lunedì 17 febbraio 2020


DA ROCCATEDERIGHI  AD AUSCHWITZ
(1943 – 1945)


Il “nonno” racconta.

Sono nato a Castelnuovo di Val di Cecina (PI) il 3 settembre 1938, due giorni prima che il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, firmasse a Pisa, nella Tenuta Reale di San Rossore,  le tristemente note “Leggi Razziali”, volute dal regime fascista di Mussolini, leggi che erano principalmente dirette a colpire gli ebrei italiani  e, di tutti gli ebrei, quelli residenti nel Regno d’Italia. Ho visto con i miei occhi di bambino gli orrori della guerra mondiale, nella quale l’Italia fascista era alleata con la Germania nazista di Hitler, le partenze di tanti giovani per il fronte di guerra, i funerali,  i non ritorni (tra cui uno zio, Gualfredo, disperso in Russia), e le stragi compiute nel nostro territorio dai nazifascisti, prima tra tutte quella dei 77 minatori di Niccioleta (Massa Marittima), più altri 8 partigiani, avvenuta a poche centinaia di metri da dove abitavo. Ho visto anche i cadaveri di alcuni soldati tedeschi stesi sotto una piccola palma nel giardino pubblico, poi seppelliti nel nostro Camposanto. Ed infine la grande festa per l’arrivo dei soldati americani il 28 giugno 1944, mentre le campane suonavano a festa. Questi avvenimenti mi portarono precocemente ad interessarmi della storia locale e del periodo della Resistenza, molto attiva tra i nostri monti con ben tre Brigate Partigiane. A Castelnuovo, non ci sono mai stati italiani di fede ebraica, se non per pochi giorni, nascosti in alcune insospettabili famiglie, due o tre medici e dentisti, che si salvarono dalla deportazione. Più tardi seppi  cosa fosse avvenuto nel mondo causa la guerra: oltre 50 milioni di morti, e lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei, ad Auschwizt e negli altri lager nazisti. Ma, in quest’ultimo caso, a Castelnuovo non c’erano state vittime, e pensavamo nemmeno in Toscana, o forse in Italia. Nessuno ne parlava, diciamo pure che la tragedia si era compiuta molto lontano da noi. Ma, come vedremo, ciò non corrispondeva al vero…

Le “Leggi Razziali”.

Le Leggi Razziali volevano, su modello della visione nazista applicata in Germania, “difendere” la “razza ariana”, cioè la razza bianca italiana, dalla contaminazione di altre “razze” e soprattutto da quella ebraica. Ma chi era l’ebreo? Per i fascisti era ebreo chi era nato da genitori entrambi ebrei; da un ebreo e da una straniera; da una madre ebrea e da un padre ignoto; oppure da chi, pur  non essendo ebreo, ne professasse  tale religione.
Queste leggi contenevano una serie molto lunga di divieti: era vietato il matrimonio tra italiani ed ebrei;  era vietato agli ebrei di avere alle dipendenze domestici i lavoranti di “di razza ariana”; era  vietato agli ebrei di lavorare in tutte le pubbliche amministrazioni del Regno; era vietato agli ebrei stranieri di trasferirsi in Italia di svolgere le professioni di notaio e di giornalista; il divieto di iscrizione dei ragazzi ebrei nelle scuole pubbliche, il divieto di assumere, come libri di testo, alla cui redazione avessero partecipato in qualche modo degli ebrei. Ed ancora altre aberranti disposizioni, tra le quali di registrarsi presso gli Uffici di Anagrafe e Stato Civile dei Comuni, dichiarando di appartenere alla “razza ebraica”! In tal modo le Autorità di Polizia erano messe a conoscenza di chi  fosse ebreo e dove avesse la residenza. Oltre 300 professori universitari furono allontanati dall’insegnamento, senza contare i professori di Liceo, gli accademici, gli autori di libri di testo messi all’indice, e i tanti giovani laureati e ricercatori, la cui carriera fu stroncata sul nascere. Alcun degli scienziati e intellettuali ebrei colpiti dalle Leggi Razziali emigrarono all’estero.  Con loro lasciarono l’Italia anche Enrico Fermi (futuro premio Nobel) e Luigi Bogliolo, le cui mogli erano ebree.   


I Campi di concentramento in Italia per gli ebrei.

