mercoledì 3 ottobre 2012


Leopardi , il perpetuo canto.

In una recente e illuminante  introduzione ai “Canti” di Giacomo Leopardi, Mario Andrea Rigoni  si sofferma sulla visione materialistica che Leopardi aveva del mondo. Già nel 1821 Leopardi  scrive: “…la mente nostra non può non solamente conoscere, ma neppure concepire alcuna cosa oltre i limiti della materia”. Poco più tardi,  il poeta si pone una questione fondamentale. “Che cosa è dunque il mondo fuorchè NATURA?”, sulla quale riflette profondamente (Zibaldone di pensieri, pp. 1693-1694, 13 settembre 1821) affrontando il tema della poesia e della letteratura. “…Qualunque poesia o scrittura, o qualunque parte di esse esprime o collo stile o co’ sentimenti, formali o con ambedue un abbandono una noncuranza una specie di dimenticanza d’ogni cosa. E generalmente non v’ha  altro mezzo che questo ad esprimere la voluttà!” La poesia canta ciò che non esiste, ciò che è altrove, ciò che si colloca al di fuori del cerchio della terra o, comunque, della storia: i giorni primevi; la quiete inorganica; la “donna che non si trova”; il fanciullo; il selvaggio; la greggia ignara della noia; la beata, misteriosa indifferenza della luna. Illusione suprema, errore divino, è l’amore, che sembra capace di dischiudere, come la bellezza e la musica, “alto mistero/d’ignorati Elisi”: e Leopardi ne ha cantato il miracoloso potere in più luoghi della sua opera. Ma il vero e la noia (ossia il sentimento della vacuità universale) accompagnano come un’ombra funerea il sogno dell’evasione.

Canto ciò che si perde…

Nell’ombra già odorosa della sera
m’inoltro in una via senza ritorno;
miro la luna che impudica sale
tra due infelici astri, nello spazio chiaro.
Mi son compagni confusi pensieri
e onde, onde ancestrali e volti
e nomi, desideri carnali e baci
su caste labbra, fugaci immagini
d’occhi ridenti e neri.
La ragazza che incontro nel giardino
ha d’una Dea il sorriso, la voce
dolcissima d’un nascente amore.
Cosa canti, poeta, ora che il buio
ha inghiottito l’albore della tua cometa?
Canto ciò che si perde ed ho perduto:
il sacro fuoco, che imprudente
accesi già vecchio, il suo
ricordo, che ancor mi brucia. 

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