domenica 21 maggio 2017



Nella foto Eny è la quinta da sin a dex. (1935 ca.)

Eny Serenari. 100° Anniversario della nascita.

Il 22 maggio 1917, da Giuseppe Serenari (nato il 6 ottobre 1891) e da Emilia Bilei (nata nel novembre 1892) nasce a Mather (USA) in Pennsilavnia,  secondogenita di una famigliola di emigranti castelnuovini, Eny. Lery, la sorella aveva ormai tre anni ed anch'essa era nata negli Stati Uniti. Come tanti altri castelnuovini Giuseppe ed Emilia avevano affrontato il terribile viaggio in bastimento per cercare una risposta alla loro miseria:

Cara mamma voglio partire
Nell'America voglio andar,
Sono stanco di soffrire
Là mi voglio consolar.
...
Mamma mia dammi cento lire
Perchè nell'America voglio andar,
"Cento lire te li dò
Ma nell'America no, no, no."

Ma ascoltiamo il racconto di questa storia, proprio da Eny:

…noi, di casa si stava in borgo, sopra la chiesa, anzi a parete con essa. Fino a che non è morto il mio nonno, Giuseppe Bilei, quella casa apparteneva alla nonna materna, Elettra Frasconi, che l'aveva portata in dote. Allora tutti si abitava nel borgo e il paese finiva con la casa di Ginulfo al Piazzone e con quella di Meo, il carraio, a San Rocco. Dove ora ci sono le case del Meucci ci si andava a vedere il circo " La Carla" e i saltimbanchi...e poi intorno c'erano i campi. Le due porte del borgo erano aperte, ma con i muri solidi e gli archi e fuori della porta Fiorentina c'era l'unica fonte con l'abbeveratoio e il lavatoio. L'altra fonte, quella monumentale, era in castello con un'altro lavatoio, la buttarono giù gli americani nella guerra perchè non ci passavano con i carri armati. Quando morì il nonno si cambiò casa andando ad abitare nella piazzetta del Masselli. Io, Lery, la sorella più grande, i miei genitori e la nonna e poi Gemma, la sorella più piccola che è nata nel 1923. E come la nostra famiglia erano quasi tutte le altre, coi nonni in casa, un po' di terra da lavorare e chi era più fortunato un lavoro alla Boracifera, ma anche con più di tre figli! La casa aveva due camere, di cui una buia, un salotto e una cucina. L'ingresso della cucina dava direttamente sulla via e non c'erano servizi igienici (allora nessuno li aveva in casa). Nella camera buia, su due letti da una piazza e mezzo ci si dormiva noi tre sorelle con la nonna Elettra e i genitori dormivano in quell'altra. Poi la nonna si ammalò e allora si trasferì nella camera dei genitori, dove morì, nel 1938. I "nostri bisogni" si facevano nel vaso che veniva vuotato in dei "bigoncioli" o barlette poi portate col ciuco alla vigna oppure immesse nel fossato. Poi, verso il 1935, si ricavò un piccolo stanzino con la buca - il nostro bagno! - che andava a finire nel pozzo nero in cantina. Al piano seminterrato c'erano le stalle, per il ciuco e per i gabbioni dei conigli e anche per tenerci il vino della nostra vigna, le legna e le foglie secche di castagno che avevamo raccolto e servivano ad impattare il maiale nel castro al di là del fossato...la paglia costava troppo cara. Ai Lagoni di Sant' Antonio c'era un orto e vi tenevamo qualche pollo. Il mobilio della cucina consisteva nella madia, l'attaccarami, il focarile e due fornelli a carbone per cucinare. La lastra per stirare si metteva a scaldare sul focarile e qualche volta anche il pentolo coi fagioli. La polenta si faceva nel paiolo che si attaccava alla catena del camino. In casa c'era anche una botola che serviva per gettare di sotto, in una specie di sugaia, la spazzatura e i rifiuti. L'inverno veniva brutto, sempre con tanta neve e si empiva la "ghiaccera" a San Rocco e per scendere nelle vie del borgo ci si faceva le ciabattine di cencio per non cadere sul ghiaccio. Quando nel 