martedì 31 marzo 2020





DEL COVID19 e dei PROVERBI.


Giornata pigra, la nebbia copre ancor di più il silenzio che è calato sul nostro paesello, ma, per consolazione, sembrano migliorate le previsioni sull’andamento della pandemia provocata dal COVID19, e, a sentire gli stregoni, dopo  aprile…verrà maggio “el gonfalon selvaggio”, entrando nella fase terminale e la salvezza. Non mi angustia più di tanto il viver segregato insieme a mia moglie, alla mia gatta cieca, ai miei libri, CD, fotografie ed anche, soprattutto, al telefono, ed il mio PC ed alla connessione gratuita ad internet che ci consentono vicinanze in Italia (mie figlie e le  loro famiglie), Europa e America. Langue la creatività (ma di poeti di oltre 80 anni se ne conoscono ben pochi!), tuttavia mi diverto a proseguire nel grande lavoro avviato quasi mezzo secolo fa’, il DIZIONARIO DEI PROVERBI LICENZIOSI soprattutto raccolti nella Toscana Occidentale. Adesso ne ho registrati oltre 13.000, ma credo di poterlo chiudere con un altro migliaio esplorando i detti ed il folklore delle piccole comunità della Maremma, della Tuscia ed altri luoghi confinanti con il volterrano e le Colline Metallifere. Ho al mio attivo tre piccole pubblicazioni, due sul tema pastorizia ed uno sulla “licenziosità” (1999, 2008, 2009), ed inoltre alcune  conferenze sul tema: 2013 a Castelnuovo; 2015 a Montecerboli e Pomarance; 2017 e 2019 a Volterra. Orsù, bando alle chiacchiere! Mettiamoci al lavoro! Saluti e auguri a tutti!

lunedì 30 marzo 2020






PRIGIONIERI DOMESTICI…RIMANIAMO IN CASA!

Prosegue il tempo del “distanziamento sociale” e ormai da 3 settimane  io e mia moglie non siamo più usciti di casa! No, mi correggo, sono uscito 2 volte nottetempo per portare  i rifiuti al raccoglitore che è in fondo alla mia strada  (una cinquantina di metri di distanza, senza incontrare nessuno! E munito di guanti, mascherina, occhiali e sciarpa). Tempo di esposizione  all’aperto  non più di 12 minuti). Per la verità siamo scesi alcune volte a mezze scale per prelevare i viveri che ci vengono portati; acqua minerale, pane, frutta e verdura ecc.ecc, ed anche il mangime per la nostra gatta cieca!) Come ho già detto il nostro appartamento è ampio (110 metri quadri) e il tracciato delle due passeggiate giornaliere si snoda liberamente per 60-70 metri lineari che ripetuti x 20 volte portano ad una percorrenza  di 1,4 chilometri: tanto per sciogliere un po’ i muscoli già arrugginiti dall’età.

Niente però da paragonare ai “prigionieri” reali, né a quelli della letteratura fiabesca o della storia. A questo proposito mi permetto di mettere in mostra la copertina di un mio testo teatrale pubblicato nel 2004, tratto da un meraviglioso saggio di Bruna Peyrot “Prigioniere della Torre”, nel sud del paese, nella Torre di Costanza che incombeva sulla cittadina di Aigues Mortes e sugli stagni della Camargue nella quale le prigioniere “ugonotte”  vi furono segregate perché resistenti alla imposizione di abiurare la loro fede religiosa e convertirsi a quella cattolica, e tra loro, delle 83 donne liberate nel 1768,  ce ne erano alcune segregate da ben  41, 40. 39, 38…anni tra quelle ancora in vita. Tra queste Durand Marie, l’eroina della Resistenza al potere assolutista della Monarchia e della Chiesa Cattolica. Con l’autorizzazione  di Bruna Peyrot e dell’editore Giunti, realizzai un testo teatrale “L’arcobaleno suona ancora”, una storia d’amore…un forte messaggio per la dignità umana e la libertà di coscienza. E, dunque, cosa mai saranno  60 o 90 giorni di “prigionia casalinga”, per contribuire alla vittoria della scienza  sull’oscurità del male? RIMANIAMO IN CASA, RISPETTIAMO LE REGOLE!

sabato 28 marzo 2020





DECAMERON

Siamo nel 1348, quando a Firenze, come in altre nobilissime città italiane, “pervenne, ampliandosi, la mortifera pestilenza” che già era iniziata da alcuni anni in Oriente, tuttavia con differente maniera, deturpando i corpi con escrescenze e macchie livide o nere, che fu chiamata, appunto, “la peste nera”. Nessun consiglio di speziale o medicastro, né virtù di medicine, sembrava avesse profitto sul male. Il numero degli ammalati diventava grandissimo e solo pochi ne guarivano “anzi, quasi tutti infra il terzo giorno dell’apparizione dei segni della pestilenza, chi più tosto e chi meno, ed i più senza alcuna febbre o altro accidente, morivano”.

Il morbo si comunicava ai sani, attraverso il parlare ravvicinato, o toccandone i panni e gli stracci, o altra cosa del malato. Perciò nacquero diverse paure e immaginazioni in quelli che rimanevano vivi: in primo luogo “schifare e fuggire gli infermi e le loro cose”.  Altri si appartarono dentro la casa, altri, al contrario si dettero ai bagordi, a mangiare e bere ed altri sollazzi, anche della carne, andando di taverna in taverna e di postribolo in postribolo. Altri, invece ritennero di fuggire dai luoghi ove il morbo si manifestava, abbandonando le loro città, le proprie abitazioni, i loro parenti. Ma in ciò facendo infermandone molti altri in ogni luogo, che il male avevano addosso.

“E lasciamo stare che l’un cittadino l’altro schifasse, e nessun vicino avesse dell’altro cura, ed i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano…che l’un fratello l’altro abbandonava, ed il zio il nepote, e la sorella il fratello, e spesse volte le donne il suo marito…e li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano”.

