L'anno che muore; c'è ancora qualche fungo delizioso nel bosco...e domani si spera nell'arcobaleno!
L’ultimo giorno dell’anno
che muore…
In realtà, nel perenne fluire del
tempo, non è un evento eccezionale, ma soltanto un convenzionale conteggio del
tempo impiegato dal pianeta terra a percorrere un’orbita intorno alla sua
stella, il sole, cioè 365 giorni, salvo conguaglio. Tuttavia, in tal modo, si
tien conto anche dell’orologio biologico, quello che caratterizza, per il
momento, la specie umana, facendo riferimento sia all’orologio individuale che
quello della specie. Teoricamente la specie umana non vive più di 130 anni,
poco più o poco meno. In Italia, l’attesa di vita alla nascita è molto più
bassa, un po’ sotto gli 80 anni per i maschi e un po’ sopra per le femmine.
Perciò, ad ogni anno che muore, ma più all’attesa di quello che nasce, pare un
controsenso far gran festa! D’altra parte è difficile sottrarsene. Dunque
stamani mi sono alzato di buona lena, dedicando un tempo più lungo alla cura
della mia persona, a parte la solita doccia, curare di più i dettagli estetici.
Ho fatto bene ad anticipare la levata, perché assai presto sono arrivati i
nipoti, carichi di energia, a mettere a soqquadro la casa. Con Bereket, che
frequenta la terza classe elementare, mi son messo a fare le lezioni, mentre la
bimba trafficava in cucina con la nonna. Stamani abbiamo parlato di scienze:
alberi e foglie. Delle quattro specie di foglie raccolte abbiamo descritto le
caratteristiche, in più doveva fare una piccola ricerca su un albero…ha scelto
il mandorlo, che ben conosce per averne diversi intorno al caseificio. Mi è piaciuta
anche per l’accento poetico, quando ha scritto che “a primavera mette i suoi
bei fiori bianchi”. Infine aveva da fare il riassunto su due pagine del libro
del linguaggio, per un racconto che parlava dei topolini che si affannavano, in
concomitanza dell’arrivo dell’inverno, a mettere al sicuro nelle tane molte
provviste, mentre uno, Federico, invece di lavorare stava a scrivere…scriveva
poesie. I suoi compagni gli chiedevano di unirsi a loro senza perder tempo, ma
lui ignorava tale richiesta. Però, durante il lungo inverno, nel buio, nel
freddo, nella scarsità degli alimenti, i topini languivano e disperavano di
sopravvivere. Allora Federico li nutriva con le parole che aveva scritto
evocando, i giorni luminosi, il calore del sole e l’abbondanza del nutrimento,
oltre all’amore. E perciò i topini si nutrivano l’anima e questo nutrimento li
aiutava a sopravvivere. Ai loro complimenti d’esser poeta Federico rispondeva
così: “non dovete incoronarmi con l’alloro/ho fatto solo il mio lavoro!”Bravo
Bereket, ha davvero la magia della poesia nel sangue! Per premio l’ho portato
sulle rive del nostro torrente, adesso ricco di acque limpide. Ci siamo
divertiti a lanciare piccoli legni nella
corrente dal di sopra un ponticello e poi correre sul lato a valle per vedere
chi arrivava prima alle rapide…e quando i legnetti (i nostri vascelli)
s’impigliavano ad una roccia o un ramo, cercavamo di disincagliarli con il
lancio di grosse pietre. Abbiamo fantasticato sul bel pozzo creato dalle piene
d’autunno, sperando che resti così anche in estate per poter fare il bagno…poi
raccolte piccole pietre “speciali” per forma e colori, ci siamo divertiti a
rompere il ghiaccio che ancora restava sull’acqua morta a bacio…Eravamo davvero
una bella coppia!
Stasera andrò a Volterra, con gli amici della natura e gli
astrofili e pregusto già la gioia di stare insieme, attendendo il 2013 tra gli
aneddoti di Fabio e la sapiente cucina dei volontari, le risate delle donne e i
sorrisi di belle ragazze. Ma,allora, forse è giusto far festa? Se non altro per
essere vivi!
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