Ritratto
A Antonio Machado
Ho
succhiato il latte materno con la Cenerentola di Rossini,
e
appena svezzato ho masticato il fiele della solitudine;
tra
i paleri e le ginepraie son cresciuto mirando nel cielo
il
volo del falco sulle pasture, ascoltando il belar degli agnelli
e
il frinir delle cicale; vicende che non voglio evocare.
Poco
più che bambino son fuggito verso nuovi lidi,
misteriosi
approdi con il tepore di nidi, in
cerca d’amore.
Son
cresciuto troppo presto, nel male e nel bene, un segreto
ho
celato nel cuore d’Arlecchino. Brevi studi non m’hanno
dissetato,
da solo ho scoperto d’esser poeta e delle parole
innamorato,
del pruno e ginestra, biscia e sorgente, mago
e
cerbiatto, dimesso cantore. Una fabbrica m’ha inghiottito
mentre
ancora vestivo i pantaloni corti, le
scarpe chiodate,
il
cappotto del nonno morto rivoltato con cura
e
là s’è acquietata la mia pena, tra gli uomini azzurri
e
le rosse bandiere: con loro ho sfidato l’ansia primigenia
e
la paura di restar solo. Ho amato instancabilmente, e riamato
ho
goduto d'inimmaginata fortuna, sempre la bellezza
ho
avuto a lato e la dolcezza dei baci
riassaporo,
ora
che vecchio, delle voci ne ascolto solo una , quella
profonda
che m’appartiene. E’ la voce del canto che
non
m’ha tradito; disgiunta da me stesso e
dai miei
errori
vorrei affidarla pura ai miei bambini. Loro ancora
mi
vedono bello come un dio, e sapiente, ardimentoso,
spada
excalibur e scudo, buffone e invincibile
cavalcare
il tempo, immortale e antidoto d’ogni male.
Verrà
presto il dì dell’ultimo viaggio – nemmeno io conosco
il
come e il quando -, ma non tarderà, e me ne andrò
come tutti, senza
valige e fagotti, lasciando
un’invisibile
scia di sogni.
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