DA
ROCCATEDERIGHI AD AUSCHWITZ
(1943 – 1945)
Il
“nonno” racconta.
Sono nato a Castelnuovo
di Val di Cecina (PI) il 3 settembre 1938, due giorni prima che il Re d’Italia,
Vittorio Emanuele III, firmasse a Pisa, nella Tenuta Reale di San Rossore, le tristemente note “Leggi Razziali”, volute
dal regime fascista di Mussolini, leggi che erano principalmente dirette a
colpire gli ebrei italiani e, di tutti
gli ebrei, quelli residenti nel Regno d’Italia. Ho visto con i miei occhi di
bambino gli orrori della guerra mondiale, nella quale l’Italia fascista era
alleata con la Germania nazista di Hitler, le partenze di tanti giovani per il
fronte di guerra, i funerali, i non
ritorni (tra cui uno zio, Gualfredo, disperso in Russia), e le stragi compiute
nel nostro territorio dai nazifascisti, prima tra tutte quella dei 77 minatori
di Niccioleta (Massa Marittima), più altri 8 partigiani, avvenuta a poche
centinaia di metri da dove abitavo. Ho visto anche i cadaveri di alcuni soldati
tedeschi stesi sotto una piccola palma nel giardino pubblico, poi seppelliti
nel nostro Camposanto. Ed infine la grande festa per l’arrivo dei soldati
americani il 28 giugno 1944, mentre le campane suonavano a festa. Questi
avvenimenti mi portarono precocemente ad interessarmi della storia locale e del
periodo della Resistenza, molto attiva tra i nostri monti con ben tre Brigate
Partigiane. A Castelnuovo, non ci sono mai stati italiani di fede ebraica, se
non per pochi giorni, nascosti in alcune insospettabili famiglie, due o tre
medici e dentisti, che si salvarono dalla deportazione. Più tardi seppi cosa fosse avvenuto nel mondo causa la
guerra: oltre 50 milioni di morti, e lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei,
ad Auschwizt e negli altri lager nazisti. Ma, in quest’ultimo caso, a
Castelnuovo non c’erano state vittime, e pensavamo nemmeno in Toscana, o forse
in Italia. Nessuno ne parlava, diciamo pure che la tragedia si era compiuta
molto lontano da noi. Ma, come vedremo, ciò non corrispondeva al vero…
Le
“Leggi Razziali”.
Le Leggi Razziali
volevano, su modello della visione nazista applicata in Germania, “difendere”
la “razza ariana”, cioè la razza bianca italiana, dalla contaminazione di altre
“razze” e soprattutto da quella ebraica. Ma chi era l’ebreo? Per i fascisti era
ebreo chi era nato da genitori entrambi ebrei; da un ebreo e da una straniera;
da una madre ebrea e da un padre ignoto; oppure da chi, pur non essendo ebreo, ne professasse tale religione.
Queste leggi
contenevano una serie molto lunga di divieti: era vietato il matrimonio tra
italiani ed ebrei; era vietato agli
ebrei di avere alle dipendenze domestici i lavoranti di “di razza ariana”;
era vietato agli ebrei di lavorare in
tutte le pubbliche amministrazioni del Regno; era vietato agli ebrei stranieri
di trasferirsi in Italia di svolgere le professioni di notaio e di giornalista;
il divieto di iscrizione dei ragazzi ebrei nelle scuole pubbliche, il divieto
di assumere, come libri di testo, alla cui redazione avessero partecipato in
qualche modo degli ebrei. Ed ancora altre aberranti disposizioni, tra le quali
di registrarsi presso gli Uffici di Anagrafe e Stato Civile dei Comuni, dichiarando
di appartenere alla “razza ebraica”! In tal modo le Autorità di Polizia erano
messe a conoscenza di chi fosse ebreo e
dove avesse la residenza. Oltre 300 professori universitari furono allontanati
dall’insegnamento, senza contare i professori di Liceo, gli accademici, gli
autori di libri di testo messi all’indice, e i tanti giovani laureati e
ricercatori, la cui carriera fu stroncata sul nascere. Alcun degli scienziati e
intellettuali ebrei colpiti dalle Leggi Razziali emigrarono all’estero. Con loro lasciarono l’Italia anche Enrico
Fermi (futuro premio Nobel) e Luigi Bogliolo, le cui mogli erano ebree.
I
Campi di concentramento in Italia per gli ebrei.
