da sin a dx: Federico Berlincioni, Francesco Gherardini, Alberto Ferrini
il poeta Federico Berlincioni
Federico
Berlincioni, un poeta.
Federico Berlincioni è venuto
oggi, da Firenze a Castelnuovo, per parlarci della sua poesia! Lo abbiamo
accolto con calore e curiosità. Il sindaco Alberto Ferrini e il presidente
dell’Associazione culturale “Il
Chiassino”, Francesco Gherardini, ne hanno tracciato il profilo
letterario e umano. Federico ha declamato i versi dei sonetti che fanno parte
del suo ultimo lavoro “Poesie” edito nel giugno 2014 sorprendendo tutti per la
sonorità e la sapienza della recitazione e suscitando un vivo consenso. Ha
risposto con riflessioni mai banali alle domande dei due presentatori ed infine
s’è trattenuto a parlare, in modo molto semplice, con molti dei presenti. Anche
con me! L’ho apprezzato moltissimo. Gli ho promesso alcuni stornelli della mia
raccolta e magari qualche proverbio licenzioso e ci siamo scambiati i recapiti
telefonici ed elettronici. Lo farò tra qualche giorno. La sua poesia, essenzialmente
sonetti, costruita su rigidi schemi metrici e rime, è molto diversa dalla mia, che
si basa su versi sciolti senza rima né ritmo, più prosa che poesia, si direbbe,
ed è una forma di “grande racconto” che parte dalla mia prima infanzia e
m’accompagna, quasi ogni giorno, sulla soglia della morte. Parafrasando Santa
Teresa di Lisieux, il mio canzoniere ha per titolo e sottotitolo “Sono nato nel
vicolo del Serrappuccio. Storia di un’anima” (1952-2016). Stasera, a casa, ho
riletto alcuni sonetti e tutti gli stornelli, poi ho preso in mano il mio
Seifert e sono riandato a cercare il capitolo “Quattro soste sulla tomba del
poeta”: “…di solito, agli inizi di marzo mi reco al cimitero di Vyshrad. Vi ho
alcuni amici e a volte qui mi sembra di essere ormai rimasto quasi solo.
Quest’anno era una fredda giornata di fine inverno e il cimitero era deserto.
Per prima cosa mi sono diretto verso Hrubin. La sua tomba era la più fresca.
Era morto appena il primo marzo….Dalla giovinezza m’è rimasta una sorta di
misteriosa inclinazione per i luoghi dei morti. Vado volentieri nei cimiteri.
Ho vissuto l’infanzia e l’adolescenza in intima vicinanza con i cimiteri di
Olsany…nei cimiteri di Olsany ho vissuto primavere esultanti e autunni
malinconici, senza mai pensare alla morte”.
Così anche io ho ripensato al mio
amore per i cimiteri sparsi nelle nostre colline, molti dei quali abbandonati
ed altri, per la rarefazione degli abitanti dei piccoli borghi e delle
campagne, che si rianimano soltanto all’inizio di novembre. Ne conosco molti:
Castelnuovo, Sasso Pisano, Montecastelli Pisano, Leccia, S. Ippolito, Lanciaia,
San Lorenzo a Montalbano, Anqua, Belforte, Montalcinello, Chiusdino, Gerfalco,
Fosini, Monterotondo, Lustignano, Serrazzano, San Dalmazio…Montecerboli, Pomarance
(che è quello più grande di tutti). In essi ho molti amici, e non mi dimentico
di loro. Le antiche pietre tombali, la suggestione dei grandi alberi che li
circondano quasi sempre, degli svettanti cipressi, ed anche le immagini molto
kisch dei tempi recenti, nonché i ricordi dei morti in guerra e nella
Resistenza, mi offrono sempre spunti alla poesia, e la mia raccolta ne contiene
assai. Ne trascrivo una, di queste nondeltuttopoesie:
Tombe, ricordi e un dubbio.
Il corbezzolo
rosseggia tra il verde smeraldo
eppure l’autunno
tarda i suoi ritmi freddi e nebbiosi,
il castagno stanco
della lunga attesa apre finalmente
i ricci spinosi,
come una sposa il suo grembo, mostrando
il frutto saporito,
un frutto dolcissimo, mentre nel cielo
che s’incurva al
degradar della collina al mare,
stridono le
avanguardie degli uccelli in partenza
verso una terra
solatia e lontana…Indeciso se salire
alla camera
dell’amica in attesa, che s’è fatta
bella nel buio della
vita che d’assedio la serra,
- oh! potessi
mandare un tenue raggio oltre l’insondabile
tenebra! – m’inoltro
nel bosco stillante brume
al piccolo
camposanto dove riposano antichi
amici aggirandomi
tra pietre consunte,
evanescente memoria.
Rodolfo veniva
a scuola con me e
Lino mi vendeva i primi giornali
dove incontrai la
storia, un grande amore a prima vista,
- il Partito
Comunista - e talvolta, fingendo,
quando il denaro
mancava, si ritirava nel piccolo
ripostiglio per
farmeli rubare! Maria mi portava
nelle magre pasture
con in mano la vetta del salcio,
stupito imparavo che
forze sconosciute legano l’uomo
al mistero
dell’Universo, e intanto invocava con ardore
Gesù e la Vergine benedetta; insieme
a lei
un’anima eletta mi
commuove in un distico:
amai la poesia, amai
la vita, così rivedo quegli
occhi penetranti che
leggevano le ansie del
nostro
cammino…
Tutto è silenzio tra
il lieve mormorio
delle foglie e lo
squittire dei topi campagnoli
nelle scope, tutti i
morti a me che m’avvicino
ora si stringono
salutando con sbiaditi biglietti
da visita: anima
mite e buona, spargi gemme
e fiori su questa
pietra che mi grava
dopo lunga e penosa malattia;
ed io che lasciai la
terra per donare la vita,
fulmineamente rapita
alla ridente giovinezza,
di rivolgere un
pensiero al sorriso che non vidi
soltanto ti chiedo,
e una preghiera
a quell’ignoto Dio;
qui giace, ormai
polvere e vermi, un giovane pio
e laborioso, che trovò inattesa morte sul lavoro
nello stabilimento
boracifero a ventinove anni;
m’è compagno silente
un povero fante
che si coprì di
gloria sui campi di battaglia
e nella pace cadde
vittima
delle bollenti acque
dei lagoni;
infine un’orazione
ti rammento
per me che non potei
invocare l’Altissimo
nel tragico
incidente che mi tolse la vita…
Oh! come grondano
dolore due lastre
neglette e scure
dimenticate da tutti addossate
al vecchio muro!
Folle gelosia ed un rimpianto
spezzarono i nostri
cuori innocenti, noi non abbiamo
croci per piangere
in questo luogo santo,
ma dolcissimi baci
ci scambiamo
in paradiso, tra lacrime pure.
Il cancello cigola,
geme la stanghetta arrugginita;
il tempo inghiottirà
polvere e memoria
di noi tutti, non
resterà niente se non qualche
pallida lettera e
immagini fredde
su dischi
indecifrabili, come lamine
etrusche o alieni
enigmi sui campi di grano.
E allora?
Forse è un bene la
dimenticanza, un bene il nulla?
un male l’eterno
ritorno, un male la passiva beatitudine?
E’ solo un dubbio
che improvviso m’è
entrato in quella
che viene chiamata “anima”.
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