Ed i morti, in qualunque sepoltura disoccupata si trovasse, venivano gettati, senza l’amor  d’un pianto di commiato. E per difetto delle bare i corpi venivano stesi su una tavola. E messi due o tre per volta nella cassa. E tanti erano i morti che dietro al prete o chierico, quando c’erano, e senza altri a compiangerli, venivano seppelliti.  E non bastando la terra consacrata per tutti i cadaveri si facevano fosse grandissime nelle quali i morti si mettevano a centinaia. E così, tra marzo e luglio morirono a Firenze e suo contado oltre centomila creature umane.

Come sappiamo dagli storici, in Europa le morti assommarono a circa 20 milioni, cioè un terzo della intera popolazione di allora.

E’ in questo quadro terrificante che Boccaccio innesta il suo amore alla vita ed alla speranza attraverso un breve periodo felice tra sette ragazze e tre giovani, tutti tra i 20 ed i 25 anni, i quali, sotto l’abile regia di Pampinea, ritiratesi in una casa o villa delle campagna fiorentina, si impegnarono a narrare ognuno “una storia”ossia “una novella”, secondo i temi da loro stessi scelti e così nasce quel capolavoro immortale della lingua nostra che è il Decameron, cioè l’insieme delle cento novelle a consolazione della speranza, della solidarietà e dell’amore.

Ed ora lo ricomincio dalla prima novella: “Ser Cepparello, con una falsa confessione inganna un santo frate, e muorsi; ed essendo stato un pessimo uomo in vita, è, morto, reputato per santo e dichiarato san Ciappelletto”.

Lo spunto di riaprire dopo molti anni il Decameron pubblicato da Einaudi nel 1961 nei Millenni, me l’ha dato una trasmissione di VideoregistrazioniStudium dell’Università di Siena, ascoltando una fantastica docente Natascia Tonelli!

lunedì 23 marzo 2020



Memorie Lontane.

Nell'anno 1963 iniziai a raccogliere testimonianze e memorie, attraverso interviste col registratore, di abitanti del Comune di Castelnuovo di Val di Cecina. Questi nastri furono da me trascritti, dopo il 1985, su floppy utilizzando il computer. Ed infine l'ho riordinati e sistemati, con altro materiale memorialistico, in un testo cartaceo di oltre 500 pagine, con il titolo di "MEMORIE LONTANE. Storie di gente comune per non dimenticare. Interviste, testimonianze e biografie di abitanti della Comunità di Castelnuovo di Val di Cecina".  Queste Memorie coprono un arco temporale che si snoda dal 1823 al 1963, ed hanno interessato circa 70 biografie e profili biografici. Esse sono state in parte utilizzate in alcuni dei miei lavori di storia locale pubblicati tra il 1996 ed il 2005. Nell'ambito della mia famiglia ho potuto intervistare soltanto mia nonna Enélida; della famiglia di mia moglie un nonno, Filiberto e i suoi genitori, Eny ed Enzo. Mio padre Renzo, invece, l'ho ricordato nel 1985, quando ormai era morto, con altri musicisti, nell'opuscolo "Stella d'argento. Un'orchestrina jazz a Castelnuovo (1944-1951).

1884 - Enélida Benucci

1884 - Da Salvadore Benucci (detto "Dore" o "il Brogio"), fabbro ferraio e poi operaio meccanico alla ditta De Larderel e musicante, e da Angiolina Cascinelli, nasce  nel gennaio del 1884, secondogenita di quattro figli,  Enélide, comunemente conosciuta cone Enelida o "Nélida". Dore e Angiolina, entrambi nati nel'aprile del 1859, hanno 25 anni. Gli altri figli sono: Artidoro, 1880; Italia, 1886 e Paolino, 1891. Nel 1901 Enélida parte da Castelnuovo, come altre sue coetanee, per recarsi "a servizio" presso una famiglia facoltosa. Dati gli stretti vincoli affettivi esistenti nell'ambito familiare, per permettere ad una ragazza adolescente di lasciare per mesi, se non addirittura per anni, i propri genitori e parenti e il proprio paesello, le condizioni economiche del tempo dovevano essere molto misere. Così, in un mattino sereno d'autunno, Enélida e Salvadore, montati a cassetta di un barroccio di un certo Gennai che trasportava il sal borace da Castelnuovo a Saline di Volterra, partono dal paesello natio per andare incontro all'ignoto. Hanno infatti in tasca una richiesta di lavoro come cameriera-guardarobiera da parte di una "principessa russa", sposa di un principe Borghese che viveva nella sua villa di isola del Garda. Da Saline a Verona in treno! Chissà quali pensieri turbinavano nella mente dei due al vedere così tanti, nuovi, mutevoli e lontani paesaggi di cui prima di allora avevano ignorato l'esistenza! E le stazioni delle città e le città stesse intraviste fugacemente, immense rispetto al piccolo borgo di Castelnuovo praticamente immutato da secoli! A Verona finisce il viaggio in treno e Salvadore, dopo aver visto partire la figlia su una diligenza diretta a Gardone, riprende un treno verso sud: a casa lo attendono il lavoro, la moglie e gli altri tre figli senza il cui pur modesto salario non avrebbero potuto campare. A Gardone una barca attendeva Enélida, la giovane e graziosa "servetta" toscana, dalla parlata così vivace e sonora e dai biondi e lunghi capelli, per condurla all'Isola dove sarebbe rimasta per più di due anni. Poi il ritorno, con la dote, con i vestiti dismessi di qualche nobile dama, gli aranci e i limoni colti nel giardino e un orologio d'oro. E, in più, i ricordi magici di una esperienza - quasi una fiaba - che l'avrebbero accompagnata per tutta la vita, se appena due anni prima di morire novantenne – ancora me ne avrebbe raccontato qualcuno accompagnandolo a frasi in una lingua straniera, il russo! Al paese conosce Dario Groppi, operaio e musicante, si vedono alla Messa, ai concerti ed ai balli della Filarmonica e, soprattutto, alle operette nelle quali lei canta. Si sposano e nel 1906 nasce il primo figlio, Gino. Ma la vita è dura e come tanti altri castelnuovini, Dario è costretto ad emigrare in America per cercar fortuna nelle miniere di carbone della Pennsylvania, ma ritornerà povero. Infatti teme più volte per la propria vita, rimasto indenne nel crollo di una galleria, poi assalito dai banditi sul treno che lo portava a suonare ad un concerto in una cittadina del bacino carbonifero, poi, infine, derubato dei pochi risparmi dalla "mano nera"! Con i soldi di una colletta tra i compagni di lavoro rientra a Castelnuovo dopo quasi tre anni di assenza e rivede la giovane sposa e il figlio che appena aveva visto nascere. Nel 1915 nasce il secondo figlio, Renzo, mio padre. Una vita laboriosa ed onesta; un grande amore per la famiglia; il secondo lavoro di calzolaio, specialmente ad "opre" dai contadini di Solaio, Anqua e Fosini e una smisurata passione per la musica da parte di tutti: i figli suonano il mandolino, il sassofono, il clarino, il quartino, la fisarmonica e Dario è un vero virtuoso, benché miope, conosce a memoria tutti gli spartiti delle marce e delle sinfonie e suona perfettamente. Anche Enélida ha una bella voce. Il fascismo non li perseguita, perchè pur di idee vagamente socialiste "stanno al loro posto", poi per Dario, nel 1946, all'età di 67 anni, la pensione e la liquidazione, con la quale Enélida comprerà due paia di lenzuola bianche! I figli si sono sposati e hanno messo su casa, ci sono i nipoti. Dario muore giovane, nel 1948; Enélida vive serenamente insieme al figlio Renzo ed al nipote Carlo, fino al 1974, quando si spenge senza soffrire, alla bella età di 90 anni, avendo l’ultima gioia  di vedere le due bisnipoti Tania e Barbara, figlie di Carlo e Grazia!

