Il libro con il ritratto di don Giovanni Verità
Itinerario di Garibaldi in Romagna.
Il capitano "Leggero".
Don Giovanni Verità, nel 1849.
Garibaldi.
Castelnuovo di Val di
Cecina, il mio paese, ha un rapporto speciale con Giuseppe Garibaldi. Quando le
scuole elementari erano situate all’interno del Municipio, tutti noi bambini
leggevamo le tre lapidi marmoree a ricordo del Risorgimento, murate
nell’ingresso, proprio dove si aprivano due delle classi. Io vi feci la III ubicata
alla sinistra e la V ubicata di fronte sul lato destro. Una nel 1947 e l’altra
nel 1949. La lapide che parlava di Garibaldi era abbastanza misteriosa: attraversò il nostro borgo di notte,
proveniente da San Dalmazio, e presso il cimitero vecchio di San Rocco, cambiò
il barroccio tirato da un cavallo, per sfuggire alla polizia granducale, cioè
ai soldati austriaci, chiamati in soccorso dai Lorena. Garibaldi proseguì per
il Bivio di Monterotondo e poi fece sosta alle Malenotti, presso Massa Marittima, nella casa del
patriota Guelfi, per arrivare l’indomani
a Calamartina, a sud di Follonica, dove trovò la barca che lo avrebbe portato
in Liguria. Ma benché non fosse scritto da nessuna parte, a noi bambini i
vecchi ci avevano raccontato che Garibaldi attraversò Castelnuovo, presidiato
dai soldati austriaci, nascosto dentro una botte da vino, per destar meno
sospetto! Questo particolare eccitava molto le nostre fantasie.
Era l’estate del 1849 e
la storia ci narra che la difesa della Repubblica Romana proclamata da Mazzini
e sostenuta da Garibaldi s’era fatta impossibile per la soverchia forza dei
soldati francesi accorsi il 3 luglio a sostenere il Papa e lo Stato della
Chiesa. Sperando di poter continuare la lotta nelle campagne Garibaldi uscìda
Roma con 3000 uomini. Aveva con sé Anita, che era corsa a raggiungerlo in Roma.
Quattro eserciti insidiavano la colonna, ma Garibaldi riuscì ad evitarli. I
volontari poco abituati a questo tipo di guerriglia si stancarono e cominciarono
a disertare. La méta di Garibaldi era Venezia che ancora resisteva. Attraverso
il Lazio, la Toscana
e la Romagna
giunse a S.Marino. Ma ormai i volontari erano stremati e ridotti di numero.
Perciò egli li lasciò liberi di allontanarsi alla spicciolata. Con pochi
seguaci e con Anita ammalata, passando attraverso le scolte austriache, arrivò
fino a Cesenatico, si imbarcò, ma inseguito dovette tornare a terra. Alcuni
patrioti del luogo lo condussero a una fattoria nei pressi di Ravenna, dove
Anita morì. Nonostante il grande dolore e abbattimento, con l’aiuto di una
catena di suoi sostenitori, molti umili popolani, Garibaldi riuscirà a
raggiungere la Toscana e dalla Toscana gli Stati Sardi.
Di questa avventurosa
fuga conosciamo la seconda parte, quella che inizia dal Mulino delle Cerbaie,
nella Valle del Bisenzio e terminerà a Calamartina, sul mar Tirreno. Una marcia
pericolosa che ripercorreremo cronologicamente: il 27 agosto, ore 23, Garibaldi,
inseguito dalle truppe di quattro eserciti, dopo aver attraversato la Romagna e gran parte della Toscana , arriva alla
Locanda della Burraia di Pomarance e qui trova ad attenderlo il vetturino
Vittore Landi detto "zizzo", che lo conduce al Bagno a Morbo, con una
lettera di presentazione di Antonio Martini di Prato. E' ricercato per condanna
a morte dopo la dolorosa vicenda delle lotte scatenate a Roma in difesa della
Repubblica Romana. Girolamo Martini, Ministro del Bagno, e sua moglie Ester
Pallini, accolgono con simpatia Garibaldi e il capitano Leggero e riconoscendoli
il Martini gli dice la frase rimasta famosa: "Coraggio Generale, tutto si
rimedia !" Mentre i due fuggiaschi prendevano un pò di riposo, il Martini
si consigliò con Michele Bicocchi di S.Ippolito e specialmente col dottor
Camillo Serafini di S.Dalmazio, il quale si dichiarò subito pronto ad accoglierli
nella sua casa, mettendo a repentaglio la propria vita. Il 28 agosto alle ore 9
della sera i due ricercati escono dal Bagno a Morbo e accompagnati dal Serafini
si recano a S.Dalmazio, dove rimarranno per quattro giorni suoi ospiti. Ecco la
descrizione che ne fa il dr. Angelo Guelfi, patriota, già capitano della
guardia nazionale di Scarlino e vigilato dal governo granducale, che si trovava
