GIORNATA
DELLA MEMORIA della SHOA.
Il “fato” mi portò
molto presto a contatto con la tragedia
degli ebrei europei e della follia di nazisti e fascisti, i primi “gli
specialisti della morte”, e i secondi, pavidi lacché, ma egualmente colpevoli
di fronte alla storia. Il contatto lo devo all’incontro con tre libri della
Casa Editrice Einaudi, negli anni 1953-1955, Lettere dei condannati a morte della Resistenza Europea,
Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana e il “Diario” di Anna
Frank. Un giorno scoprii un bigliettino
nascosto in un pacco di fogli di carta assorbente, che usavamo in ufficio per
“sfumare” i colori delle matite con le quali coloravamo le “carte geologiche”.
Era una bambina, abitava in una città della Cecoslovacchia, aveva un nonno che
era stato combattente in Italia nella Prima Guerra Mondiale contro i tedeschi,
sapeva alcune parole della nostra lingua, ma voleva impararne delle altre!
Iniziò la nostra “corrispondenza”, che si estese al nonno e, alla sua morte, a
suo genero, Rudolf. Cominciai far collezione dei bellissimi francobolli di quel
Paese, come si usava allora tra i giovani in Europa, effettuando sistematici
scambi. Era una famiglia di ebrei,
scampata (ma solo in minima parte), miracolosamente
alle camere a gas perché due fratelli
riuscirono a fuggire dal paese con l’ultimo treno in partenza per
l’Olanda per poi arrivare a Londra. Era l’inizio dell’inverno 1938 ed io ero
nato da pochi mesi! Lo stesso anno che in Italia furono promulgate le tristemente note “Leggi Razziali”. I due
fratelli si arruolarono nell’Armata Cecoslovacchia che fu costituita in
Inghilterra, fecero lo sbarco in Normandia, uno fu ferito, ebbe due medaglie al
valore e fu tra il primo plotone che gli americani della V Armata mandarono in avanscoperta a liberare la sua
città natale! Cercò la sua casa, la sua famiglia di nonni, padre e madre, zie,
zii, nipoti, cugini: non c’era più nessuno. Tutti deportati a Terezin e da
Terezin ad Auschwitz. Il fratello non
resse all’impatto emotivo e preferì partire subito per gli Stati Uniti, dai
quali non rientrò più, cercando di dimenticare. Tanto più che con l’avvento del
comunismo la situazione era rapidamente
diventata opprimente, anche nei riguardi degli ebrei sopravvissuti alla Shoah. Oggi,
nel settore ebraico del cimitero cittadino, ci sono lapidi “in memoria”, perché
i loro corpi finirono nelle camere a gas e le ceneri nel vento. Negli anni ’70
cominciarono i miei viaggi in
Cecoslovacchia, ospite di quella
famiglia. A quel tempo la grande
Sinagoga era ancora semidistrutta e inagibile e
delle migliaia di ebrei che vi vivevano ne rimanevano meno di duecento unità. Cominciammo a far delle conoscenze,
visitare i cimiteri ebraici, andare a
Terezin, e ad occuparci della ricostruzione di molte storie della deportazione
degli ebrei dalla Boemia Occidentale.
Abbiamo lavorato per quasi 30 anni, e alla sua morte, insieme ad un suo
cugino, Edmund, un uomo eccezionale, funzionario nelle Nazioni Unite, padrone
della lingua italiana che aveva imparato frequentando il Politecnico di Torino.
Naturalmente anche i miei amici sono venuti a casa mia! Abbiamo condiviso
storie che non è possibile raccontare. E così cominciarono le visite ai Lager,
Mauthausen, Dachau, Bergen-Belsen, la Casa di Anna Frank, Terezin, Lublino, Budapest, e i Ghetti di Praha, Plzen, Varsavia,
Cracovia, il Centro di documentazione di
Parigi, ecc. ecc. fino ad approdare, in anni recenti, a Gerusalemme e al Yad Vaschem
il grande sacrario e museo della Shoa.
In Italia ho documentato, forse per la prima volta, l’esistenza del
Campo di Concentramento per gli ebrei di Roccatederighi, in comune di
Roccastrada, Provincia di Grosseto, nel libro “La piccola banda di Ariano”, al
quale fece seguito la pubblicazione di un opuscolo “Da Roccatederighi ad
Auschwitz”. Da allora sono usciti altri lavori, meglio documentati, come un
film di Vera Paggi, le ricerche di Ariel Paggi, il romanzo “Leggero come una
piuma” di Laura Paggini, ed anche Atlanti tematici, e, soprattutto, il volume di Liliana Picciotto-Fargion sulla
deportazione e la sorte di tutti gli
ebrei italiani avviati ai Campi di sterminio nazisti. Infine ho incontrato Elide, una ebrea che
dagli Stati Uniti, era venuta a vivere a Firenze. Adesso è morta, ma mi ha
lasciato il suo “Diario” e moltissime storie raccolte di ebrei sopravvissuti
alla caccia dei fascisti e alla deportazione nei Campi della Morte. Perciò non
posso dimenticare ed anche per me il 27 gennaio è un giorno speciale, per
rinnovare l’impegno alla mia coscienza, che tende ad assopirsi, a praticare la
tolleranza, la solidarietà, l’onestà e il ricordo.
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