Si tratta di uno dei 4 grandi viaggi fatti in privato, con la famiglia, nel Nord Europa: Danimarca, Svezia, Finlandia e Norvegia. Viaggi meravigliosi, e avventurosi, tra gente ospitale!
Scandinavia, 1988.
Con la memoria ripercorro il lungo viaggio
in quelle terre dalla strana forma d’orso
che tanto avevo scrutato sulla mappa
appesa nell’aula delle scuole elementari,
dove abitavano genti bellicose,
e fanciulle bionde dagli occhi azzurri,
le stesse di tanti film, nei quali,
squarciata la cortina di una perenne bellezza,
forti contrasti esistenziali e profondi turbamenti
prendevano il sopravvento nei miei pensieri
e le suggestioni culturali di Ibsen,
Munch, Bergman e Grieg, evocavano
tetre immagini di morte e di tristezza.
Società solo apparentemente semplici,
con una sola chiave di lettura:
emancipazione sessuale,voglia di vivere
e la piena occupazione, ma, anche, alcolismo
non frenato dal proibizionismo
e una altissima percentuale di suicidi.
L’impressione più profonda e durevole
che è rimasta in me, il predominio
della natura, nei suoi multiformi aspetti:
di acque, nevi, ghiacci, selve, rocce, cascate
e cieli aperti su orizzonti sconfinati,
e luce che in estate pare eterna
e poi, viene il regno della tenebra, per mesi
a sottolineare questo antico dualismo
che è in tutte le cose, Dio-Demonio,
Morte-Vita, Ebbrezza-Malinconia…
ed ha la fissità senza tempo
di perduti giorni d’infanzia.
Il segno dell’uomo altro non è
che una live scalfittura sul corpo immenso,
ed anche dove esso appare più netto e profondo
si avverte tutta intera la sua fragilità.
Basterebbe una minima diminuzione della temperatura
delle acque marine perché la sua presenza
fosse nuovamente respinta
dalla banchisa e dalle tormente…
Ed è forse in quest’estrema sintesi,
in questo continuo rimando alla conoscenza di noi stessi
che procurano le grandiose forme dell’ambiente esterno,
che hanno origine le malinconiche
e struggenti visioni di inutilità e transitorietà dell’uomo
e gli eccessi più sfrenati di gioia e voglia di vivere,
come ci si rivelano nelle magistrali opere
di Munch di Ibsen, Grieg, Bergman
e dello scultore Vigeland al Parco di Oslo.
Si corre per migliaia di chilometri
entro sconfinate foreste, laghi e pianure al Sud
e poi per monti modellati dalle glaciazioni
che paiono altissimi e sui quali
si ergono piccole pietraie votive,
tra i ghiacciai ed i nevai eterni
accerchiati dall’effimera fioritura di erbe artiche,
in nebbie veloci e improvvise che nascondono
il precipitarsi di acque bianchissime in gole profonde,
verso fiordi sottili e intricati come scritture runiche,
che portano chiese e barche, luce, ciliegie,
fragole, mele, calore e vita quando meno te lo aspetti
e già disperi di trovare un rifugio e gente ospitale.
E poi la chiara notte senza luna e senza stelle,
con il carillon dei campani dei greggi
erranti su rocce aspre dipinte dal vento e dai licheni,
pecore e renne e alci e le altre invisibili presenze
tra magia e realtà che da un immemore tempo sognavo:
il tempo, anch’esso magico e fiabesco,
di quando in pace entro noi stessi si stava
senza paura dell’universo amico.
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