Nella foto Eny è la quinta da sin a dex. (1935 ca.)
Eny
Serenari. 100° Anniversario della nascita.
Il
22 maggio 1917, da Giuseppe Serenari (nato il 6 ottobre 1891) e da Emilia Bilei
(nata nel novembre 1892) nasce a Mather (USA) in Pennsilavnia, secondogenita di una famigliola di emigranti
castelnuovini, Eny. Lery, la sorella aveva ormai tre anni ed anch'essa era nata
negli Stati Uniti. Come tanti altri castelnuovini Giuseppe ed Emilia avevano
affrontato il terribile viaggio in bastimento per cercare una risposta alla
loro miseria:
Cara
mamma voglio partire
Nell'America
voglio andar,
Sono
stanco di soffrire
Là
mi voglio consolar.
...
Mamma
mia dammi cento lire
Perchè
nell'America voglio andar,
"Cento
lire te li dò
Ma
nell'America no, no, no."
Ma
ascoltiamo il racconto di questa storia, proprio da Eny:
…noi, di casa si stava in borgo, sopra
la chiesa, anzi a parete con essa. Fino a che non è morto il mio nonno,
Giuseppe Bilei, quella casa apparteneva alla nonna materna, Elettra Frasconi,
che l'aveva portata in dote. Allora tutti si abitava nel borgo e il paese
finiva con la casa di Ginulfo al Piazzone e con quella di Meo, il carraio, a
San Rocco. Dove ora ci sono le case del Meucci ci si andava a vedere il circo
" La Carla "
e i saltimbanchi...e poi intorno c'erano i campi. Le due porte del borgo erano
aperte, ma con i muri solidi e gli archi e fuori della porta Fiorentina c'era
l'unica fonte con l'abbeveratoio e il lavatoio. L'altra fonte, quella
monumentale, era in castello con un'altro lavatoio, la buttarono giù gli
americani nella guerra perchè non ci passavano con i carri armati. Quando morì
il nonno si cambiò casa andando ad abitare nella piazzetta del Masselli. Io,
Lery, la sorella più grande, i miei genitori e la nonna e poi Gemma, la sorella
più piccola che è nata nel 1923. E come la nostra famiglia erano quasi tutte le
altre, coi nonni in casa, un po' di terra da lavorare e chi era più fortunato
un lavoro alla Boracifera, ma anche con più di tre figli! La casa aveva due camere,
di cui una buia, un salotto e una cucina. L'ingresso della cucina dava
direttamente sulla via e non c'erano servizi igienici (allora nessuno li aveva
in casa). Nella camera buia, su due letti da una piazza e mezzo ci si dormiva
noi tre sorelle con la nonna Elettra e i genitori dormivano in quell'altra. Poi
la nonna si ammalò e allora si trasferì nella camera dei genitori, dove morì,
nel 1938. I "nostri bisogni" si facevano nel vaso che veniva vuotato
in dei "bigoncioli" o barlette poi portate col ciuco alla vigna
oppure immesse nel fossato. Poi, verso il 1935, si ricavò un piccolo stanzino
con la buca - il nostro bagno! - che andava a finire nel pozzo nero in cantina.
Al piano seminterrato c'erano le stalle, per il ciuco e per i gabbioni dei
conigli e anche per tenerci il vino della nostra vigna, le legna e le foglie
secche di castagno che avevamo raccolto e servivano ad impattare il maiale nel
castro al di là del fossato...la paglia costava troppo cara. Ai Lagoni di Sant'
Antonio c'era un orto e vi tenevamo qualche pollo. Il mobilio della cucina
consisteva nella madia, l'attaccarami, il focarile e due fornelli a carbone per
cucinare. La lastra per stirare si metteva a scaldare sul focarile e qualche
volta anche il pentolo coi fagioli. La polenta si faceva nel paiolo che si
attaccava alla catena del camino. In casa c'era anche una botola che serviva
per gettare di sotto, in una specie di sugaia, la spazzatura e i rifiuti.
