Solitudine.
Amo questo piccolo borgo toscano,
nonostante tutto. Qui ho i miei ricordi e molti dei miei affetti. Ma, forse per
la mia tarda età, forse per i miei occhi che vedono meno, forse per il mio
sangue che scorre più veloce soltanto grazie alla cardioaspirina, forse perché
molti dei miei amici non ci sono più, e dormono lassù all’Olmone tutti i miei
antichi maestri, forse perché ci vorranno due o tre generazioni per far
integrare le centinaia di extracomunitari, non dico con noi vecchi, ma anche coi
nostri figli e nipoti, avverto pungente il senso della solitudine. Non ho
ricette. Percorro le strade semideserte, ricostruendo nella memoria fatti,
volti, amori, morti, lotte, balli, riunioni, passioni, che non esistono più.
Mentre siamo abbandonati a noi stessi, non ci garantisce una soddisfacente
qualità della vita la nostra “presunta” autosufficienza di governo, e per
verificarlo basta allontanarsi di qualche centinaio di metri dal “centro”.
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