lunedì 30 ottobre 2017




I Volgari proverbi di Cinzio de’ Fabrizi
(nato negli anni ’70 del XV sec. – morto  nel 1530 circa)

Nel suo grandioso libro di 46 proverbi svolti in 42.000 versi, “Libro della origine delli volgari proverbi”, stampato da Cyntio de li Fabrizzi a Venezia nel 1526, irrompe la censura nella Serenissima, istigata dal Papa e dalla Curia Romana. L’autore, Aloisio Cinzio de’ Fabrizi (ovvero Aloyse Cynthio de gli Fabritii), nato negli anni ’70 del secolo XV (le prima notizie  si hanno nel marzo 1486) e morto attorno al 1530. Il libro fu messo al bando in tutto il mondo cristiano ed è impossibile stabilire che fine abbiano fatto le copie messe in circolazione, probabilmente quasi tutte furono cercate, trovate e distrutte, e rarissime furono conservate  segretamente da singoli amatori. Un secolo fa erano ufficialmente noti rarissimi esemplari, forse poco più di una dozzina. Oggi sono accessibili quello della Biblioteca Trivulziana di Milano e quello conservato nella Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, che è oltretutto di particolare interesse perché contiene, di seguito al testo a stampa, alcuni manoscritti di Cinzio e quattro sonetti. Le poche altre copie superstiti sono sparse in alcune biblioteche d’Europa e d’America, quando non geloso possesso di collezionisti privati, i quali, negli anni, si sono contesi il libro nelle pubbliche aste , dove, a lunghissimi intervalli, rapidamente appariva e scompariva a prezzi da capogiro! La prima edizione moderna, di 565 pagine in grande formato, è apparsa in Italia nel giugno 2007, per Spirali edizioni, e contiene 16 sonetti lussuriosi di Pietro Aretino illustrati da Giulio Romano. Ne diamo l’elenco senza inserirli nel testo del nostro Grande Dizionario dei Proverbi, al quale stiamo lavorando da quaranta anni, stante le difficoltà di trasposizione letterale.

La invidia non morite mai.
Ogni scusa ee buona pur che la vaglia.
Lettere non danno senno.
Chi non si può distender si ritragga.
Alli cani magri van le mosche.
Futuro caret.
Chi di gatta nasce sorge piglia.
La va da tristo a cattivo.
Ogni cosa ee per lo meglio.
Altri han le noci et io ho le voci.
Tu guardi l’altrui busca et non vedi il tuo travo.
Dove che ‘l diavolo non può metter il capo egli mette la coda.
L’è fatto il becco all’occha.
Perfina li orbi se ne accorgevano.
Chi pecora si fa lo lupo la mangia.
Chi non ha ventura non vada a pescar.
Si crede Biasio.
Non mi curo de’ pompe pur che sia ben vestita.
Chi fa li fatti suo’ non se imbrata le man.
Passato il tempo che Berta filava.
Meglio ee tardi che non mai.
A chi ha ventura poco senno basta.
Non ee più tempo di dar fen ad ocche.
Alli signali se conoscono le balle.
Tu vai cercando Maria per Ravenna.
Chi vuol amici assai ne provi pochi.
L’ha offerto le arme al tempio.
Chi così vuol così si abbia.
Prima si mutta il pelo che si cambia il vezzo.
Chi troppo vuole da rabbia mor.
La le va drieto qual la matta al fuso.
Chi troppo si sotiglia si scavezza.
Infra la carne et l’unghia alcun non punza.
Il non eeoro tutto quel che luce.
Guastando s’impara.
Ogni cuffia scusa di notte.
Rebindemini.
Dove che ‘l dente duol la lingua tragge.
Ciascun si aiuta con i suo’ ferrizuolli.
Per via si contia soma.
L’occhio vuol la sua parte.
Ciascun tira l’acqua al suo molino.
La necessità non ha legge.
Fuge rumores.

Pissa chiaro et en caca al medico.

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