PIL 14 dicembre 2014,
RADICONDOLI.
Il tema di questo piccolo
incontro letterario era “Errare umanum est (o ovest)”. ..ed anche “L’Ego lega”.
Eravamo soltanto i sette e alcuni si sono soffermati su “errare”, come
camminare, vagare transumare…oppure sui movimenti dei popoli nomadi, esempio i
rom…in due, invece, abbiamo preso
l’errare, come l’errore. Da parte mia ho ammesso, ripensando bene alla
mia lunga vita, di aver commesso e commettere, anche quotidianamente, molti
piccoli errori veniali, diciamo, ma mai
errori capitali o “mortali”. A una settimana di distanza, scrivendo questo post
sul blog, credo che avrei dovuto aggiungere una cosa fondamentale, ma lì per lì
non mi venne alla mente: i due o tre veri errori che credo di aver commesso, ma
dei quali non desideravo e non desidero parlare, mi portarono grandi doni!
Perciò anche la valutazione dell’errore dovrebbe essere ben ponderata e
osservata da diverse angolazioni, non soltanto da quella del soggetto attivo,
né da quelli passivi, oppure, dalla “morale” corrente, ma dagli effetti
successivi, se non altro, per un artista, mettendoli in relazione alla sua
creatività. Dopo aver letto la poesia La cattiva maestra (ossia, la storia),
sollecitato dal bel diario di viaggio in Tessaglia, di Moreno, ho letto la lirica
“Bella Ciao a Glifada Beach”, che ha sollevato qualche risolino di
compatimento, trascurando di dire che si trattava di un testo abbastanza
antico, fine anni ’60 inizio anni ’70, del quale però omisi la nota 60 che lo
riguarda, sul testo del mio Canzoniere a pagina 1007.
(Nota 60) Ascolto canzoni d’amore e di nostalgia mentre leggo, prima
di addormentarmi, lasciando correre le note negli auricolari, fino al primo
risveglio. Di alcune non seguo la trama delle parole incantate, solo una o due
o tre, mi rimangono come un chiodo fisso nella mente. Le ritrovo e ci
costruisco i miei sogni. Son mescolati alla poesia di Jaroslav Seifert. Ma con
chi condividere malinconia e desideri? Man mano che divento vecchio m’accorgo
d’esser rimasto solo. Forse non ho saputo costruire niente nella mia vita.
Niente di ciò che rende meno pesante l’esistenza, e che riesce a dare un
surrogato di felicità e di passione. Il mio cuore non palpita per la sorte
degli uomini e della mia stessa Patria. E’ assuefatto al male e alla banalità.
Si è arreso all’invincibilità del tempo eterno e veloce: nulla esso conserverà,
e poi, a quale scopo? Immagino, in rari sprazzi di tenerezza, di stringere il
filo invisibile che mi lega alla mia lontana madre, all’origine del tempo,
perché io esisto, ma nulla si muove nelle fibre del dna, si, proprio come la
luce di stelle splendenti nel firmamento, che non esistono più, sono morte,
miliardi di anni fa! Tutto è morto o morrà intorno a me creatura d’evanescente
materia ed anche la bellezza del mondo non mi stupisce, ma soltanto le esili
ombre che ancora riescono a risalire dalla lontana memoria, forse per
abbeverarsi della fredda luce di primavera, mi parlano. Si, anch’io di notte,
sogno di svegliarmi e in silenzio rovisto nei miei ricordi come nel cassetto di
un vecchio armadio. Ad un tratto, nel buio mi guarda il viso di una ragazza. E’
una ragazza strana. Viene da altri mondi. Sul labbro superiore, all’angolo, ha
una cicatrice, che la rende voluttuosamente sensuale, attira i miei baci. E la
pelle, man mano che il sogno la rischiara, si scurisce, si fa nera. Ha gli
occhi tristi un po’ assonnati, denti di un bianco selvaggio, la camicetta
sbottonata e in essa due piccoli seni, neri come una manciata di mirtilli di
bosco. Mi chiedo: ma è lei? E’ la cerbiatta
che saltava tra le dune a Glifada Beach? Meravigliato riesco a chiederle: <Est-ce
toi?> E dal profondo sottosuolo
sepolto nella polvere del tempo si fa sentire piano, pianissimo, come un petalo
d’albicocco che cade sull’erba: <Oui, c’est moi!>
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