domenica 22 marzo 2020






Ricordo di mia nonna paterna Enélida (1884-1974).

In questi giorni senza uscir di casa, ho approfittato di aprire vecchie scatole di fotografie, di sistemarne alcune centinaia in un album, e di riporne alcune, tra le più, per me, care. La mia passione per la fotografia me ne ha fatte scattare tantissime, tutte di qualità scadente, ma riviste a più di 60 anni di distanza esse son diventate un bene prezioso!

Ne metto due o tre scattate alla donna che mi aveva allevato, la mia nonna Enélida! Tra l'altro era sopravvissuta alla epidemia "Spagnola" che fece migliaia di vittime in Italia negli anni '20 e che lei mi ricordava sempre. Tuttavia questa gravissima epidemia non lasciò un'Italia più coesa e fraterna, ma da lì a poco si scatenerà la violenza del fascismo. Speriamo che almeno questo non accada quando finalmente usciremo dal tunnel del Corona Virus!

Parlando con Paolo
di mia nonna Enélida.

Da tempo son diventato nonno,
godo dell’amor che mi circonda
e mi consola, riportandomi 
alla ricerca di chi m’ha amato,
nonna Enélida, e che, lo spero,
dal Paradiso non m’avrà dimenticato.

La rivedo qualche volta lungo
le strade dei casolari lontani, 
dove s’andava a giornata
a rammendar le vesti dei mezzadri,
o lungo i viottoli del castagneto
a far fastelli di stecchi per il fuoco,
e d’autunno a raccattar  marroni
e ruspolar tra le ricciaie
che i padroni del bosco avean lasciato,
per un manciato di arrostite
e di castroni.
                    
Si beveva alle sorgenti e nei fossi
dicendo due versetti  a Gesù
per render l’acqua pura,
mentre calava la notte
e noi ciarlieri non avevam paura,
che già filtrava tra gli alberi
il tenue lucore della luna.

A casa nessuno avevam
che ci aspettava.

Ho dormito accanto alla nonna,
fino alla primavera del ‘64,
l’anno che mi sposai, e sempre
con premura le fui  di conforto.

Detta una preghierina al nonno morto,
le davo lo strofanto
per il cuor che si fingeva stanco,
poi  l’aiutavo  a metter  la ciambella
nell’utero abbassato, per un parto
doppio, al ritorno, dopo tanti anni,
del marito dall’America. 

Abbiamo scherzato e riso
tanto, insieme, per le parole strane
che diceva, in russo credo,
per aver servito una principessa 
slava sull’isola di un grande lago.
Non eran fiabe che mi raccontava, 
e fu felice quando con Grazia
ci siamo andati, trovando i luoghi
da lei mai dimenticati.

Di politica non s’intendeva,
ma era contenta che suo figlio,
Renzo, mio padre, ed io
si dichiarasse il nostro amore
al Partito Comunista;
amava l’Unità, la cronaca nera,
Vie Nuove, e per non sbagliar
nel voto, quando sulla scheda
si moltiplicaron le falci ed i martelli,
 per quel simbolo con la stellina
che splendeva.

Da  ottuagenaria ogni tanto ripensava
al suo unico amore,  
morto vent’anni prima, e gli parlava:
 “Dario, aspettami in Cielo, io qui sto’ bene
 ho la stufa, il frigo, il televisore,
 e una donna  bella e gentile
 mi viene  ad aiutare,
 non mi manca niente, credimi amore!”

Infine, a me  diceva:
“Carlo, se mi vedi in fin di vita
non chiamarmi il prete,
perché se lo vedessi entrare,
pur senz’essere ammalata,  
dallo spavento morirei!” 

