venerdì 10 febbraio 2012
La dignità
(particolare) Conservato
presso
Carmignano (Prato)
Da un po' di tempo mi ritrovo spesso a pensare
alla mia nonna paterna. Donna fortissima, ostinatamente paziente. Proveniva da
una famiglia piuttosto benestante, ricchi proprietari terrieri, ma ebbe la
sventura di sposare un uomo dedito al gioco d'azzardo. La sua dote e l'eredità
cospicua di cui avrebbe potuto godere furono devastate dallo stile di vita di
mio nonno. Era un uomo molto bello, due occhi grigi quasi trasparenti, senza
colore, gelidi nella vecchia foto del cimitero. La lasciò giovane e sola ad
allevare sei maschi e governare una terra difficile. Negli anni che precedettero
il secondo conflitto mia nonna saliva ogni giorno a piedi lungo una mulattiera
ampia e molto trafficata, tra il via vai di animali, di uomini e donne, e
camminando con passo costante arrivava fino ai gradini della porta della mia
bisnonna materna. Si sedeva poco distante da quella soglia, su un poggetto
ricoperto d'erba, senza dire una parola ed aspettava. La mia bisnonna materna,
donna sensibilissima e molto generosa, usciva poco dopo sulla porta e la
salutava con calore, come si fosse trattato di una visita del tutto inattesa e
anche per questo molto gradita. Usciva di casa sempre con un cestino in mano o
un telo in cui, a suo dire per pura combinazione, c'era sempre qualcosa di cui
non avrebbe avuto il tempo di occuparsi: uova che le galline avevano scodellato
con troppa generosità, patate troppo piccole da sbucciare in una giornata
indaffarata.... Metteva quel piccolo tesoro nella sporta di mia nonna,
pregandola di accettare, ringraziandola per la possibilità che le veniva
concessa di disfarsi di quel ben di Dio senza incorrere nel grave peccato di
sprecarlo per incuria. Mia madre, bambina, assisteva a quella scena ogni giorno
e me l'ha raccontata mille volte. Ho cercato spesso di immaginarla. Conosco bene
quel poggetto, gli scalini, la casa, mi sono seduta lassù molte volte ad
osservare l'erba tremante per il vento che non smette mai di soffiare e che
certo scompigliava i capelli nerissimi di mia nonna, il suo grembiule nero e la
gonna scura. Conosco i volti della nonna e della bisnonna e certe volte ho
creduto davvero di vederle, di incrociarne lo sguardo complice e solidale che
suggellava ogni giorno quell'incontro fintamente casuale. Mia madre mi ha
raccontato questa scena senza altro commento che una inevitabile sottolineatura
della profonda umiltà di mia nonna paterna e del suo senso di protezione nei
confronti dei suoi figli. Ancora me la racconta, dicendomi di pensare a cosa
potesse significare svegliarsi senza cibo con cui nutrire i propri bambini,
senza altra risorsa che le proprie gambe e il buon cuore di qualcuno. Crescendo
però ho aggiunto a mia volta un significato a questa immagine, che emerge ogni
tanto liberamente dal mio subconscio, come una consolazione. Me la tengo davanti
agli occhi, chiara e leggibile, ogni volta che ho bisogno di ricordare con
precisione cosa sia la dignità.
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