Fino al 1940, gli ebrei italiani, perseguitati in mille maniere, potevano emigrare all’estero, e molti di essi lo fecero, ma, con lo scoppio della guerra e l’alleanza dell’Italia con la Germania, la situazione andò ancora di più peggiorando per loro. E in Italia, il 15 giugno 1940, fu predisposto l’internamento in campi di prigionia, dal sud al nord.  Il più importante dei quali fu quello di Ferramonti di Tarsia, in  Calabria, provincia di Cosenza. Tuttavia il regime fascista  non aderì da subito alla strategia di sterminio attuata dai nazisti. Fu solo dopo l’8 settembre 1943, con l’Armistizio e la divisione in due parti dell’Italia, che la Repubblica Sociale Italiana (RSI) di Mussolini, avviò, coadiuvando la politica dello stermino attuata dai nazisti, una piena collaborazione con i tedeschi, dando perciò avvio alla deportazione degli ebrei nei lager nazisti, attraverso due località: il Campo di Concentramento di Fossoli, frazione del Comune di Carpi in Emilia e quello di smistamento ferroviario da Bolzano, verso Auschwitz, il lager di sterminio, in territorio della Polonia occupata dalla Germania. Un secondo Campo di internamento, passato sotto il comando tedesco, fu quello della  ex risiera di San Sabba, in provincia di Trieste, dove funzionava l’unica rudimentale camera a gas, non solo per gli ebrei, ma per i detenuti politici e gli antifascisti. Doveva essere solo un campo di smistamento, come quello di Fossoli, ma, al contrario vi furono uccisi dai 1000 ai 2000 prigionieri in maggioranza non ebrei. Dall ex risiera partirono ben 9 convogli per Auschwitz. In totale sono 6219 gli ebrei italiani uccisi durante la Shoah. Si deve alla diffusa solidarietà del popolo italiano, che in molti casi  nascose gli ebrei, o permise loro di emigrare, se il numero delle vittime risulta assai basso. Tra i campi di concentramento allestiti in Italia, il cui numero assomma a 112 (più 23 allestiti in Jugoslavia e Albania e altri nei territori occupati, come la Grecia), figura quello di Roccatederighi, nel comune di Roccastrada, provincia di Grosseto, in Toscana, regione che annovera ben 10 campi di internamento.



Il luogo.

Il Campo di internamento per gli ebrei, sia residenti in Toscana che rastrellati nel suo territorio, quello più vicino al nostro Borgo di Castelnuovo di Val di Cecina, distando in linea d’aria solo meno di 12 chilometri è quello allestito in una grande villa con parco castagnato presso  il piccolo borgo di Roccatederighi, alta maremma grossetana, che fungeva da residenza estiva del Seminario vescovile della Diocesi di Grosseto. Un luogo strategico per i rastrellamenti di ebrei dall’area di Pitigliano-Sorano e dal Monte Amiata. 


La “banalità dl male”.

Erano tedeschi gli ufficiali delle SS, ma i guardiani del Campo, circondato da un’alta protezione di filo spinato, erano militi italiani della RSI, mentre donne di Roccatederighi provvedevano alle cucine. C’erano anche delle suore all’interno, in un ambiente riservato alla Curia Vescovile, e qualche seminarista. Durante i bombardamenti a tappeto degli inglesi sulla città di Grosseto, anche l’allora Vescovo della Diocesi, Monsignor Galeazzi, vi trovò riparo, condividendo la quotidianità coi prigionieri. Era stato  proprio il Vescovo a dover cedere alle SS la sua Villa, dietro un compenso di 5000 lire annue.

Il borgo di Roccatederighi dista circa poco più di un chilometro di distanza dal “Campo di internamento” e pochi in paese sapevano, o facevano finta di non sapere, a cosa esso servisse. Qualche volta anche alcuni internati, scortati dai militi armati, si recavano in paese a procurarsi qualche provvista, ma veniva detto in giro che si trattava di internati militari sotto la protezione dei militi fascisti!

E questo silenzio è durato anche ben oltre la fine della guerra. Si deve dire che per decenni si è fatto a gara nel nascondere la imbarazzante verità. Inoltre, italiani erano i carcerieri, italiani gli automezzi e gli autisti che in due occasioni trasportarono una cinquantina di prigionieri a Fossoli, da dove partivano i convogli per  i campi di sterminio tedeschi, dei quali solo 4 sopravvissero. E, infine, i guardiani erano abbastanza corruttibili ed alcuni ebrei furono aiutati a fuggire…in cambio di diamanti e denaro. Anche una intera famiglia di Pitigliano riuscì a mettersi in salvo, avendo fornito gli automezzi per il trasporto…


La neonata Gigliola Finzi e  gli altri bambini.

