 2013


Io sono l'ultimo...
dal blog di Riccardo Michelucci
www.riccardomichelucci.it/resistenza

Talvolta mi ritorna l’immagine della città vuota. Stato d’emergenza assoluto. Ponti tutti distrutti. Ho un ricordo di questo silenzio più del rumore dei combattimenti. Il mio nome di battaglia era “Angela”. È stata un’esperienza, quella partigiana, dura e tragica, che ha richiesto immensi sacrifici e tanto coraggio. Eravamo consapevoli che, una volta catturati, prima di ricevere la morte saremmo passati attraverso la tortura e le sofferenze più atroci. I compagni ci chiedevano se si volesse il veleno da portare appresso. Ma io non l’ho mai preso: non lo volevo il veleno sul corpo. Però ho una soglia del dolore piuttosto bassa. Mi chiedo ancora come avrei fatto. Tuttavia penso che rifarei la stessa scelta che feci allora. (Liliana Mattei)


Nel 1952, a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli, Einaudi pubblicò le “Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana”, un testo fondamentale che raccoglie 132 testimonianze di caduti. In questi giorni l’editore torinese, nella collana Stile libero, a cura di Stefano Faure, Andrea Liparoto e Giacomo Papi, con la collaborazione dell’Anpi, manda in libreria un volume con un centinaio di testimonianze di partigiani, dal titolo “Io sono l’ultimo” (pagine 332, euro 18), a ricordare che questa è una delle ultime occasioni per raccogliere la voce dei protagonisti della guerra di liberazione, o guerra civile, se si vuol sottolineare la contrapposizione con gli italiani che scelsero di stare dalla parte sbagliata, con la Repubblica di Salò e i nazisti. Queste pagine sono il racconto corale di una generazione che scoprì i valori della libertà e accettò il rischio della lotta. Un testo importante per capire che cosa fu la Resistenza e l’ideologia che l’animò. Dopo vent’anni di discussioni attorno agli errori dei partigiani, alla strage di Porzûs come agli eccidi successivi del Triangolo Rosso, è confortante ascoltare la voce della maggioranza che combattè per la libertà e non per vendette di parte. Anche per scoprire due diversi atteggiamenti. C’è chi, come Liliana Benvenuti Mattei, detta «Angela», classe 1923, gappista di Fiesole, antepone a tutto la pietà: «Ricordo due ragazzi entrati nella Repubblica di Salò. Voi non avete idea del dispiacere. Erano morti, questi due ragazzi». E chi, come Bruno Brizzi, detto «Cammello», continua a definire «bestie» i nemici, sulla scorta di Elio Vittorini, che nel romanzo “Uomini e no” aveva definito i repubblichini «figli di stronza». Le pagine più belle non sono tuttavia quelle intrise di ideologia, ma i racconti di chi riesce a fermare una scena, un’esperienza traumatica: le torture subite da Elvira Vremc, «Katja» di Trieste, o il tentativo di Walter Vallicelli, «Tabac» di Ravenna, di salvare un soldato.



 tedesco colpito dall’aviazione alleata, dopo che lui stesso aveva sparato contro un camion nazista. (Dino Messina, dal blog “La Nostra Storia”)

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