L'inverno veniva brutto, sempre con tanta neve e si empiva la "ghiaccera"
a San Rocco e per scendere nelle vie del borgo ci si faceva le ciabattine di
cencio per non cadere sul ghiaccio. Quando nel 1938, l 'otto di dicembre,
sposò la mia Lery c'era un metro di neve! e nel 1942, quando morì il mio babbo,
il 17 di febbraio, nevicò anche il 20 di ottobre. Si metteva il fuoco a letto e
si tenevano un braciere e due o tre caldani: la brace e la carbonella si
facevano da noi e il carbone si comprava da Ciro di Naso. Se poi qualcuno era
ammalato o aveva il "mal di pancia", si scaldava un testo e si
avvolgeva in un panno di lana prima di metterlo nel letto. Nell'inverno nel
tempo di Natale si andava a veglia nelle case di parenti o famiglie di amici e
si giocava a tombola e noi bimbi all'anello, alle befane e a fare i ditali di
farina dolce sul focarile, e qualche volta anche il croccante con zucchero e
mandorle che ci dava Annita Frasconi, che nella vigna ne aveva tante. D'estate
veniva caldo: il bagno si faceva in una tinozza grande. Non si viveva male in
questo periodo, dopo il ritorno dall'America, almeno non peggio delle altre
famiglie, anche se eravamo tre femmine. Prima di andare in America il mio babbo
lavorava come bracciante in campagna, allora non aveva ancora la terra che la
portò in dote Emilia, campi con vigna al di là del Pavone, verso le Casettine,
sopra il Cantini. Nel 1941 avvenne la divisione dei beni tra i due fratelli
Serenari, mio padre Giuseppe e Raffaello, e noi si prese la vigna, Raffaello la
casa. Ma appena sposati, nel 1912, partirono per l'America. Avevano 20 e 22
anni e il babbo fece il minatore nelle miniere di carbone fino al 1921 insieme
con tanti altri castelnuovini. Mio padre partì per l'America perchè c'erano già
sua sorella Speranza e suo cognato, Panicucci Panicuccio, detto "Giombè".
Prima abitarono insieme, poi si divisero. La sorella, cioè mia zia, morì all'età
di 33 anni, lasciando tre figli, Pierino, Ismo e Giorgio. A Castelnuovo si
ammalò gravemente il babbo del mio babbo, Pietro, e noi si ritornò in Italia
per rivederlo. Si pensava di ripartire ma ci fu una novità perchè il babbo fu
preso a lavorare alla Boracifera, ai filtri dell'acido borico a Larderello.
Faceva i turni e andava a piedi, poi nel tempo libero andava a lavorare le
nostre terre sopra il Pavone. Noi col fascismo non abbiamo avuto problemi. Non
si aveva alcuna idea politica ed eravamo molto religiosi. Una volta i fascisti
presero mio padre, ma cercavano un'altro Serenari e lo rilasciarono subito.
Quando tornò dall'America aveva perso il diritto al voto, così non si votava
nessuno perchè le donne allora non votavano. Per andare alle terre ci voleva
un'ora e una per tornare. Molti
borghigiani avevano le terre, più o meno vicine al paese. Qualche volta si
andava anche noi bimbe, per la via del Brotino, la madonna al Piano e il fiume
si passava al Collonzolo; solo se c'era la piena si passava col ciuco sul ponte
lungo, al Defizio...le nostre terre erano un vero giardino, con tanti frutti,
viti e anche un po' di grano e granturco che si macinavano al mulino e il vino
bastava a due famiglie. Però non avevamo i castagni e si raccattavano quelli
del mio zio Raffaello, all'Acquaio e anche quelli di Brillante, al Giardino.