1938, l'otto di dicembre, sposò la mia Lery c'era un metro di neve! e nel 1942, quando morì il mio babbo, il 17 di febbraio, nevicò anche il 20 di ottobre. Si metteva il fuoco a letto e si tenevano un braciere e due o tre caldani: la brace e la carbonella si facevano da noi e il carbone si comprava da Ciro di Naso. Se poi qualcuno era ammalato o aveva il "mal di pancia", si scaldava un testo e si avvolgeva in un panno di lana prima di metterlo nel letto. Nell'inverno nel tempo di Natale si andava a veglia nelle case di parenti o famiglie di amici e si giocava a tombola e noi bimbi all'anello, alle befane e a fare i ditali di farina dolce sul focarile, e qualche volta anche il croccante con zucchero e mandorle che ci dava Annita Frasconi, che nella vigna ne aveva tante. D'estate veniva caldo: il bagno si faceva in una tinozza grande. Non si viveva male in questo periodo, dopo il ritorno dall'America, almeno non peggio delle altre famiglie, anche se eravamo tre femmine. Prima di andare in America il mio babbo lavorava come bracciante in campagna, allora non aveva ancora la terra che la portò in dote Emilia, campi con vigna al di là del Pavone, verso le Casettine, sopra il Cantini. Nel 1941 avvenne la divisione dei beni tra i due fratelli Serenari, mio padre Giuseppe e Raffaello, e noi si prese la vigna, Raffaello la casa. Ma appena sposati, nel 1912, partirono per l'America. Avevano 20 e 22 anni e il babbo fece il minatore nelle miniere di carbone fino al 1921 insieme con tanti altri castelnuovini. Mio padre partì per l'America perchè c'erano già sua sorella Speranza e suo cognato, Panicucci Panicuccio, detto "Giombè". Prima abitarono insieme, poi si divisero. La sorella, cioè mia zia, morì all'età di 33 anni, lasciando tre figli, Pierino, Ismo e Giorgio. A Castelnuovo si ammalò gravemente il babbo del mio babbo, Pietro, e noi si ritornò in Italia per rivederlo. Si pensava di ripartire ma ci fu una novità perchè il babbo fu preso a lavorare alla Boracifera, ai filtri dell'acido borico a Larderello. Faceva i turni e andava a piedi, poi nel tempo libero andava a lavorare le nostre terre sopra il Pavone. Noi col fascismo non abbiamo avuto problemi. Non si aveva alcuna idea politica ed eravamo molto religiosi. Una volta i fascisti presero mio padre, ma cercavano un'altro Serenari e lo rilasciarono subito. Quando tornò dall'America aveva perso il diritto al voto, così non si votava nessuno perchè le donne allora non votavano. Per andare alle terre ci voleva un'ora  e una per tornare. Molti borghigiani avevano le terre, più o meno vicine al paese. Qualche volta si andava anche noi bimbe, per la via del Brotino, la madonna al Piano e il fiume si passava al Collonzolo; solo se c'era la piena si passava col ciuco sul ponte lungo, al Defizio...le nostre terre erano un vero giardino, con tanti frutti, viti e anche un po' di grano e granturco che si macinavano al mulino e il vino bastava a due famiglie. Però non avevamo i castagni e si raccattavano quelli del mio zio Raffaello, all'Acquaio e anche quelli di Brillante, al Giardino. Mia sorella Lery lavorava di sarta e tanta gente di campagna la pagava con prodotti alimentari; le legna si facevano nel castagneto e anche lungo il Pavone, che dopo le piene portava tanti tronchi e rami. Si andava col ciuco a fare le fascine, le schiappe, i ciocchi, perchè allora era libera la raccolta della legna e non si pagava il legnatico, bastava solo non fare danni al bosco, e non era fatica, ma un divertimento! Il pane si preparava in casa e si andava a cuocere a uno dei numerosi forni del borgo, noi si cuoceva a quello di Celide, ai muriccioli, che apparteneva al Cercignani,  e prima si ripuliva e si scaldava. La nostra