Serena se ne andò, senza soffrire, 
vicina a me che la vegliavo.
Sembrava in coma, senza respiro,
mentre la mia figlia piccina
correva per la camera, sì che la sgridai!

E allora, inaspettatamente,
aprì si suoi occhi lacrimosi e chiari
dicendo le ultime parole:
“ non la leticar, non ho più male!”   

La mattina seguente venne il medico
ed io presente le scoprì il corpo
e  le sue gambe nude, bianche
e liscie,  si ch’egli mormorò:
“sembra una ragazzina!”


Aveva attraversato la vita,
non sempre facile, con la grazia
e l’innocenza di  una bambina.

venerdì 20 marzo 2020







DIARIO DI HELGA WEISS.

Ieri ho ultimato la lettura del  “Diario di Helga”, il “Diario” della giovane ebrea di Praga (n. 1929) Elga Weiss, deportata a Terezin con i genitori, e trasferita ad Auschwitz-Birkenau, Freiburg e Mauthausen, dove fu liberata insieme alla madre. Una dei circa 100 bambini (degli oltre 15.000 rinchiusi nel Campo di Terezin dai nazisti), sopravvissuti all’Olocausto. Si tratta di una delle più commoventi testimonianze della Shoah dai tempi del “Diario” di Anna Frank. Il libro pubblicato da Einaudi nel 2014, (prezzo 19 €) contiene una ricca documentazione: l’intervista di Neil Bermel nel suo appartamento di Praga del 1/12/2011; numerosi disegni a colori  ed in bianco-nero di  Helga Weiss e un ricco apparato di note. Poiché fin agli anni ’60 ho allacciato rapporti con alcuni ebrei della esigua Comunità di Plzen, tra i quali alcuni sopravvissuti alla deportazione a Terezin ed Auschwitz, ho dedicato il mio lavoro sulla Resistenza nelle Colline metallifere toscane, ad uno dei miei amici più amati, Rudolf Loewy, del quale ripropongo la dedica.

Ricordo di Rudolf Loewy (Plzen, 1918 – 1994).

