Leopardi , il perpetuo
canto.
In una recente e illuminante introduzione ai “Canti” di Giacomo Leopardi,
Mario Andrea Rigoni si sofferma sulla
visione materialistica che Leopardi aveva del mondo. Già nel 1821 Leopardi scrive: “…la mente nostra non può non
solamente conoscere, ma neppure concepire alcuna cosa oltre i limiti della
materia”. Poco più tardi, il poeta si
pone una questione fondamentale. “Che cosa è dunque il mondo fuorchè NATURA?”,
sulla quale riflette profondamente (Zibaldone di pensieri, pp.
1693-1694, 13 settembre 1821) affrontando il tema della poesia e
della letteratura. “…Qualunque poesia o scrittura, o qualunque parte di esse
esprime o collo stile o co’ sentimenti, formali o con ambedue un abbandono una
noncuranza una specie di dimenticanza d’ogni cosa. E generalmente non v’ha altro mezzo che questo ad esprimere la
voluttà!” La poesia canta ciò che non esiste, ciò che è altrove, ciò che si
colloca al di fuori del cerchio della terra o, comunque, della storia: i giorni
primevi; la quiete inorganica; la “donna che non si trova”; il fanciullo; il
selvaggio; la greggia ignara della noia; la beata, misteriosa indifferenza
della luna. Illusione suprema, errore divino, è l’amore, che sembra capace di
dischiudere, come la bellezza e la musica, “alto mistero/d’ignorati
Elisi”: e Leopardi ne ha cantato il miracoloso potere in più luoghi
della sua opera. Ma il vero e la noia (ossia il sentimento della vacuità
universale) accompagnano come un’ombra funerea il sogno dell’evasione.
Canto ciò che si perde…
Nell’ombra
già odorosa della sera
m’inoltro
in una via senza ritorno;
miro
la luna che impudica sale
tra
due infelici astri, nello spazio chiaro.
Mi
son compagni confusi pensieri
e
onde, onde ancestrali e volti
e
nomi, desideri carnali e baci
su caste
labbra, fugaci immagini
d’occhi
ridenti e neri.
La
ragazza che incontro nel giardino
ha
d’una Dea il sorriso, la voce
dolcissima
d’un nascente amore.
Cosa
canti, poeta, ora che il buio
ha inghiottito
l’albore della tua cometa?
Canto
ciò che si perde ed ho perduto:
il
sacro fuoco, che imprudente
accesi
già vecchio, il suo
ricordo,
che ancor mi brucia.
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