al Bagno a Morbo ospite della famiglia Bruscolini di Castelnuovo : "28 agosto,
ore 9 pomeridiane. Uscirono i profughi inosservati dal Bagno a Morbo e
accompagnati dal Martini raggiunsero il barroccino che era a breve distanza
dalla casa sulla via pubblica, nel luogo ove da questa si stacca il piccolo
braccio stradale del Morbo. Armati dal Serafini, sempre previdente, di fucili
da caccia, salirono i due nel barroccino insieme a lui, che colla sua abituale
velocità fece in breve tempo i pochi chilometri di strada provinciale e si fermò
nel luogo detto Croce del Bulera. Quivi cessava la strada rotabile e lasciato
il legno presso alcuni suoi parenti continuarono a piedi fino al paese. La
strada principale del paesello era deserta e così poterono arrivare prima della
mezzanotte inosservati alla casa del Serafini". Nella casa di S.Dalmazio si studiò nei
particolari il programma per farli giungere alla costa maremmana e farli
salpare da Cala Martina per Porto Venere, nello Stato Sardo. Quando tutto fu
disposto, anche nei minimi particolari, alle ore 21 del primo settembre
Garibaldi, Leggero e Serafini si recano a piedi e silenziosi alla Croce della
Pieve, presso l'Apparita, ove sono i cavalli già pronti. A trotto serrato
prendono la strada di Castelnuovo ove arrivano nella notte. Qui, presso il
vecchio camposanto, era ad attenderli Girolamo Martini il quale era partito in
calesse dal Bagno al Morbo armato di due fucili a due canne e dicendo che
andava in Maremma alla caccia delle quaglie. Garibaldi e Leggero salirono sul
legno del Martini proseguendo nella fuga. Presa la strada Massetana il viaggio
proseguì
fino al podere Le Malenotti presso Massa Marittima, ove giunsero poco dopo la
mezzanotte. Da qui, dopo essersi rifocillati e armati con l'aiuto di cittadini
massetani, scarlinesi e follonichesi, tra i quali il patriota Guelfi di Scarlino,
ripresero la strada e alle ore 10 del 2 settembre 1849 salirono sulla barca
all'uopo predisposta nei pressi di Cala Martina dal follonichese Giccamo e
salparono diretti verso l'Isola d'Elba ove avevano un punto d'appoggio e poi
verso la Liguria
a Porto Venere nello Stato Sardo.
Di questa impresa nulla
sapevamo, se non qualche rigo appreso dai testi scolastici, delle avventure e
del tragitto di Garibaldi da Roma a Comacchio e successivamente dell’attraversamento
degli Appennini fino a Mugello ed al Mulino delle Cerbaie. Finalmente ho trovato da una libreria
antiquaria di Libri e Stampe di Lucca, la
DARIS srl, un interessantissimo volume
stampato a Firenze nel 1942 da Marzocco, dedicato alla biografia di un eroico
prete, Don Giovanni Verità, garibaldino. Il libro scritto da Piero Zama, di 352 pagine con 16 illustrazioni ft. era per oltre metà intonso ed in buone
condizioni di conservazione, per la modica spesa di 20 € per l’acquisto. Don
Giovanni Verità (Modigliana 1807-1885) aiutò moltissimi cospiratori combattenti
per l’Unità d’Italia, recuperandoli grazie a finte battute di caccia nelle
foreste intorno a Modigliana, divenuta punto di riferimento per i patrioti
inseguiti dalle guardie del Papa, in quanto in zona di confine tra lo Stato
Pontificio ed il Granducato di Toscana. Il sacerdote aiutò la fuga di Garibaldi
e del suo luogotenente capitano Giovanni Battista Culiolo (soprannominato
“Leggero”), inseguiti dagli austriaci. La notte del 21 agosto li incontrò sul
Monte Trebbio e poi li nascose in casa propria a Modigliana fino a condurli
oltre confine e consegnarli ad altri coraggiosi seguaci di Garibaldi in
Toscana, che infine lo avrebbero portato
all’imbarco sul mar Tirreno. Dunque questo libro, si collega idealmente e
cronologicamente all’altro del Guelfi che si intitola “Dal Mulino delle Cerbaie
a Calamartina”, raccontando dal “vivo” una pagina di storia poco conosciuta che
riesce ancora ad avvincere il nostro cuore e la nostra fantasia.
Storia meravigliosa che dovrebbe ispirare anche a noi contemporanei i nobili sentimenti dei patrioti risorgimentali che protessero il Generale Garibaldi nella sua più drammatica e dolorosa avventura. Se gli austriacanti lo avessero catturato la Storia del nostro paese sarebbe stata stravolta.
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