Fino al 1940, gli ebrei
italiani, perseguitati in mille maniere, potevano emigrare all’estero, e molti
di essi lo fecero, ma, con lo scoppio della guerra e l’alleanza dell’Italia con
la Germania, la situazione andò ancora di più peggiorando per loro. E in
Italia, il 15 giugno 1940, fu predisposto l’internamento in campi di prigionia,
dal sud al nord. Il più importante dei
quali fu quello di Ferramonti di Tarsia, in Calabria, provincia di Cosenza. Tuttavia il
regime fascista non aderì da subito alla
strategia di sterminio attuata dai nazisti. Fu solo dopo l’8 settembre 1943,
con l’Armistizio e la divisione in due parti dell’Italia, che la Repubblica
Sociale Italiana (RSI) di Mussolini, avviò, coadiuvando la politica dello
stermino attuata dai nazisti, una piena collaborazione con i tedeschi, dando
perciò avvio alla deportazione degli ebrei nei lager nazisti, attraverso due
località: il Campo di Concentramento di Fossoli, frazione del Comune di Carpi in
Emilia e quello di smistamento ferroviario da Bolzano, verso Auschwitz, il
lager di sterminio, in territorio della Polonia occupata dalla Germania. Un
secondo Campo di internamento, passato sotto il comando tedesco, fu quello
della ex risiera di San Sabba, in
provincia di Trieste, dove funzionava l’unica rudimentale camera a gas, non
solo per gli ebrei, ma per i detenuti politici e gli antifascisti. Doveva
essere solo un campo di smistamento, come quello di Fossoli, ma, al contrario
vi furono uccisi dai 1000 ai 2000 prigionieri in maggioranza non ebrei. Dall ex
risiera partirono ben 9 convogli per Auschwitz. In totale sono 6219 gli ebrei
italiani uccisi durante la Shoah. Si deve alla diffusa solidarietà del popolo
italiano, che in molti casi nascose gli
ebrei, o permise loro di emigrare, se il numero delle vittime risulta assai
basso. Tra i campi di concentramento allestiti in Italia, il cui numero assomma
a 112 (più 23 allestiti in Jugoslavia e Albania e altri nei territori occupati,
come la Grecia), figura quello di Roccatederighi, nel comune di Roccastrada,
provincia di Grosseto, in Toscana, regione che annovera ben 10 campi di
internamento.
Il
luogo.
Il Campo di
internamento per gli ebrei, sia residenti in Toscana che rastrellati nel suo
territorio, quello più vicino al nostro Borgo di Castelnuovo di Val di Cecina,
distando in linea d’aria solo meno di 12 chilometri è quello allestito in una
grande villa con parco castagnato presso
il piccolo borgo di Roccatederighi, alta maremma grossetana, che fungeva
da residenza estiva del Seminario vescovile della Diocesi di Grosseto. Un luogo
strategico per i rastrellamenti di ebrei dall’area di Pitigliano-Sorano e dal
Monte Amiata.
La
“banalità dl male”.
Erano tedeschi gli
ufficiali delle SS, ma i guardiani del Campo, circondato da un’alta protezione
di filo spinato, erano militi italiani della RSI, mentre donne di
Roccatederighi provvedevano alle cucine. C’erano anche delle suore all’interno,
in un ambiente riservato alla Curia Vescovile, e qualche seminarista. Durante i
bombardamenti a tappeto degli inglesi sulla città di Grosseto, anche l’allora Vescovo
della Diocesi, Monsignor Galeazzi, vi trovò riparo, condividendo la
quotidianità coi prigionieri. Era stato
proprio il Vescovo a dover cedere alle SS la sua Villa, dietro un
compenso di 5000 lire annue.
Il borgo di
Roccatederighi dista circa poco più di un chilometro di distanza dal “Campo di
internamento” e pochi in paese sapevano, o facevano finta di non sapere, a cosa
esso servisse. Qualche volta anche alcuni internati, scortati dai militi
armati, si recavano in paese a procurarsi qualche provvista, ma veniva detto in
giro che si trattava di internati militari sotto la protezione dei militi fascisti!
E questo silenzio è
durato anche ben oltre la fine della guerra. Si deve dire che per decenni si è
fatto a gara nel nascondere la imbarazzante verità. Inoltre, italiani erano i
carcerieri, italiani gli automezzi e gli autisti che in due occasioni
trasportarono una cinquantina di prigionieri a Fossoli, da dove partivano i
convogli per i campi di sterminio
tedeschi, dei quali solo 4 sopravvissero. E, infine, i guardiani erano
abbastanza corruttibili ed alcuni ebrei furono aiutati a fuggire…in cambio di
diamanti e denaro. Anche una intera famiglia di Pitigliano riuscì a mettersi in
salvo, avendo fornito gli automezzi per il trasporto…
La
neonata Gigliola Finzi e gli altri
bambini.
