lunedì 22 febbraio 2016


 da  sin a dx: Federico Berlincioni, Francesco Gherardini, Alberto Ferrini


il poeta Federico Berlincioni

Federico Berlincioni, un poeta.

Federico Berlincioni è venuto oggi, da Firenze a Castelnuovo, per parlarci della sua poesia! Lo abbiamo accolto con calore e curiosità. Il sindaco Alberto Ferrini e il presidente dell’Associazione culturale “Il  Chiassino”, Francesco Gherardini, ne hanno tracciato il profilo letterario e umano. Federico ha declamato i versi dei sonetti che fanno parte del suo ultimo lavoro “Poesie” edito nel giugno 2014 sorprendendo tutti per la sonorità e la sapienza della recitazione e suscitando un vivo consenso. Ha risposto con riflessioni mai banali alle domande dei due presentatori ed infine s’è trattenuto a parlare, in modo molto semplice, con molti dei presenti. Anche con me! L’ho apprezzato moltissimo. Gli ho promesso alcuni stornelli della mia raccolta e magari qualche proverbio licenzioso e ci siamo scambiati i recapiti telefonici ed elettronici. Lo farò tra qualche giorno. La sua poesia, essenzialmente sonetti, costruita su rigidi schemi metrici e rime, è molto diversa dalla mia, che si basa su versi sciolti senza rima né ritmo, più prosa che poesia, si direbbe, ed è una forma di “grande racconto” che parte dalla mia prima infanzia e m’accompagna, quasi ogni giorno, sulla soglia della morte. Parafrasando Santa Teresa di Lisieux, il mio canzoniere ha per titolo e sottotitolo “Sono nato nel vicolo del Serrappuccio. Storia di un’anima” (1952-2016). Stasera, a casa, ho riletto alcuni sonetti e tutti gli stornelli, poi ho preso in mano il mio Seifert e sono riandato a cercare il capitolo “Quattro soste sulla tomba del poeta”: “…di solito, agli inizi di marzo mi reco al cimitero di Vyshrad. Vi ho alcuni amici e a volte qui mi sembra di essere ormai rimasto quasi solo. Quest’anno era una fredda giornata di fine inverno e il cimitero era deserto. Per prima cosa mi sono diretto verso Hrubin. La sua tomba era la più fresca. Era morto appena il primo marzo….Dalla giovinezza m’è rimasta una sorta di misteriosa inclinazione per i luoghi dei morti. Vado volentieri nei cimiteri. Ho vissuto l’infanzia e l’adolescenza in intima vicinanza con i cimiteri di Olsany…nei cimiteri di Olsany ho vissuto primavere esultanti e autunni malinconici, senza mai pensare alla morte”.
Così anche io ho ripensato al mio amore per i cimiteri sparsi nelle nostre colline, molti dei quali abbandonati ed altri, per la rarefazione degli abitanti dei piccoli borghi e delle campagne, che si rianimano soltanto all’inizio di novembre. Ne conosco molti: Castelnuovo, Sasso Pisano, Montecastelli Pisano, Leccia, S. Ippolito, Lanciaia, San Lorenzo a Montalbano, Anqua, Belforte, Montalcinello, Chiusdino, Gerfalco, Fosini, Monterotondo, Lustignano, Serrazzano, San Dalmazio…Montecerboli, Pomarance (che è quello più grande di tutti). In essi ho molti amici, e non mi dimentico di loro. Le antiche pietre tombali, la suggestione dei grandi alberi che li circondano quasi sempre, degli svettanti cipressi, ed anche le immagini molto kisch dei tempi recenti, nonché i ricordi dei morti in guerra e nella Resistenza, mi offrono sempre spunti alla poesia, e la mia raccolta ne contiene assai. Ne trascrivo una, di queste nondeltuttopoesie:

Tombe, ricordi e un dubbio.

Il corbezzolo rosseggia tra il verde smeraldo                      
eppure l’autunno tarda i suoi ritmi freddi e nebbiosi,                              
il castagno stanco della lunga attesa apre finalmente
i ricci spinosi, come una sposa il suo grembo, mostrando                      
il frutto saporito, un frutto dolcissimo, mentre  nel cielo
che s’incurva al degradar della collina al mare,
stridono le avanguardie degli uccelli in partenza
verso una terra solatia e lontana…Indeciso se salire
alla camera dell’amica in attesa, che s’è fatta
bella nel buio della vita che d’assedio la serra,
- oh! potessi mandare un tenue raggio oltre l’insondabile
tenebra! – m’inoltro nel bosco stillante brume
al piccolo camposanto dove riposano antichi
amici aggirandomi tra pietre consunte,
evanescente memoria.

Rodolfo veniva
a scuola con me e Lino mi vendeva i primi giornali
dove incontrai la storia, un grande amore a prima vista,
- il Partito Comunista - e talvolta, fingendo,
quando il denaro mancava, si ritirava nel piccolo
ripostiglio per farmeli rubare! Maria mi portava
nelle magre pasture con in mano la vetta del salcio,
stupito imparavo che forze sconosciute legano l’uomo
al mistero dell’Universo, e intanto invocava con ardore
Gesù e la Vergine benedetta; insieme a lei
un’anima eletta mi commuove in un distico:
amai la poesia, amai la vita, così rivedo quegli
occhi penetranti che leggevano le ansie del
                                               nostro cammino…

Tutto è silenzio tra il lieve mormorio
delle foglie e lo squittire dei topi campagnoli
nelle scope, tutti i morti a me che m’avvicino
ora si stringono salutando con sbiaditi biglietti
da visita: anima mite e buona, spargi gemme
e fiori su questa pietra che mi grava
dopo lunga e penosa malattia;
ed io che lasciai la terra per donare la vita,
fulmineamente rapita alla ridente giovinezza,
di rivolgere un pensiero al sorriso che non vidi
soltanto ti chiedo, e una preghiera
a quell’ignoto Dio;
qui giace, ormai polvere e vermi, un giovane pio
e laborioso,  che trovò inattesa morte sul lavoro
nello stabilimento boracifero a ventinove anni;
m’è compagno silente un povero fante
che si coprì di gloria sui campi di battaglia
e nella pace cadde vittima
delle bollenti acque dei lagoni;
infine un’orazione ti rammento
per me che non potei invocare l’Altissimo
nel tragico incidente che mi tolse la vita…

Oh! come grondano dolore due lastre
neglette e scure dimenticate da tutti addossate
al vecchio muro! Folle gelosia  ed un rimpianto
spezzarono i nostri cuori innocenti, noi non abbiamo
croci per piangere in questo luogo santo,
ma dolcissimi baci ci scambiamo
in paradiso, tra lacrime pure. 

Il cancello cigola, geme la stanghetta arrugginita;
il tempo inghiottirà polvere e memoria
di noi tutti, non resterà niente se non qualche
pallida lettera e immagini fredde
su dischi indecifrabili, come lamine
etrusche o alieni enigmi sui campi di grano.
E allora?

Forse è un bene la dimenticanza, un bene il nulla?
un male l’eterno ritorno, un male la passiva beatitudine?

E’ solo un dubbio che improvviso m’è

entrato in quella che viene chiamata “anima”.

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