Rudolf Loewy nasce il 14 novembre 1918 nella città boema di Plzen, da Moric e Berta Sommer, entrambi discendenti di antiche famiglie della numerosa comunità ebraica dell’Europa Centrale. I genitori avevano raggiunto una discreta agiatezza attraverso il commercio all’ingrosso di prodotti alimentari; nel loro fornito emporio in Piazza Kramarovy 19 si potevano acquistare eccellenti merci coloniali d’importazione tra cui thè, caffè e agrumi. Militante fin dalla prima adolescenza del movimento patriottico democratico scautistico fondato da Hanus Adel (Praha, 1905 – Auschwitz, 1944), membro dell’8° Gruppo ebraico della Sezione giovanile dell’associazione ginnica “Makabi” e del club ebraico di nuoto di Plzen, Rudolf compie gli studi superiori ottenendo il diploma in Scienze agricole ed economiche. Dopo la maturità, nell’autunno del 1937, si iscrive alla Facoltà di Agraria. Nel maggio 1938 si profila minaccioso il primo tentativo nazista di invasione della Cecoslovacchia e il Presidente della giovane repubblica democratica, Eduard Benes, proclama la mobilitazione generale. Anche Rudolf, studente universitario, è costretto ad interrompere gli studi per arruolarsi nell’esercito. Scongiurata momentaneamente l’invasione, la crisi scoppia nell’autunno a seguito del tradimento di Inghilterra e Francia, nazioni amiche della Cecoslovacchia, che a Monaco lasciano mano libera ad Hitler di annettere al Reich il territorio dei “Sudeti”, abitato dalla “minoranza” di lingua tedesca. Il 10 ottobre 1938 i soldati tedeschi occupano la regione mentre l’esercito cecoslovacco è costretto ad una lenta smobilitazione. Il 15 marzo 1939 i soldati tedeschi invadono la Boemia e nello stesso giorno Hitler dichiara la nascita del “Protettorato di Boemia e Moravia” e l’entrata in vigore delle leggi germaniche. Gli Ufficiali cechi sono immediatamente sostituiti da quelli nazisti mentre si avvia la confisca dei beni mobili ed immobili degli ebrei. Il 30 marzo 1939, Rudolf, insieme al fratello maggiore Oskar ed a molti altri giovani amici, tra i quali alcuni ebrei di Plzen, i fratelli Otto e Rudolf, Kohnovi, Hanus Beck, Rudolf Korper, Pavel Novak, Egon Beck, riesce a salire sull’ultimo treno in partenza per Londra, poco prima della chiusura delle frontiere. Al suo arrivo a Londra è preso in custodia dal “Czech Refugee Trust Fund” e trasferito, come operaio agricolo, in una fattoria dove rimane fino all’autunno del 1941, data del suo arruolamento volontario nella 1 Brigata dell’Armata Cecoslovacca, costituita nell’ottobre 1940 ed acquartierata a Cholmondeley, Malpas, Cheshire. Dopo una lunga fase di addestramento, che Rudolf alterna al lavoro agricolo, giunge il tanto atteso “D-Day”, “Operazione Overlord” e il 7 giugno 1944 sbarca in Normandia con le divisioni di fanteria della Seconda armata britannica del generale Miles Dempsey, combattendo sempre in prima linea con l’Armata Ceca agli ordini dei generali Alois Liska e Karel Krapalec, le battaglie di Francia, Belgio e Germania. Nel corso della guerra raggiunge il grado di sottufficiale con quattro stellette dell'artiglieria da campo; è ferito, e per ben tre volte è decorato al valore tra i patrioti artefici della Liberazione della Cecoslovacchia. Ma la sua gioia più immensa è quella di ritornare finalmente, da liberatore, nella sua patria entrando a Plzen l'8 maggio 1945 con un piccolo drappello scelto di cechi insieme alla II Divisione americana di fanteria del III° Corpo d'Armata del generale George Patton. A Plzen tenta subito di mettersi in contatto con i parenti, ma invano. Cerca i genitori, il fratello e gli altri familiari, in ogni luogo, scoprendo infine la tragica verità: tutta la sua famiglia (Moric Lowy, Berta Lowyova, Vilem Lowy, Anna Lowyova, Leo Lowy, Marie Lowyova, Helenka Lowyova), è stata deportata dai nazisti in un campo di concentramento, prima a Tabor, poi a Terezin, infine ad Auschwitz e risulta sterminata insieme ad altri milioni di ebrei. Alcuni cugini ed amici di scuola che hanno fatto in tempo a fuggire prima dell'occupazione tedesca, sono emigrati in Ecuador, negli Stati Uniti ed in Palestina. Al suo ritorno in patria Rudolf amministra per un breve periodo i beni paterni in Kunejovice, e quelli di altre aziende agricole. Infatti le proprietà, mai restituite e delle quali risulta difficile dimostrare i diritti legali stante la sistematica distruzione e dispersione di archivi e documenti, sono passate, con la nazionalizzazione, in mano allo Stato. A Plzen incontra una giovanissima ragazza, Jaroslava Fialkova, che nel 1948 diventerà sua moglie. A seguito del colpo di stato comunista del febbraio 1948 e nel cupo periodo delle persecuzioni staliniane, è indagato per aver combattuto nell'esercito di Liberazione ceco in Occidente. Altri suoi amici ed il fratello Oskar emigrano in Israele, Stati Uniti, Australia. Nonostante il diploma in agraria, la grande cultura umanistica, la conoscenza delle principali lingue straniere e una convinta adesione alle linee politiche socialdemocratiche, Rudolf trova soltanto un lavoro da manovale in un molino, guidando camion e caricando e scaricando farina (sarà a causa di questo lavoro durissimo che contrarrà la disfunzione cardiaca che lo condurrà alla morte). Con molta cautela, se non in segreto, dedica la sua vita alla raccolta di documenti sulla deportazione degli ebrei dalla Boemia Occidentale, al censimento dei cimiteri ebraici, alla collaborazione con l'Archivio Yad Vashem di Gerusalemme e, dopo il 1989, alla conservazione della Sinagoga di Plzen, una delle più grandi del mondo, semidistrutta e chiusa dalle autorità naziste e lasciata praticamente inagibile, nel più completo abbandono, da quelle comuniste. Dal 1962, per fortuite circostanze, abbiamo iniziato una fitta corrispondenza, corrispondenza che si è trasformata rapidamente in una grande amicizia tra le nostre famiglie dando luogo ad una collaborazione che è stata interrotta soltanto dalla sua morte, avvenuta a Plzen il 23 febbraio 1994. Memorabile rimarrà l'incontro dell'agosto 1979 a Firenze tra i grandi amici Rudolf e Pavel Novak, un ingegnere ebreo, comunista, ex combattente nell'Armata cecoslovacca, che dal 1968 si era rifugiato in Inghilterra (per sfuggire alla repressione scatenata a seguito della "Primavera di Praga" da Husak per conto dei russi), insegnando ingegneria civile ed idraulica all'università di Newcastle. Attraverso Rudolf sono venuto a contatto con il mondo delle comunità ebraiche dell'Europa centrale, con la loro cultura e con la loro immensa tragedia. Ai funerali solenni di Rudolf, celebrati il 3 marzo 1994 nel cimitero ebraico di Plzen, ha partecipato il Rabbino di Londra, Andrew Goldstein, che ha pronunciato l'orazione funebre davanti ad oltre un migliaio di persone. Nel 1989, dopo la rivoluzione di velluto, Rudolf era stato pienamente riabilitato, le proprietà in parte restituite ed il suo impegno principale si era indirizzato al censimento, restauro e riapertura dei cimiteri ebraici della Boemia Occidentale ed al complesso restauro della grande Sinagoga di Plzen. Il 22 agosto 1994, a pochi mesi dalla sua morte, il Magistrato della Comunità ebraica della città di Plzen dichiarò costituita la "Fondazione Rudolf Lowy per il recupero della Sinagoga di Plzen". Anche attraverso finanziamenti governativi e sottoscrizioni internazionali, la Sinagoga, riportata all'antico splendore, ha riaperto i battenti ed è stata riconsacrata al culto l'11 febbraio 1998 con la presenza del rabbino di Praga, Karol Sidon. Nel giugno 1999 si è celebrato nella Sinagoga il primo matrimonio dal lontano anno 1938. Dei 2605 ebrei deportati da Plzen oltre il 92% sono morti nei Lager tedeschi e adesso la piccola comunità conta appena un centinaio di individui. Con l'apertura della Sinagoga alle poche decine di cittadini di religione ebraica ancora presenti a Plzen, l'impegno prioritario della Fondazione Rudolf Lowy può dirsi finalmente compiuto anche se i suoi scopi si proiettano nel futuro (Spirkova Vera, Zidovska komunita v Plzni, Domazlicich, 2000, pp. 46, 50, 62, 90, 92, 100, 101