alimentazione era fatta di pane, verdure e maiale. Il passeggio era andare alla fonte perchè c'era sempre un gran via vai di persone e mi ricordo che una volta, sul ghiacciato, scivolai  per salvare le brocche di rame, poi le brocche si dettero alla Patria con le nostre fedi d'oro...Si, c'erano pochi divertimenti: la Filarmonica, il ballo, le processioni in borgo, qualche operetta fatta da attori paesani, Eda Benincasa, Ezio Fabbri e altri; si festeggiava in borgo Pasqua di Rose, anche con giochi al casalino e per le strade si mettevano i petali dei fiori; poi, a gruppi di amiche, si andava per la strada dei Lagoni, a spasso coi nostri fidanzati e così si faceva anche dopo le funzioni religiose tenute a sera ne mese di maggio, nella chiesa di castello. La chiesa del borgo era meno importante, però ci si festeggiava la "Candelora" e poi era la sede della Misericordia. Quando c'erano le processioni tutti gli uomini della Misericordia uscivano incappucciati e con gli stendardi e i lampioni. Quando aprirono l'Asilo, nel 1927, io ci andavo a imparare il ricamo e dopo lo insegnavo ai bimbi più piccini. Allora c'era suor Leonora, nata nel 1902  e che adesso è ancora viva e si trova all'asilo di Lustignano. Ci sono andata per molti anni e c'erano quattro o cinque suore. Le fiere erano tra le feste più attese, specialmente quella di novembre, la più ricca perchè erano state vendute le castagne! si faceva al Piazzone e noi ci si divertiva a veder arrivare anche da Fosini la gente delle campagne con tutte le bestie, cavalli, ciuchi, bovi infiocchettati, tutto un via vai di persone, capre, il cantastorie che cantava del Musi e dei Franchi, e anche dopo cena si poteva uscire, accompagnate da qualche familiare o persona più anziana. Una volta all'anno si andava alla fiera della Perla e anche, a piedi, alla Madonna della casa a San Dalmazio, passando da Lama, Quercetonda, Mitigliano attraverso i boschi e le grotte e ci si fermava a far colazione e a San Dalmazio si faceva sosta per comprare le cartoline, ma prima di entrare in paese ci si metteva tutte a cantare. Allora visitai Lanciaia e la torre di Sillano. Di gite più lunghe ho fatto, col barroccio della Tradotta o con quello di Romolino, quella per la festa della Madonna del Frassine. Invece la festa della Madonna a Castelnuovo era al Piano. Ci si andava a piedi per la via del Brotino, tante persone, e si faceva merenda. Gli uomini invece andavano alle "Società" dove giocavano a carte e a bigliardo e bevevano il vino. Ce n'era una anche in via Nuova del Borgo, dove poi tornò la Bicchierona, anche il Nero c'è stato tanto. Un'altra “Società” era al Caratello. In paese, al bar di Ersilia "la stagnina", vendevano anche il gelato e così da Luisa, la mamma di Sorge Groppi, il barbiere. Dolci e gelato li vendeva anche "Silla", che era stato in Sicilia e li sapeva fare. In paese c'erano tanti ubriachi! Mio padre è morto nel 1942 e io avevo già sposato Enzo, nel 1939, ed ero tornata su per la Chioca. Lery aveva sposato l'anno prima ed era tornata con Vairo alle Piagge. Mia mamma rimase in casa con Gemma e cominciò ad andare "a opre" in campagna, a  levare le pietre dai campi, fare i bucati e altri lavori pesanti. Poi Gemma venne presa alla Cooperativa di consumo come commessa e la situazione economica migliorò".


Registrazione di Carlo Groppi, 1987. Eny è la mamma di mia moglie, Grazia. Praticamente dal 1959 al 2008 abbiamo vissuto o nella stessa casa o molto vicini. E' stata una persona semplice, religiosa, mite. Cucinava benissimo ed in più era una ricamatrice di talento. Sono contento di aver conservato alcuni dei suoi lavori, vere opere d'arte. 

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