Mia sorella Lery lavorava di sarta e tanta gente di campagna la pagava con
prodotti alimentari; le legna si facevano nel castagneto e anche lungo il
Pavone, che dopo le piene portava tanti tronchi e rami. Si andava col ciuco a
fare le fascine, le schiappe, i ciocchi, perchè allora era libera la raccolta
della legna e non si pagava il legnatico, bastava solo non fare danni al bosco,
e non era fatica, ma un divertimento! Il pane si preparava in casa e si andava
a cuocere a uno dei numerosi forni del borgo, noi si cuoceva a quello di
Celide, ai muriccioli, che apparteneva al Cercignani, e prima si ripuliva e si scaldava. La nostra
alimentazione era fatta di pane, verdure e maiale. Il passeggio era andare alla
fonte perchè c'era sempre un gran via vai di persone e mi ricordo che una
volta, sul ghiacciato, scivolai per
salvare le brocche di rame, poi le brocche si dettero alla Patria con le nostre
fedi d'oro...Si, c'erano pochi divertimenti: la Filarmonica , il ballo,
le processioni in borgo, qualche operetta fatta da attori paesani, Eda
Benincasa, Ezio Fabbri e altri; si festeggiava in borgo Pasqua di Rose, anche
con giochi al casalino e per le strade si mettevano i petali dei fiori; poi, a
gruppi di amiche, si andava per la strada dei Lagoni, a spasso coi nostri
fidanzati e così si faceva anche dopo le funzioni religiose tenute a sera ne
mese di maggio, nella chiesa di castello. La chiesa del borgo era meno
importante, però ci si festeggiava la "Candelora" e poi era la sede
della Misericordia. Quando c'erano le processioni tutti gli uomini della
Misericordia uscivano incappucciati e con gli stendardi e i lampioni. Quando
aprirono l'Asilo, nel 1927, io ci andavo a imparare il ricamo e dopo lo
insegnavo ai bimbi più piccini. Allora c'era suor Leonora, nata nel 1902 e che adesso è ancora viva e si trova
all'asilo di Lustignano. Ci sono andata per molti anni e c'erano quattro o
cinque suore. Le fiere erano tra le feste più attese, specialmente quella di
novembre, la più ricca perchè erano state vendute le castagne! si faceva al
Piazzone e noi ci si divertiva a veder arrivare anche da Fosini la gente delle
campagne con tutte le bestie, cavalli, ciuchi, bovi infiocchettati, tutto un
via vai di persone, capre, il cantastorie che cantava del Musi e dei Franchi, e
anche dopo cena si poteva uscire, accompagnate da qualche familiare o persona
più anziana. Una volta all'anno si andava alla fiera della Perla e anche, a
piedi, alla Madonna della casa a San Dalmazio, passando da Lama, Quercetonda,
Mitigliano attraverso i boschi e le grotte e ci si fermava a far colazione e a
San Dalmazio si faceva sosta per comprare le cartoline, ma prima di entrare in
paese ci si metteva tutte a cantare. Allora visitai Lanciaia e la torre di
Sillano. Di gite più lunghe ho fatto, col barroccio della Tradotta o con quello
di Romolino, quella per la festa della Madonna del Frassine. Invece la festa
della Madonna a Castelnuovo era al Piano. Ci si andava a piedi per la via del
Brotino, tante persone, e si faceva merenda. Gli uomini invece andavano alle
"Società" dove giocavano a carte e a bigliardo e bevevano il vino. Ce
n'era una anche in via Nuova del Borgo, dove poi tornò la Bicchierona , anche il
Nero c'è stato tanto. Un'altra “Società” era al Caratello. In paese, al bar di
Ersilia "la stagnina", vendevano anche il gelato e così da Luisa, la
mamma di Sorge Groppi, il barbiere. Dolci e gelato li vendeva anche
"Silla", che era stato in Sicilia e li sapeva fare. In paese c'erano
tanti ubriachi! Mio padre è morto nel 1942 e io avevo già sposato Enzo, nel
1939, ed ero tornata su per la
Chioca. Lery aveva sposato l'anno prima ed era tornata con
Vairo alle Piagge. Mia mamma rimase in casa con Gemma e cominciò ad andare
"a opre" in campagna, a levare
le pietre dai campi, fare i bucati e altri lavori pesanti. Poi Gemma venne
presa alla Cooperativa di consumo come commessa e la situazione economica
migliorò".
Registrazione
di Carlo Groppi, 1987. Eny è la mamma di mia moglie, Grazia. Praticamente dal 1959 al 2008 abbiamo vissuto o nella stessa casa o molto vicini. E' stata una persona semplice, religiosa, mite. Cucinava benissimo ed in più era una ricamatrice di talento. Sono contento di aver conservato alcuni dei suoi lavori, vere opere d'arte.
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