Venovani

Rudolf Lowy se narodil 14. listopadu 1918 v ceskem meste Plzen v rodine Morice Lowyho a Berty Sommerove, potomku starych zidovskych rodin, v pocetne zidovske komunite ve stredni Europe. Rodicum se podarilo zajistit pohodlne zivobyti dily velkoobchodu potravinami; zasobovanim obchodniho domu na kramarove namesti c.19 zislahvyborne obchodni prilezitosti v obchodu s importovanym kolonialnim zbozim, jako kava, cav a citrusove plody. Byl snazivym studenten uz v adolescentnim veku, mez vlastenecke citeni a byl angazovan v demokratickem a skautskem hnuti zakozenem hanusem adlerem (*Praha 1905 + Auschwitz 1944). Byl clenem osme zidovske skupi ny oddilu mladistuych, gymnastickeho klubu “Makabi” a plzenskeho zidovskeho plaveckeho clubu. Rudolf zakoncil studium na mestskem kralovskem gymnasiu, kde obdrzek maturitu na po maturite na podzim u roce 1937 se zapsal na zemedelskou foakultu. V kvetnu, v roce 1938 dosko k prunimu nacistickemu pokuso o invazi do Ceskoslovenska a prezident mlade demoktatcke republikm Eduard Benes v ramci ochrany pred ohrozenim  vyhlasil vseobecnou mobilizaci. Take Rudolf, v te dobe universtni dtufent byl nucen prerusit studia a nechat se odvesit do armady. Invaze byla momentalne zazehnana, ale hospodarska krize vypukla na podzim v dusledku zrady anglie a francie. Spratelenych to zemi ceskoslovenska, ktere v mnichove daly hitlerovy volnou ruku, aby mohl priposit uzemi sudet obydlene nemeckou mensinou k risi dne 1 rijna 1938 doslo k obsazeni uzemi nemereckymi vosaky, zatimco ceskoslovenska armada byla donucena k demobilizaci. 15 brezna 1939 nemecti vojaci vpadli do cech a jeste tehoz dne hitler vyhlasil zalozeni “protektoratu cech a moravy” a nastup platnosti nemeckych zakonu. Ceska vlada byla okamzite nahrazena nacisty, zatimco zapocala konfiskace zidoveskeho majetku. 30 brezna 1939 Rudolf spolecne se svym starsim bratrem Oskarem a mnoha jinymimladymi kamarady. Mezi nimiz byli plzenstizide brtri Otto a RudolfKohnovi, Hanus Beck, Rudolf Korper, Pavel Novak, Egon Beck, jimz se poidariko nastoupit do posledniho vlaku smerLondyn,kratce pred uzavreznim hranic. Po privezduc do Londyna byl uzat pod ochranu orgnizaci “Czech Refungee Trust Fund” a byl zarazen jako zemedelsky delnik na jedne farme, kde zustal do podzimu 1941 a pote dobrovolne narukoval do prvni ceskoslovenske brigady, zakozene v rijnu 1940 umistene v Cholmondelesem, Malpasu a Cheschiru. Po dlouhe fazi vycviku, pri kterem stridave stale pusobil jako zemedelsky delnik a v ocekavani na “D-Day” operace “Overkord” se vykodil7 cervna 1944 v normandii s pechotnim oddilem II britske armady generala Milese Dempsyho, bojoval stale v privni    linii s ceskou armadou pod vedenim generalu Alojse Lisky a KarlaKrapalce v bojich ve Francii, Belgii a Nemecku. V prubehu valky dosahl hodnosti poddustojnika dekostrelectva se ctyrmi hezdami; byl zranen a nejmene trikrat vyznamenan hodnosti za vlasteneckeho prubojnika v osvobozovani ceskoslovenska. Nejvetsi radost mez vsak z toho, ze se konecne mohl vratit do rodne vlasti vstupem do Plzne ve dnech 1 – 8 kvetna roku 1945 s malym oddilem skozenych z cechu. Spolecne s II Americkov pechotou, treti armadni skupiny generala George Pattona. V Plzni se pokousi okamzite zkontaktovat s pribuznymi, ale marne pokousi se navit rodice, bratra a ostatni prislusniky rodiny vsude mozne a dlouho, az konecne odhalil tragickou pravdu:cela jeho rodina (Moric Lowy, Berta Lowyova, Vilem Lowy, Anna Lowyova, Leo Lowy,, Marie Lowyova,Helenka Lowyova) bila deportovna nacisty do koncentracniho Tabora, nejprve v Tabore, pote do Terezina a konecne do Auschwitco, kde byli vyhlazeny spolu s dalsimi miliony zidu. Nekteri bratranci a kamaradi ze skoly, kteriste stihli utect pred nemeckou okupaci, emigrovali do Ekuadoru, Ameriky a Palestiny. Po svem navratu do rodne vlasti spravuje na kratky cas rodinny majetek v Kunejovicich a castecne se take staral o majetky clenu zidovske komunity tyto majetky nebyly nikdy navraceny nebot bylo tezke obhajit legalnì prava na jejich znovunabyti, pote  co archivy byly systenaticky zniceny a tak doslo k rozpraseni veskere existujici dokumentace. V dusledku toho veskere tyto nemovitosti presly v ramci znarodneni do rokou statu. V Plzni se setkal s mladickou divkou Jaroslavou Fialkovou, ktera se v roce 1948 stala jeho zenou. Nasledoval uder komunistickeho statu unorem 1948 a v case hlubkych stalinistickich persekucich byl Rudolf vysetrovan za svoji ucast v Americke Armade v boji za osvobozovani zapadnich cech. Jeho ostatni pratele i bratr Oskar emigrovali do Israele, Ameriky a Australie. Presto ze diplomoval na zemedelske fakulte, taktez vlastnil diplom z humanistickych ved, ovladal svetove vazyky a sympatizoval se socialnedemokratickymi zasadami, nasel pouze manualni zamestnani. Pracoval jako ridic nakladaku v jednom mlyne kde musel manipujovat s tezkymi pytli s moukou,v dusledku cehoz onemocnel srdecni disfunkci ktera mu v budoucnu privodila smrt. S velkou obezretnosti, ne-li u tajnosti zasvecoval svou zivot sbirce dokumentu o deportaci zidu ze zapadnich cech, do scitani zidovskych hrbitovu, spolupracoval s archivem “Yad Vashem2 v Jeruzaleme. Po roce 1989 se aktivne podilel na zachovani plzenske synagogy – jedne z nejvetsich na svete, polorozborene a uzavrene nacisty a pozdeji ponechane v neschopnosti provozu komunisty. Po roce 1963 ze zcela nahodileprilezitosti jsem zapocal hustov korespondenci-korespondenc, ktera brzy prerostla ve velke pratelstvi nasich rodin – daje tak prostur pro spolupraci – jez Plzni 23 unora 1994 prerusila jeho smrt. V pametihodnosti zvstava setkani dvou velkych pratel Rudolfa a Paula Novaka ve Florencii v srpnu 1979. Pavel Novak byl inzenyr zidovskeho puvodu, komunista, byvaly prislusnik ceske armady, ktery v roce 1968 hledaloutociste v anglii. Aby tak uprchl pred represemi (rozpoutanymi v dusledku prazskeho jara husalem a z ruskeho natlaku), kde na universite v Newcastlu. Diky Rudolfovi jsemse dostal do kontktu se svetem zidovske komunity je stredni Europe, s jesich krasnou kulturou a s jejich nesmirnou tragedii. NaRudolfove okazalem pohrbu, celebrovanem 3 brezna 1994 na plzeniskem, zidovskem hrbtove  - jiz se zucastnil londynsky rabin Andrew Goldstein,ktery pronesl svov rec pred vice nez tisici osob. Po sametove revoluci v roce 1989  byl Rudolf plne rehabilitovan, vlastnictvibylo rodine castecne navraceno a jeho hlavni usili se obratilo na scitani, soupis, rekonstrukci a znovuotevreni zidovskuch hrbitovu a na komplexni zrestaurovani velke zidovske synagogy u Plzni. Dne 22 srpna 1994 jen kratky cas po jeho smrti vyhlasil magistrat plzenske zidovske spolecnosti zalozeni “Nadace Rudolfa Lowyho”za znovuobnoveni Plzenske synagogy. Take diky prostrednictvi vladniho financovani a mezinarodnich upisu mohla byt synagoga opetne privedena do puvodniho  lesku a otevrit tak sva kridla. Byla znovuposvecena na bohosluzbe 11 unora 1998 za pritomnosti Karla Sidona – rabina prazskeho. V cervnu 1999 byla v synagoze celebrovana prvni svatba od roku 1938. Z 2605 zidu deportovanych z Plzne vice nez 92% zemreko v nemeckych lagrech a nyni mala komunita scita necelych sto osob. S otevrenim synagogy byt s jer nekolika malo desitkami obcanu zidovske komunity stale z’jicimi v plzni lze rici, ze cil nadace Rudolfa Lowyho konecne dosel sveho naplneni ‘kdyz dusledky usili teto nadace se viste promitnou’ v budoucnosti. (Spirkova Ver, Zidovska komunita v Plzni, Domazlicich, 2000, str. 46, 50,62, 90, 92,100, 101).