Gli americani
arrivarono alla fine di giugno 1944 quando SS e militi italiani si erano già
dati alla fuga. Alcune decine di ebrei si trovavano ancora nel Campo, altri,
delle località più vicine, stavano rientrando nei loro luoghi di origine. Non
si sa con certezza quanti prigionieri vi avessero soggiornato, né quanti siano
stati i deportati ad Auschwitz. Esistono soltanto elenchi manoscritti parziali e
trattandosi anche di molti ebrei stranieri, solo in pochi casi siamo riusciti a
conoscere le generalità di intere famiglie, come quella austriaca dei
Turteltaub. Si calcolano i prigionieri in una cifra intorno alle cento unità e
i deportati ad Auschwitz in una cinquantina. Il Vescovo Galeazzi, messo sotto
accusa “morale” di connivenza con i nazifascisti, si difese dicendo che nulla poteva fare per impedire la violenza
delle SS italo tedesche, ma che si era
adoperato a proteggere dalla deportazione verso Auschwitz i prigionieri residenti nella provincia di Grosseto.
Infatti le selezioni per la scelta dei deportati videro: primi gli ebrei
provenienti dall’estero; dopo di loro quelli provenienti da regioni al di fuori
della Toscana; infine, per ultimi, i toscani, ma non residenti nella provincia
di Grosseto! Il Vescovo affermava che, grazie al suo intervento, nemmeno un
grossetano era stato inviato ad Auschwitz.
Tuttavia anche
quest’ultimo banale scudo protettivo crollò! Infatti nel secondo trasporto
figurava una famigliola di tre ebrei livornesi, Finzi e la Della Riccia,
marito, moglie e una neonata, venuta alla luce nel Campo stesso il 17 febbraio
1944, Gigliola Finzi. Tuttavia la bambina fu regolarmente registrata
all’Anagrafe del Comune di Roccastrada, in provincia di Grosseto, e pertanto
essa deve essere considerata una “grossetana”! Risulta uno dei rari casi di una
bambina nata in un campo di sterminio e uccisa all’età di tre mesi ad
Auschwitz, con un colpo di arma da fuoco, immediatamente dopo l’apertura del
vagone piombato che l’aveva trasportata da Bolzano alla Polonia. Dopo poco
anche i suoi genitori passarono dalle camere a gas ed ai forni crematori…
L’occultazione
e la dimenticanza.
Per decenni si è fatto
a gara nel nascondere questa imbarazzante verità storica. Ampliamenti e
trasformazioni hanno riadattato la Residenza dell’ex Seminario Vescovile a
“Campo Scuola” estivo di parrocchie ed associazioni cattoliche delle Diocesi di
Massa Marittima e di Volterra e centinaia o migliaia di giovani vi hanno
trascorso ore serene, ignari che in quelle stanze, in qui lettini di ferro, tra
quei castagni in fiore, altri coetanei fossero stati rinchiusi nell’attesa del
trasporto verso le camere a gas. Franca,
Enzo, Gigliola, Regina, Mary, Edita, Hans, Walther, Mosè ed altri di cui c’è
ignoto il nome.
.
Per
non dimenticare.
Il 27 gennaio 2008 dopo
che da alcuni anni, metà degli anni ’90, si erano accesi i riflettori sul Campo
di Roccatederighi a cura di studiosi grossetani e toscani, con la raccolta di
documenti e testimonianze e di materiale di archivio, fu inaugurata la lapide eretta all’ingresso
dell’ex Seminario firmata dall’Istituto
Storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea, dalla Diocesi
di Grosseto, Comunità ebraica di Livorno, Comune di Roccastrada, Provincia di
Grosseto, Comune di Grosseto, che dice:
“In questo luogo,
parzialmente trasformato in Campo di Concentramento, tra il 28 novembre 1943 ed
il 9 giugno 1944 furono rinchiusi
numerosi ebrei, vittime della persecuzione razziale voluta dal fascismo 46 di
loro, uomini, donne, bambini, 37 stranieri e 9 italiani, furono deportati nei
Campi di sterminio del III Reich, dal quale quasi nessuno tornò La memoria di
quel dolore non può risarcire ma rimane come dovere e espressione di ferma volontà perché ciò che
è accaduto non debba mai più ripetersi”.
Considerazioni.
Le violenze causate dai
regimi Nazista e Fascista hanno portato alla morte circa sei milioni di persone
innocenti, l’unica loro colpa fu di essere nati ebrei. La Germania e l’Italia
si macchiarono di questa tragedia, seguendo le idee di pazzi che ritenevano che
esistesse una razza superiore alle altre e che le altre dovessero essere
distrutte. I regimi totalitari sono una piaga che non deve mai più affliggere
l’umanità. Durante il periodo Nazista fu calpestato il primo diritto naturale,
il diritto alla vita, insito nelle persone fin dal momento della nascita.
Testo di Bereket Ricci e Diego Guzzarri, con la consulenza memorialistica e d'archivio di Carlo Groppi (il nonno).
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