giovedì 26 gennaio 2017





GIORNATA DELLA MEMORIA della SHOA.


Il “fato” mi portò molto presto a contatto con la tragedia  degli ebrei europei e della follia di nazisti e fascisti, i primi “gli specialisti della morte”, e i secondi, pavidi lacché, ma egualmente colpevoli di fronte alla storia. Il contatto lo devo all’incontro con tre libri della Casa Editrice Einaudi, negli anni 1953-1955, Lettere dei  condannati a morte della Resistenza Europea, Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana e il “Diario” di Anna Frank.  Un giorno scoprii un bigliettino nascosto in un pacco di fogli di carta assorbente, che usavamo in ufficio per “sfumare” i colori delle matite con le quali coloravamo le “carte geologiche”. Era una bambina, abitava in una città della Cecoslovacchia, aveva un nonno che era stato combattente in Italia nella Prima Guerra Mondiale contro i tedeschi, sapeva alcune parole della nostra lingua, ma voleva impararne delle altre! Iniziò la nostra “corrispondenza”, che si estese al nonno e, alla sua morte, a suo genero, Rudolf. Cominciai far collezione dei bellissimi francobolli di quel Paese, come si usava allora tra i giovani in Europa, effettuando sistematici scambi.  Era una famiglia di ebrei, scampata  (ma solo in minima parte), miracolosamente alle camere a gas perché due fratelli  riuscirono a fuggire dal paese con l’ultimo treno in partenza per l’Olanda per poi arrivare a Londra. Era l’inizio dell’inverno 1938 ed io ero nato da pochi mesi! Lo stesso anno che in Italia furono promulgate le  tristemente note “Leggi Razziali”. I due fratelli si arruolarono nell’Armata Cecoslovacchia che fu costituita in Inghilterra, fecero lo sbarco in Normandia, uno fu ferito, ebbe due medaglie al valore e fu tra il primo plotone che gli americani della V Armata  mandarono in avanscoperta a liberare la sua città natale! Cercò la sua casa, la sua famiglia di nonni, padre e madre, zie, zii, nipoti, cugini: non c’era più nessuno. Tutti deportati a Terezin e da Terezin ad Auschwitz.  Il fratello non resse all’impatto emotivo e preferì partire subito per gli Stati Uniti, dai quali non rientrò più, cercando di dimenticare. Tanto più che con l’avvento del comunismo la situazione era  rapidamente diventata opprimente, anche nei riguardi degli ebrei sopravvissuti alla Shoah. Oggi, nel settore ebraico del cimitero cittadino, ci sono lapidi “in memoria”, perché i loro corpi finirono nelle camere a gas e le ceneri nel vento. Negli anni ’70 cominciarono i miei viaggi  in Cecoslovacchia,  ospite di quella famiglia. A quel  tempo la grande Sinagoga era ancora semidistrutta e inagibile e  delle migliaia di ebrei che vi vivevano ne rimanevano  meno di duecento unità.  Cominciammo a far delle conoscenze, visitare  i cimiteri ebraici, andare a Terezin, e ad occuparci della ricostruzione di molte storie della deportazione degli ebrei dalla Boemia Occidentale.  Abbiamo lavorato per  quasi  30 anni, e alla sua morte, insieme ad un suo cugino, Edmund, un uomo eccezionale, funzionario nelle Nazioni Unite, padrone della lingua italiana che aveva imparato frequentando il Politecnico di Torino. Naturalmente anche i miei amici sono venuti a casa mia! Abbiamo condiviso storie che non è possibile raccontare. E così cominciarono le visite ai Lager, Mauthausen, Dachau, Bergen-Belsen, la Casa di Anna Frank, Terezin, Lublino,  Budapest, e i Ghetti di Praha, Plzen, Varsavia, Cracovia,  il Centro di documentazione di Parigi, ecc. ecc. fino ad approdare, in anni recenti, a Gerusalemme e al  Yad Vaschem  il grande sacrario e museo della Shoa.  In Italia ho documentato, forse per la prima volta, l’esistenza del Campo di Concentramento per gli ebrei di Roccatederighi, in comune di Roccastrada, Provincia di Grosseto, nel libro “La piccola banda di Ariano”, al quale fece seguito la pubblicazione di un opuscolo “Da Roccatederighi ad Auschwitz”. Da allora sono usciti altri lavori, meglio documentati, come un film di Vera Paggi, le ricerche di Ariel Paggi, il romanzo “Leggero come una piuma” di Laura Paggini, ed anche Atlanti  tematici, e, soprattutto,  il volume di Liliana Picciotto-Fargion sulla deportazione  e la sorte di tutti gli ebrei italiani avviati ai Campi di sterminio nazisti.  Infine ho incontrato Elide, una ebrea che dagli Stati Uniti, era venuta a vivere a Firenze. Adesso è morta, ma mi ha lasciato il suo “Diario” e moltissime storie raccolte di ebrei sopravvissuti alla caccia dei fascisti e alla deportazione nei Campi della Morte. Perciò non posso dimenticare ed anche per me il 27 gennaio è un giorno speciale, per rinnovare l’impegno alla mia coscienza, che tende ad assopirsi, a praticare la tolleranza, la solidarietà, l’onestà e il ricordo.

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