Nei Tatry.
E’ tutto!
Una settimana di “influenza” mi ha costretto a stare in casa.
Adesso va’ meglio e domani andrò a votare per l’Europa e per il mio Comune. Per
fortuna mi piace il ciclismo in tv, e da sempre seguo le “classiche”, il Giro
ed il Tour, naturalmente i Campionati del mondo, su strada e su pista, per
uomini e donne, professionisti e dilettanti! Ieri bellissima tappa nel Gran
Paradiso. Perciò non mi annoio troppo. Naturalmente, come ho sempre fatto fin
da quand’ero bambino, approfitto per rovistare tra le vecchie carte e
cianfrusaglie, con la sicurezza di trovarvi dei tesori! Cioè, vecchie
fotografie, più o meno sbiadite, santini di cresime e comunioni, tessere di
partito e di sindacato, ricordini dei nonni morti ed altri piccoli oggetti
della mia amata nonna ed anche cartelle sanitarie dei miei non pochi soggiorni
negli ospedali. Queste cartelle mi fanno ricostruire il “cammino della
speranza” perché sono abbastanza felicemente approdato alla bella età di 81
anni! Certo, alcune volte l’ho scampata bella, anzi, una volta, se non ci
metteva l’anima una Santa francese, potevo benissimo andare a far terra da
ceci! Nel 1949 mi salvò la vita l’arrivo nel paesello della “penicillina”! E
così cominciai a credere alla “scienza medica”. Seguirono ricoveri e terapie
negli Ospedali di Volterra, Massa Marittima, Pisa, Grosseto, Siena, Firenze,
Bologna…e su questo tema ho scritto alcuni racconti e “poesiole” ricordando
episodi grotteschi, sentimentali, professionali, miracolosi. Una delle ultime
volte fui addirittura invitato dal primario del Settore a tenere una “lezione” dal mio
lettino, sulla mia patologia e suo decorso, dopo un intervento chirurgico, ad
un gruppo di studenti di medicina della locale Università! Un’altra volta
avvenne il “miracolo” per una guarigione, data ormai per impossibile. Ci fu
anche un soggiorno lungo per un intervento chirurgico breve, di attesa, durante
il quale bisbocciai con altri pazienti egualmente in attesa, e feci amicizia
con l’unica suora “brabantina” di quel reparto. Sapendo che mi piaceva far
ricerche di storia, mi chiese se potevo inserire nel saggio che stavo predisponendo un accenno alla sua “beata”, Domenica,
dando così un contributo per la sua
causa di santificazione! Cosa che feci e per quasi trenta anni mando una
piccola offerta al suo Ordine, dato che ella non è più in Italia. Paure,
angosce, sorrisi, carezze, speranze, non sono mancate. La Santa “francese” sono
andato anche a trovarla a Parigi, per dirle “MERCI!”. Anche la saturazione di
una venuzza che s’era rotta nel cranio
ebbe momenti tragici e poi di gioia immensa! Constatai in quell’occasione l’incredibile processo tecnologico salvavita
umana e la grazia di quella meravigliosa chirurga che mi accarezzava! Tutto m’è ritornato alla mente ieri sera,
leggendo alcune pagine del libro di
Jaroslav Seifert “Tutte le bellezze del mondo”. E’ questo un libro letto e
riletto più volte, al quale ho rubato diversi spunti poetici! Leggendolo nella
traduzione in lingua italiana credo di perdere molto della sua freschezza, ma, purtroppo,
nonostante che per decenni la mia vita
si sia intrecciata con persone delle odierne Repubbliche Ceca e Slovacca, non
sono riuscito ad imparare che cento o duecento parole, affidandomi del tutto
alla capacità di quei popoli di apprendere con facilità la lingua nostra!
Scrive Seifert all’età di ottanta anni:
“…E’ tutto!
Sento spesso oggi questo sorprendente modo di dire. Al
principio non lo capivo troppo. E qui qualcuno mi ha insegnato che significa; è
finito, è tutto, è la fine. Ma voglio confidarvi ancora qualcosa. So perché
molti giovani medici non cercano moglie chissà dove e non intraprendono per lei
lunghi e avventurosi viaggi per mari e monti. Si guardano due o tre volte
attorno nel loro luogo di lavoro e ci sono le nozze. Anche a me, del resto,
piacevano le colombine inamidate dalle cuffie candide e rigide fermate nei
capelli con dei fermagli. A volte le infermiere portano malvolentieri questa
cuffia. Per loro è più piacevole quando d’estate stanno a testa scoperta; la
caposala poi le richiama. Evidentemente non sanno quanto dona loro. Ma che
sciocchezza! Lo sanno fin troppo bene. Quando ero ricoverato in ospedale, a
dire il vero ero in una posizione alquanto scomoda, ma nonostante ciò, mi
piaceva guardare le alucce bianche che svolazzavano da un letto all’altro, da
un dolore all’altro e da un gemito a dei sospiri. Ventiquattro ore su
ventiquattro…
In uno dei policlinici mi avevano prescritto la ionoforesi.
Aspettavo insieme ad altri malati che mi chiamassero. Quando si sentì il mio
nome, un’infermiera mi diede una compressa di calcio da mandare giù. Poi mi guardò con aria abbastanza severa e mi chiese
bruscamente:
<Le piacciono le poesiole?>.
<Mi piacciono, - proruppi sorpreso. – Perché me lo
chiede?>.
<No, solo per il nome che ha>.
Ebbene, è tutto. Ciò ch volevo e potevo dire, l’ho detto. Ho
concluso il mio racconto. E’ la fine.
E’ tutto!
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