PASQUA.
Tre poesie.
Pasqua senza Giuliana
Troppo facile tu
fossi qui con noi
che ti abbiamo amata
tanto!
Solo il figlio di
Dio è risorto, o uno
si attende, per
lenire l’angoscia
degli uomini e
consolare della morte
il terrore.
Ma tu, tu, piccola
donna,
tu mio grande
amore,
non ti sento allegra
intorno
al forno, ad
accudire il fuoco
del pranzo rituale.
Ci siamo tutti, e in
più
c’è il bimbo tanto atteso,
che t’avrebbe
timidamente sorriso
al limitare del
campo,
tra i ciliegi in fiore.
Rimane soltanto la
tovaglia
ricamata nel tempo
amaro dell’attesa,
ed un tuo ritratto
sbiadito
con un fiore, sul
marmo, freddo.
Pasqua
C’erano la stessa aria densa e calda di primavera,
la pigrizia del mattino e i petali perlacei dei ciliegi
che cadevano lenti nel piccolo giardino;
c’erano, ed ora non più, le note della fisarmonica
ammiccanti e tenere, i sorrisi delle donne nelle piccole
stanze di legno, odoranti d’antico;
c’erano gli occhi innocenti e civettuoli delle acerbe
compagne di scuola, nel vicinato raccolto, nell’intreccio
di voci amiche;
c’era nel petto un sommovimento profondo,
un tendere indefinito all’orizzonte
ancora bianco di neve, un’ansia sconosciuta
nel primo risveglio d’amore, e l’attesa di lei;
lei, la grazia sempre nuova, leggera, liquefatti smeraldi
tra pagliuzze d’oro, frutti acerbi ammiccanti in vaporosi
ricami, melodia delle sciolte campane nell’incedere flessuoso.
Altro non c’era, per me, in quel santo giorno,
in quella resurrezione misteriosa che mi lasciava sbigottito.
Le violaciocche.
Sul muro le viole di Santa Fina son fiorite,
nascono dalla pietra, in alto, dove non s’arrivano,
mi ricordano che la Santa Pasqua s’avvicina,
e, come i fiori cancellano dell’inverno il gelo
le campane che si sciolgono porteranno la speranza.
Ora ho l’amore dei bambini che mi riscalda,
la loro innocenza mi commuove. Guardo in alto,
e vedo le viole, la gialla rama, come il sole
e il soffio della vita, che non muore.
Chiedo poco ai miei giorni,
felice di stare accanto a chi m’ama.
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