Questo fresco mi fa bene…
Dopo quattro, forse cinque mesi
di caldo torrido, senza una nube nel cielo e uno scroscio di pioggia, senza la
messa in scena dell’abituale passeggera burrasca nei giorni della tradizionale
“Festa dell’Unità” nel castagneto di Doccioli, a due chilometri dal paese, tre
giorni fa mi sono svegliato per andare in bagno e, come faccio sempre, ho
guardato la sveglia fosforescente, posta un po’ di sghembo sul comodino
all’altro lato del letto, ho visto il numero 7 e qualcosa dietro e mia moglie
ha detto “Stamani c’è una strana oscurità, per quest’ora!” E’, si alle sette ci dovrebbe essere il sole
abbastanza alto…e poi non si sentono rumori nella strada…”. Son tornato a
letto, ma non riuscivo più a dormire. Ho pensato di alzarmi e mettermi a
lavorare, con la mente riposata, all’indice dei nomi di un libro che, iniziato
molti anni fa, compensa in questa fase la mia abulia e aridità creativa. Ma
poi, la pigrizia ha avuto la meglio e mi son rimesso sotto il lenzuolo,
immergendomi delle consuete fantasticherie. Ma ecco il primo segnale d’allarme:
una luce accecante è penetrata nella camera da “malchiuse imposte” (avrebbe
detto Montale) e subito appresso il
rumore del tuono, una vera e propria cannonata! al quale ha fatto seguito un
tambureggiare assordante, il tremare dei vetri e lo scroscio di tre elementi,
quasi dimenticati: il fulmine, la grandine e la pioggia! Mi sono alzato di
nuovo per chiudere bene le finestre, calare le serrande, aprire la porta dello
stanzino dove dorme la gatta, agitatissima e impaurita, staccare le televisioni
e il computer…ho dato anche un’occhiata all’orologio a pile che è in cucina e
con sorpresa ho notato che erano le 5 e mezzo del mattino! L’orologio digitale
di camera era stato rimesso male, spostato in avanti di 12 ore esatte! Con
queste due ore guadagnate, tra l’infuriare del temporale, mi sono finalmente
riaddormentato. Intermezzo d’autunno al declinar dell’estate. Fa presto da noi
a venir freddo, dato che il paese, a mezza costa di un monte boscoso, è ubicato
tra i 500 ed i 650 metri
sul livello del mare. La mia casa è proprio a 600 metri di quota e
aperta a nord ed est, cioè ai venti più freddi. Adesso il tempo è variabile, la
temperatura interna è di 20 °C
e quella esterna di 17°C .
Ogni giorno piove un po’, ma ci vorranno mesi di pioggia per ripristinare il
livello delle falde acquifere, dalle quali attingiamo il prezioso liquido per
uso potabile e ridar vita al corso del torrente Pavone. Quest’anno avremo un
magro raccolto di castagne, mentre per la raccolta dei funghi c’è ancora
speranza. Questo fresco mi fa bene. Mi godo la casa, il cibo, la lettura ed
anche il lavoro. Oggi, ad esempio, ho praticamente messo la parola fine alla
bozza della seconda edizione dei proverbi licenziosi, che è passata dai 1200 ai
1800 proverbi! La vorrei chiamare “TIRA
PIU’ UN PELO DI TOPA,
CHE CENTO PAIA DI BOVI…Proverbi licenziosi ed altri motti spiritosi della cultura orale nelle Colline Metallifere e in Maremma, tra i fiumi Magra e Fiora, in Toscana, con l’aggiunta di alcune espressioni proverbiali, latine, italiane e straniere”. C’è più poesia in questi proverbi che nelle mie raccolte poetiche di sessant’anni di scrittura! Vi voglio anticipare la premessa:
CHE CENTO PAIA DI BOVI…Proverbi licenziosi ed altri motti spiritosi della cultura orale nelle Colline Metallifere e in Maremma, tra i fiumi Magra e Fiora, in Toscana, con l’aggiunta di alcune espressioni proverbiali, latine, italiane e straniere”. C’è più poesia in questi proverbi che nelle mie raccolte poetiche di sessant’anni di scrittura! Vi voglio anticipare la premessa:
“Durante
la raccolta dei proverbi sulla pastorizia, iniziata più di venti anni fa, della
quale ho pubblicato (1999), con l’amica Claudia, un primo libricino, dal titolo
“Fiorin di cacio, facciamo finta di chiamare il micio…”, ho appuntato
diligentemente tutti i motti, i modi di dire, i proverbi, e modi proverbiali,
relativi all’immaginario della sfera dell’eros che via via mi capitavano sotto
gli occhi: dall’innamoramento all’amore, al matrimonio, alla voluttà, agli
eccessi, al tradimento ed alla fiducia, alla fisicità del corpo umano, alla
trivialità dell’invettiva, così come sono stati tramandati, molte volte
soltanto oralmente, nel territorio compreso
tra i fiumi Magra e Fiora, nelle Colline Metallifere e in Maremma, in
Toscana, con l’aggiunta di alcune espressioni proverbiali, latine, italiane e
straniere. Vi ho inserito qualche proverbio più
leggermente allusivo, qualche indovinello, stornello e filastrocca, tra quelli
che mi sono parsi nostrali e originali, lasciando, in tal modo, aperto un
ulteriore spazio di ricerca in questo meraviglioso settore della cultura popolare.