Gli americani arrivarono alla fine di giugno 1944 quando SS e militi italiani si erano già dati alla fuga. Alcune decine di ebrei si trovavano ancora nel Campo, altri, delle località più vicine, stavano rientrando nei loro luoghi di origine. Non si sa con certezza quanti prigionieri vi avessero soggiornato, né quanti siano stati i deportati ad Auschwitz. Esistono soltanto elenchi manoscritti parziali e trattandosi anche di molti ebrei stranieri, solo in pochi casi siamo riusciti a conoscere le generalità di intere famiglie, come quella austriaca dei Turteltaub. Si calcolano i prigionieri in una cifra intorno alle cento unità e i deportati ad Auschwitz in una cinquantina. Il Vescovo Galeazzi, messo sotto accusa “morale” di connivenza con i nazifascisti, si difese dicendo che  nulla poteva fare per impedire la violenza delle SS italo tedesche, ma che  si era adoperato a proteggere dalla deportazione verso Auschwitz i prigionieri  residenti nella provincia di Grosseto. Infatti le selezioni per la scelta dei deportati videro: primi gli ebrei provenienti dall’estero; dopo di loro quelli provenienti da regioni al di fuori della Toscana; infine, per ultimi, i toscani, ma non residenti nella provincia di Grosseto! Il Vescovo affermava che, grazie al suo intervento, nemmeno un grossetano era stato inviato ad Auschwitz.

Tuttavia anche quest’ultimo banale scudo protettivo crollò! Infatti nel secondo trasporto figurava una famigliola di tre ebrei livornesi, Finzi e la Della Riccia, marito, moglie e una neonata, venuta alla luce nel Campo stesso il 17 febbraio 1944, Gigliola Finzi. Tuttavia la bambina fu regolarmente registrata all’Anagrafe del Comune di Roccastrada, in provincia di Grosseto, e pertanto essa deve essere considerata una “grossetana”! Risulta uno dei rari casi di una bambina nata in un campo di sterminio e uccisa all’età di tre mesi ad Auschwitz, con un colpo di arma da fuoco, immediatamente dopo l’apertura del vagone piombato che l’aveva trasportata da Bolzano alla Polonia. Dopo poco anche i suoi genitori passarono dalle camere a gas ed ai forni crematori…


L’occultazione e la dimenticanza.

Per decenni si è fatto a gara nel nascondere questa imbarazzante verità storica. Ampliamenti e trasformazioni hanno riadattato la Residenza dell’ex Seminario Vescovile a “Campo Scuola” estivo di parrocchie ed associazioni cattoliche delle Diocesi di Massa Marittima e di Volterra e centinaia o migliaia di giovani vi hanno trascorso ore serene, ignari che in quelle stanze, in qui lettini di ferro, tra quei castagni in fiore, altri coetanei fossero stati rinchiusi nell’attesa del trasporto verso le camere a gas.  Franca, Enzo, Gigliola, Regina, Mary, Edita, Hans, Walther, Mosè ed altri di cui c’è ignoto il nome.
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Per non dimenticare.

Il 27 gennaio 2008 dopo che da alcuni anni, metà degli anni ’90, si erano accesi i riflettori sul Campo di Roccatederighi a cura di studiosi grossetani e toscani, con la raccolta di documenti e testimonianze e di materiale di archivio, fu  inaugurata la lapide eretta all’ingresso dell’ex Seminario firmata dall’Istituto  Storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea, dalla Diocesi di Grosseto, Comunità ebraica di Livorno, Comune di Roccastrada, Provincia di Grosseto, Comune di Grosseto, che dice:

“In questo luogo, parzialmente trasformato in Campo di Concentramento, tra il 28 novembre 1943 ed il  9 giugno 1944 furono rinchiusi numerosi ebrei, vittime della persecuzione razziale voluta dal fascismo 46 di loro, uomini, donne, bambini, 37 stranieri e 9 italiani, furono deportati nei Campi di sterminio del III Reich, dal quale quasi nessuno tornò La memoria di quel dolore non può risarcire ma rimane come dovere  e espressione di ferma volontà perché ciò che è accaduto non debba mai più ripetersi”.

Considerazioni.

Le violenze causate dai regimi Nazista e Fascista hanno portato alla morte circa sei milioni di persone innocenti, l’unica loro colpa fu di essere nati ebrei. La Germania e l’Italia si macchiarono di questa tragedia, seguendo le idee di pazzi che ritenevano che esistesse una razza superiore alle altre e che le altre dovessero essere distrutte. I regimi totalitari sono una piaga che non deve mai più affliggere l’umanità. Durante il periodo Nazista fu calpestato il primo diritto naturale, il diritto alla vita, insito nelle persone fin dal momento della nascita.


Testo di Bereket Ricci e Diego Guzzarri, con la consulenza memorialistica e d'archivio di Carlo Groppi (il nonno).

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