lunedì 31 dicembre 2012


L'anno che muore; c'è ancora qualche fungo delizioso nel bosco...e domani si spera nell'arcobaleno!






L’ultimo giorno dell’anno che muore…

In realtà, nel perenne fluire del tempo, non è un evento eccezionale, ma soltanto un convenzionale conteggio del tempo impiegato dal pianeta terra a percorrere un’orbita intorno alla sua stella, il sole, cioè 365 giorni, salvo conguaglio. Tuttavia, in tal modo, si tien conto anche dell’orologio biologico, quello che caratterizza, per il momento, la specie umana, facendo riferimento sia all’orologio individuale che quello della specie. Teoricamente la specie umana non vive più di 130 anni, poco più o poco meno. In Italia, l’attesa di vita alla nascita è molto più bassa, un po’ sotto gli 80 anni per i maschi e un po’ sopra per le femmine. Perciò, ad ogni anno che muore, ma più all’attesa di quello che nasce, pare un controsenso far gran festa! D’altra parte è difficile sottrarsene. Dunque stamani mi sono alzato di buona lena, dedicando un tempo più lungo alla cura della mia persona, a parte la solita doccia, curare di più i dettagli estetici. Ho fatto bene ad anticipare la levata, perché assai presto sono arrivati i nipoti, carichi di energia, a mettere a soqquadro la casa. Con Bereket, che frequenta la terza classe elementare, mi son messo a fare le lezioni, mentre la bimba trafficava in cucina con la nonna. Stamani abbiamo parlato di scienze: alberi e foglie. Delle quattro specie di foglie raccolte abbiamo descritto le caratteristiche, in più doveva fare una piccola ricerca su un albero…ha scelto il mandorlo, che ben conosce per averne diversi intorno al caseificio. Mi è piaciuta anche per l’accento poetico, quando ha scritto che “a primavera mette i suoi bei fiori bianchi”. Infine aveva da fare il riassunto su due pagine del libro del linguaggio, per un racconto che parlava dei topolini che si affannavano, in concomitanza dell’arrivo dell’inverno, a mettere al sicuro nelle tane molte provviste, mentre uno, Federico, invece di lavorare stava a scrivere…scriveva poesie. I suoi compagni gli chiedevano di unirsi a loro senza perder tempo, ma lui ignorava tale richiesta. Però, durante il lungo inverno, nel buio, nel freddo, nella scarsità degli alimenti, i topini languivano e disperavano di sopravvivere. Allora Federico li nutriva con le parole che aveva scritto evocando, i giorni luminosi, il calore del sole e l’abbondanza del nutrimento, oltre all’amore. E perciò i topini si nutrivano l’anima e questo nutrimento li aiutava a sopravvivere. Ai loro complimenti d’esser poeta Federico rispondeva così: “non dovete incoronarmi con l’alloro/ho fatto solo il mio lavoro!”Bravo Bereket, ha davvero la magia della poesia nel sangue! Per premio l’ho portato sulle rive del nostro torrente, adesso ricco di acque limpide. Ci siamo divertiti a lanciare  piccoli legni nella corrente dal di sopra un ponticello e poi correre sul lato a valle per vedere chi arrivava prima alle rapide…e quando i legnetti (i nostri vascelli) s’impigliavano ad una roccia o un ramo, cercavamo di disincagliarli con il lancio di grosse pietre. Abbiamo fantasticato sul bel pozzo creato dalle piene d’autunno, sperando che resti così anche in estate per poter fare il bagno…poi raccolte piccole pietre “speciali” per forma e colori, ci siamo divertiti a rompere il ghiaccio che ancora restava sull’acqua morta a bacio…Eravamo davvero una bella coppia!
Stasera andrò a Volterra, con gli amici della natura e gli astrofili e pregusto già la gioia di stare insieme, attendendo il 2013 tra gli aneddoti di Fabio e la sapiente cucina dei volontari, le risate delle donne e i sorrisi di belle ragazze. Ma,allora, forse è giusto far festa? Se non altro per essere vivi!

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