Successivamente all’uscita della prima stampa privata (marzo 2009, tirata in
350 copie e contenente 1200 proverbi), molte persone mi hanno segnalato
proverbi, modi di dire, stornelli, canzoni…da poter aggiungere al testo.
Inoltre, man mano che lentamente procedevo nella raccolta, mi sono avvalso,
oltre alle fonti orali, di innumerevoli testi di autori antichi e moderni
italiani, toscani e locali, fino a quando il materiale raccolto non è diventato
così consistente che ho dovuto ridurlo
ai circa 1800 proverbi, per renderlo leggibile, scegliendo tra i modi
proverbiali, motti, detti sentenziosi,
aforismi e indovinelli., iscrizioni funerarie, sortilegi e pronostici.
Ritengo
tuttavia che la raccolta di questa rinnovata edizione, abbia soltanto aperto
una finestra sul grande universo de “li vulgari proverbi”, del quale il lettore
potrà facilmente intuire la vastità, in particolare per i proverbi regionali e
per una più attenta comparazione tra quelli dei paesi europei di cultura
neolatina e germanica ed i nostri, provenienti da un’area assai più limitata,
dalla quale siamo usciti raramente per raccogliere soprattutto proverbi e
aforismi latini, francesi, inglesi, sardi, lombardi e spagnoli, a tema generico
“licenziosità”.
Rinunciando
ad ogni commento, tanto m’è sembrato evidente il significato, manifesto o
allusivo, ho omesso l’indice delle fonti, scritte e orali, e la bibliografia,
quest’ultima davvero imponente. Mi limito pertanto a citare: il biblico Re
Salomone, figliolo di David, re d’Israele; il greco Esiodo, il divino Marco
Valerio Marziale e i due grandi del ‘500 toscano, Cinthio de li Fabrizi e
Antonio Vignali; i deliziosi detti di Bertoldo, toccando il veronese Pescetti,
per giungere ai “moderni” Giuseppe Giusti, Antonio Gotti, Gino Capponi, Augusto
Alfani, Arrigo Pecchioli ed ai contemporanei, tra i quali “nonna Zoe”,
originaria di Belforte, Siena, che ha raccolto circa duemilacinquecento
proverbi. A chi volesse effettuare confronti e verifiche, nonché
approfondimenti, segnalo: l’interessante opera di G. Pitrè, voce Proverbi,
della Bibliografia delle Tradizioni Popolari d’Italia, Torino-Palermo, 1894,
vol. V, pp. 177-257 e 464-475, ristampa CDL, Cosenza, 1965, nonché il volume
“Dizionario Letterario del Lessico Amoroso: Metafore, Eufemismi, Trivialismi”,
Utet, Torino, 2000; i lemmi specifici del Grande Dizionario della Lingua
Italiana, Utet, Torino, 1961-2004; i 5000 proverbi e motti latini raccolti da
L. De Mauri, Hoepli, 1926 e 1990, ed infine Il Grande Dizionario dei proverbi
italiani in Cd-rom di Paola Guazzotti e Maria Federica Oddera, Zanichelli,
2006, che contiene 11.000 proverbi con esclusione di quelli dialettali. Inoltre
un ringraziamento speciale lo devo a Wilma Banchi, per la quantità di proverbi,
stornelli e aforismi che mi ha trascritto con precisione.
Non
rientrava nel mio scopo eseguire un lavoro scientificamente impostato, ma
soltanto appagare l’antico desiderio di mettere nero su bianco una parte di
quel patrimonio, considerato, non a torto, “la scienza dei poveri”, così
volgare, tenero e corposo che ci accompagna nella vita quotidiana, quanto più è
nascosto nella cultura ufficiale e scolastica, onde salvaguardarne il bagaglio
di sapienza, di ironia, e di saggezza che esso racchiude. Apparirà al lettore
moderno, anacronistico e superato il misoginismo maschilista ispiratore della
maggior parte dei proverbi da me riportati, frutto di una cultura millenaria
non ancora del tutto rinnovatasi, che trasforma la donna in un mero oggetto di
piacere e di utilità domestica; una creatura inferiore di cui non fidarsi mai;
tuttavia non potevo operarne l’oscuramento; al contrario, la visione in
negativo del ruolo femminile consentirà di apprezzarne il progresso sulla
strada dell’emancipazione e della parificazione sessuale. Con le parole del
“maestro”, l’incantevole Rabelais, mi accomiato dai cari lettori:
Lettori amici, voi che m’accostate,
liberatevi d’ogni passione,
e, leggendo, non vi
scandalizzate:
qui non si trova male né
infezione.
E’ pur vero che poca perfezione
apprenderete, se non sia per
ridere:
altra cosa non può il mio cuore
esprimere
vedendo il lutto che da voi
promana:
meglio è di risa che di pianti
scrivere,
ché rider soprattutto è cosa
umana.
Si,
ridere è cosa saggia e salutare, e, come recita un antico proverbio: “Chi ride
leva un chiodo alla bara!”, ossia vive più a lungo e meglio di chi non lo
faccia. Infine, per correzioni, osservazioni e proposte di ulteriori aggiunte,
sarò contento di riceve e mail all’indirizzo: karl38cg@libero.it e in anticipo ringrazio
chi lo farà.
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