mercoledì 18 marzo 2020









Nei giorni dello stare chiusi in casa!

Oggi, 18 marzo! Così tra tre giorni entreremo nella primavera! La primavera porta speranza, speriamo, anche se, dato che sto’ sistemando i proverbi,  non posso fare a meno di citarne due assai noti, e forse appropriati al tempo presente:

Chi visse sperando, morì cacando!

La pazienza è la minestra dei becchi,
la speranza è l’altare dei coglioni.               

Quindi  la speranza non deve essere passiva, ma attiva, per sperare occorre agire! E non solo: occorre ubbidire, rispettare, attenersi ai piccoli sacrifici, e amare il prossimo nostro come noi stessi…
Io da 10 giorni vivo, con mia moglie, lontano dalle famiglie delle  due figlie, dagli amati nipoti, non esco assolutamente da casa, ma per fortuna ci sono questi potenti e  non contaminanti mezzi di comunicazione, internet, i telefonini nei quali ci si vede e ci si parla…ordiniamo i generi alimentari di prima necessità, per noi e per la nostra gatta cieca, e per il resto abbiamo tutto! Avevamo fatto buona scorta dei farmaci che dobbiamo assumere ogni giorno,  e manteniamo alto  l’ottimismo. Mattina e sera facciamo i nostri due “giri delle stanze”,  in totale poco più di 2 chilometri, e dormiamo qualche ora in più del solito! Io lavoro al mio dizionario dei proverbi, scrivo qualche verso, aiuto un po’ nelle faccende domestiche, e accudisco la gatta! Stamattina ho tirato fuori una grande scatola con vecchie fotografie scartate da quelle posizionate negli album, credo  di non averle viste da più di 25-30 anni! Ce ne sono alcune, non perfette come immagini, ma che parlano al cuore: quelle dei  genitori,  dei parenti, ed anche delle nostre giovinezze! Li posto su questo blog perché così potrò stamparle e conservarle in quella specie di diario che ho aperto nel 2007!

domenica 15 marzo 2020

15 marzo, lo dedico alla musica! 

Ed anche al ricordo del mio babbo, eccellente musicista, nel 35° della sua morte. Lui suonò per l'ultima volta la magica fisarmonica il mattino di Natale 1984, per me e per un mio amico che era venuto a trovarlo, tre settimane prima di morire. Nella foto della Filarmonica di Castelnuovo è quell'uomo un po' piccoletto, che ha il berretto in mano! E' il mio ritratto! Metto anche alcune copertine di cd che stamani ho ascoltato, canzoni tra le mie preferite!

mercoledì 11 marzo 2020




OPERE DI CARLO GROPPI DISPONIBILI.


OPERE  DI CARLO GROPPI ANCORA DISPONIBILI (PRESSO L’AUTORE): karl38cg@gmail.com – Carlo Groppi, Via R.Fucini, 11, 56041 Castelnuovo di Val di Cecina, oppure su FB. I costi per le eventuali spedizioni saranno a carico di Carlo. Quando possibile si consegneranno a mano.

