martedì 9 febbraio 2016



Una conversazione con Frantisek Hrubin
(che, con il dovuto rispetto, faccio mia).

Domanda: Corre voce che lei stia per scrivere dei ricordi. Non vedo l’ora che escano; negli ultimi tempi leggo soprattutto memorialistica. Come vede lei questo genere letterario? E che sensazioni ha avuto e che cosa le veniva in mente leggendo il libro di Nezval Dalla mia vita? Lei è comunque stato presente a quasi tutto quello che Nezval ricorda, parlando sul periodo degni anni Venti.

Risposta: Come tutti, mi trascino dietro, con una lunga cordicella, ombre di ogni tipo. Qualcuna sorride, un’altra mi ingiuria, e un’altra ancora tace per l’ignominia. Mi piacerebbe sprofondarne qualcuna nella voragine dell’oblio, altre vorrei stringerle di nuovo al mio cuore. Però si tengono tutte saldamente insieme, non si può separarle bene. Mi si presentano tutte. Ma non scriverò delle memorie. No, già perché la mia memoria è dubbia. Non scriverò diari, non conservavo i documenti e buttavo nel primo tombino o nel fiume, dal ponte, i testi delle piuttosto numerose conferenze, fatti a pezzettini subito dopo essermi inchinato davanti agli ascoltatori. Dopo queste conferenze avevo una sensazione fastidiosa di vergogna. Le parole dette volano via, ma il testo rimane. Che andasse via, dunque! Per non essere però sospettato di voler far sparire molte cose spiacevoli che potrebbero smentirmi, ho deciso che con l’andar del tempo scriverò circa venti o trenta lettere abbastanza lunghe ai miei amici e conoscenti, scelti secondo il bisogno e le circostanze, per chiarirmi molte questioni del passato, per riconoscere i miei sbagli e le mie opinioni errate, eppoi anche perché, ricordando i morti intorno a me e dietro di me, possa aggiungere qualcosa alle loro figure che si dimenticano tanto in fretta. Saranno parecchi gli impegni di questo genere. Nella vita si presentano dei momenti in cui di solito diamo la precedenza alla letteratura dei fatti, la prosa ci favorisce perché una cosa la si possa dire semplicemente. I versi mai, dei versi abbiamo bisogno fino alla fine delle cose. Ci piace quindi prendere tra le mani anche i libri di ricordi. Lessi commosso Dalla mia vita di Nezval. E’ in parte una testimonianza anche della mia vita. Tra le parole Wahrheit e Dichtung, (verità e poesia), le lancette dell’immaginario quadrante indicano piuttosto la seconda parola, ma questo non m’importa assolutamente. Nezval non scriveva il suo libro soltanto per gli storici della letteratura, ma principalmente per i suoi lettori. Talvolta ha innalzato una realtà sobria, grigia, su un luminoso piano poetico e ha fatto bene. Del resto, oggi, in genere, ci interessa se i ritratti che si sono conservati degli antichi romani erano abbastanza fedeli?

Domanda: Apri la porta al lettore, tocca a lui orientarsi poi all’interno. Press’a poco così si espresse il poeta Leon-Paul Fargue. Cosa ne dice delle opinioni che appaiono qua e là, secondo le quali il lettore non ha affatto importanza e il poeta può lasciarlo stare davanti alla porta chiusa?

Risposta: Mi viene in mente F.X.Salda. Purtroppo in questo momento non riesco a ricordare dove ha scritto sulla missione e sullo stato del poeta nella nazione. Una volta fu espresso un aforisma: la poesia di tendenza è buona quando è buona. Sull’abuso della poesia per qualche tendenza, una volta Viktor Sklovskij disse “Col samovar si può piantare anche un chiodino, ma perché proprio col samovar? Le masse dei lettori, come sappiamo, sono piuttosto inclini al conservatorismo e all’agiatezza sperimentata delle vecchie forme. E così il poeta più di una volta scansa i suoi lettori, o addirittura rompe con loro. Ma come potrebbe distaccarsi da loro, quando solamente tramite loro può vivere la sua opera? Penso che potremmo adottare per la poesia la definizione usata da Russell per la storia dell’umanità. La storia della poesia è la storia dei grandi creatori, che creano la propria opera contro la volontà delle più vaste masse dei lettori. Ogni poeta vuole essere ascoltato, anche il più esclusivo. La poesia è un dialogo sulla verità e dovrebbe essere questo un dialogo appassionante, con la porta spalancata.


Accosto, nell’immagine, a questo grande poeta universale, una persona che ho conosciuto, io ragazzo e lui già uomo adulto, e che un giorno mi raccontò la sua esperienza di soldato nell’esercito fascista e poi, passato dalla parte della resistenza (fatto, questo, ignorato da quasi tutti!) Aveva un grande amore: FOLLONICA! Si, proprio la cittadina sul mar Tirreno. E con mia sorpresa mi regalò, con tanto di autografo, un suo opuscolo poetico dedicato proprio a Follonica: “Due ricordi frettolosi ed una fantasia più calma”! Non ci crederete: ma lo serbo tra le cose che più amo, insieme al Nobel  J. Seifert..   

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