David Oistrakh
(Odessa, 1908 – Amsterdam, 1974).
Domenica, 20 ottobre 1968, ore 17, Teatro Comunale di Firenze. Uno dei
famosi concerti del primo ciclo della Stagione Sinfonica 1968-1969. Avevo
trovato alcuni biglietti…a buon prezzo e questa volta ero in platea, in prima
fila. Il grande David Oistrakh suonava (credo) le romanze per violino
dall’opera 61 di Beethoven. Oistrakh
superò se stesso e la sua fama, un’entrata inconfondibile, un tocco
morbido, caldo e dolce. Era come se il violino parlasse alla mia anima
romantica. La tecnica, il virtuosismo, in Oistrakh, non sono mai fine a se
stessi, il virtuosismo è sempre funzionale all’intento di dare corretta
espressione alla melodia eseguita. Ero esaltato e alla fine del Concerto
applaudivo così intensamente che un mio vicino di poltrona, un signore distinto
del tutto sconosciuto, mi si rivolse in un italiano incerto, dicendomi
pressappoco così: <Gentile signore, lei ama molto la musica, l’ho
notato!> <Si, amo la musica e questo meraviglioso violinista russo…ma
stasera ci sarebbe dovuto essere mio padre, lui si che se ne intende di musica,
anzi, è un musicista…> <E’ bene che i giovani italiani amino la musica
come lei…da noi, in Unione Sovietica, la musica è al primo posto nella nostra cultura> <Mi interesso molto dei grandi
successi del popolo sovietico…> <Allora, lo vorrebbe salutare David?>
<Ma è impossibile!> Dette queste parole il mio vicino si alzò e mi porse
la mano <Andiamo da lui!> Lo seguii come un automa, aggirammo il
proscenio ed entrammo nella zona dei camerini, lui conosceva bene i passaggi,
arrivati ad una porta, bussò ed aprì. Oistrakh, seduto di fronte ad un grande
specchio, si stava asciugando il sudore, scamiciato, il faccione
sorridente, scambiò alcune frasi con il
mio accompagnatore e mi presentò, credo, come un fans dell’artista, in più
amante dell’Unione Sovietica, forse avrà anche aggiunto che ero comunista, non
lo so! Oistrackh si alzò e mi abbracciò e mi baciò poi, prendendo una sua foto
ed una penna stilografica mi fece una dedica…che dopo 47 anni, ed esposta alla
luce, è sbiadita. Si rimase un po’insieme, e quel ricordo non m’ha più
abbandonato.
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