1) Di passere e d’altri uccelli…proverbi licenziosi e moraleggianti locali, italiani e stranieri, pp. 32, ed. 2009, prezzo per ciascun opuscolo 3 €. Disponibili n° 6 copie.
2) La vita larga, poesie e prose, pp. 112, ed. 2010, prezzo 5 €, disponibile 1 copia.
3) Viandante nella memoria, poesie e prose,  pp. 80, ed. 2012,  prezzo 5 €, disponibili 2 copie.
4) Grazie alla vita, poesie, pp.80, ed. 2014, prezzo 5 €, disponibili 2 copie.
5) Vita di Marie Curie, pp. 32, ed. 2018, con numerose immagini edite ed inedite, prezzo per ciascun opuscolo 3 €, disponibili 15 copie.

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Carlo Groppi (n. 1938) ha pubblicato dal 1977 ad oggi, sia con un editore, sia in proprio, 37 opere, storiche e letterarie, delle quali 32 sono esaurite. L’autore è interessato all’acquisto, nella quantità indicata, a prezzi da stabilire, delle seguenti:

Travale 22, 1977 (4 ).
Energie alternative: la geotermia, 1979 (4).
Dina Ferri: antologia lirica, 1998 (2).
Il maldocchio ai maialini, 1999 (2).
Calendario “Castelnuovo 2000”, i Luoghi della Fede, 1999 (4).
La piccola banda di Ariano, ed. II, 2003 (2).
Dalla Maremma ad Auschwitz, 2004 (4).
Un angelo a Massa Marittima. Norma Parenti, 2004 (5).
L’arcobaleno suona ancora, 2004 (2).
La cometa Swan, poesie, 2007 (5).
El poeta canta por todos, 2008 (5).

Data, 11 marzo 2020.








Nel tempo del Corona Virus.

Itinerari intorno a Castelnuovo: si scende nella valle del Torrente Pavone (S.Adelaide, quota 362 mt.slm) e successivamente si sale al Monte Vado la Lepre (quota 807mt. slm). Nessun ravvicinato incontro umano. Ruderi, fiori, arbusti, funghi, ricordi…e, infine, i sempre nuovi tramonti! Il resto tra le mura domestiche, cercando di non farci impaurire dalle notizie televisive! Devo anche dire che seguo con attenzione le disposizioni del Sindaco, chiare ed equilibrate.

venerdì 6 marzo 2020


VIRUS COVID19 

Sono nato prima delle “Leggi Razziali”. I miei genitori erano di 16 e 22 anni, sanissimi. Son cresciuto bene, sempre a contatto con il gregge che iniziai presto a pascolare; un soldato tedesco mi  attaccò “la rogna”, ma guarii rapidamente  spalmato di una pomata, nudo, davanti al camino del Carbonciolo. Venuto ad abitare in paese presi gli “orecchioni” all’età di 10 anni (l’età nella quale ebbi in regalo il mio primo libro “KIM”) , sempre a vagare nel bosco e nelle discariche delle immondizie, respirare la polvere delle strade bianche, che l’asfalto non c’era, a percorrere sentieri polverosi per andare a tuffarmi nel torrente Pavone e poi, accaldato senza passare da casa andare ai castagni di Piana di Sotto, a spingere qualche ragazzina sull’altalena. Sempre in case in affitto, piccole e disadorne, a 12 anni andai ad abitare al quinto piano di una casa prossima alla Croce del Convento, scale strette ripide e buie, e lì ebbi la prima vera malattia, una polmonite o pleurite (?), ma, per fortuna era disponibile la penicillina portata dagli americani, e guarii completamente (per la verità, quando ho fatto i raggi X si vedono ombre lasciate da quella malattia). Nel  1956-57, ci fu l’ondata influenzale detta “asiatica”, molti dei miei colleghi di lavoro si ammalarono, ma io non fui contagiato, forse grazie ad una autoimmunizzazione. E così,  fino ad oggi, sono rimasto indenne da tutte le “influenze”, pur conducendo una vita sociale molto attiva, con migliaia di contatti umani, sia in Italia che in Europa, Turchia, Israele. L’unica vera letale contaminazione, così sembra,  l’ebbi  26 anni fa, dentro una sala operatoria di una Neurochirurgia d’eccellenza, per un virus non identificato! Sembra che una sterilizzazione completa di queste sale non sia possibile!.  Ma lentamente, guarii, pur con qualche miliardo di terminali neuronici  bruciati! I postumi ci sono ancora, ma gestibili. Invecchiando non ho mai fatto un vaccino, d’altra parte siamo mortali, ed io sono abbastanza fatalista, tutti si deve morire, e l’unica cosa che mi preoccupa un po’ è il come, non il quando! Ora c’è questo nuovo VIRUS, ancora non sappiamo bene di che cosa si tratti, e come sia nato e diffuso,  nè se è stato provocato in una delle tante guerre batteriologiche che, più o meno segrete,  ci sono nel mondo. Il potere del Male. Adesso mi dispiacerebbe essere contaminato, anche perché tutta la mia famiglia, i miei bambini ed anche tutte le persone che in queste settimane  ho baciato,  e quelle alle quali ho stretto la mano, e quelle con le quali ho parlato a 30 centimetri di distanza…sarebbero sottoposte  e  pesanti  isolamenti…Si salverebbe la mia gatta cieca, sembra che i gatti siano immuni dal VIRUS! Ora sembra  che il sistema economico mondiale sia sull’orlo di una crisi  economica colossale, certo ci vorrebbero azioni politiche energiche, ad esempio ridurre o bloccare le spese per gli armamenti, e redistribuire la ricchezza  di quella casta di ricchi, che, al di là dell’influenza, bene poco fanno per impedire la morte ogni anno di centinaia di milioni di esseri umani, per fame, malattia, povertà!