EVANESCENTI MEMORIE SENILI.
Dal 1943 al 1946 ho abitato al podere Carbonciolo, il podere sperduto sui monti, dove abitavano i nonni materni e dov’era nata, nel 1921, la mia mamma. La nostra famiglia s’era spezzata presto e madre e i due figli, io di quasi cinque anni di età e mia sorella di due, ritornarono al podere, mentre mio padre ebbe, nella casa diventata troppo grande per lui; i suoi genitori, i miei amati nonni Dario ed Enélide. Sulla poggiata ad ovest dell’Aia dei Diavoli, il Carbonciolo era sormontato da un altro podere più grande: il Pian del Serri. Questi due poderi non avevano campi grandi da coltivare il grano, ma campicelli appena appena sufficienti a sfamare chi li abitava, e la loro più importante risorsa era la pastorizia. Cominciai ad andare alle scuole elementari del Capoluogo del Comune di Castelnuovo di Val di Cecina, nell’ottobre 1944, tre mesi dopo la Liberazione da parte dei soldati americani. Avevo infatti compiuto i 6 anni di età! Il Carbonciolo era assai lontano e mai nessuno mi accompagnò lungo quegli impervi sentieri in quelle albe ancora non sbocciate. Correvo, correvo, fin che era possibile, su quegli stretti sentieri del bosco, riposandomi un po’ quando giungevo al campo sportivo del Monte, dove il bosco cedeva alle pietre ed ai magri campicelli. Il ritorno era in piena luce e non avevo più paura. Ma ci devo essere andato poco alla Scuola, non ho ricordi, né pagella, so soltanto che fui “bocciato” e costretto a ripetere l’anno! Ero già grandicello, ormai, ed anche stanco di quella vita rude, sempre a pascolare le pecore, a dormire da piedi con mamma, zia e sorella, un po’ di pane con il cacio e magari un pezzetto di forma di fichi per companatico…le gambe tutte rigate dagli spini, e soltanto l’amore di Lupetta, la mia cagna amata! In più mi presi una malattia strana, “la rogna” alla bassa schiena, e così per alcune settimane mi dovetti recare a Sasso Pisano dal dottor Casalini a fare le medicazioni. Naturalmente attraverso sentieri, tra campi e boschi e poi guadare il fiume Cornia…Ma alla fine la “rogna” fu vinta! Fu allora che meditai la “fuga”: così nella primavera del 1946, all’uscita della scuola, andai a bussare a casa del mio babbo, dov’erano anche i nonni, che senza farmi tante domande, mi dissero: “vieni”! Da quella sera e per 20 anni ho sempre dormito con Renzo (un padre quasi fratello maggiore, amico e confidente ed in più virtuoso musicista, sì che la casa era sempre colma di suoni). La mia “libertà” era massima. Due o tre volte ogni anno, forse in occasione delle Fiere, anche mia sorella veniva in paese e avendo fatto tardi la sera, per non rimandarla col buio al podere, l’accompagnavo fino a cento metri di distanza dal “Pian del Serri”. Poi, ritornavo indietro. La mamma si era “accompagnata” con un uomo venuto dalla Sicilia, con il quale ha trascorso tutto il resto della sua vita. Intanto erano nati gli altri miei due fratelli ed una sorella e così, quando crescevano, andavo talvolta a trovarli mentre pascolavano le pecore. In quel tempo si usava ballare nei poderi, al suono di una fisarmonica, e fu proprio in una di queste veglie in Bruciano che dopo 12 anni incontrai mia madre che vi aveva accompagnato la mia sorella maggiore. M’insegnarono qual’era tra tutte quelle donne che sedevano intorno alla stanza “da ballo”, non l’avrei riconosciuta, ma le andai incontro chiedendole di tenermi il cappotto, eravamo in inverno, faceva molto freddo, ed ero andato lassù con la motocicletta! Nessuna emozione, eravamo troppo diversi e fino alla sua morte i nostri rapporti sono stati formali e rari. Poi lasciarono il Pian del Serri, si trasferirono a Gambassi e dopo a Castelfiorentino, la sorella maggiore si sposò e gli altri trovarono un lavoro ed una professione e misero su famiglia. Gli ho sempre voluto bene e non perché portano il mio stesso cognome (Groppi), anche se nati da un altro padre fuori del matrimonio e che solo con la Legge sul Divorzio gli fu data la possibilità o di mantenere il cognome Groppi o prendere quello del loro padre naturale. Non turbò le nostre vite nessun problema di denaro e possessi di altri beni. Così il Giudice disse a loro: “Ragazzi, ora se volete, potete prendere il cognome del vostro padre naturale, oppure potete decidere di mantenere quello che avete adesso, cioè Groppi. Ritiratevi in altra stanza a prendere la decisione e poi ritornate in Aula!” Giorgio, Fulvio e Giuseppina, i miei fratelli e sorella, rientrarono in Aula e il Giudice gli chiese “Allora, avete deciso?” “Si, signor Giudice!” “E quale cognome volete adottare?” “Noi vorremmo mantenere il cognome che già abbiamo, cioè Groppi!” Al che il Giudice disse “Bene, però adesso occorre sentire Renzo Groppi – cioè il mio babbo – se è d’accordo. Lei signor Renzo è d’accordo che essi abbiano tutti il cognome Groppi?” Al che mio padre, con aria molto soddisfatta pronunciò le famose parole: ”Signor Giudice, se anche tutti i bambini del Mondo avessero il cognome Groppi, io sarei felicissimo!” A queste parole il Giudice battè il suo martello e la seduta fu tolta, con soddisfazione generale. E fu così che i tre fratelli e le due sorelle vissero in amicizia e amore le loro vite, non mancando visite rare e incontri. E recentemente, per la morte di una nostra zia a Castelnuovo, ci siamo ritrovati tutti e cinque nella mia casa. In armonia e affetto. Eravamo soltanto noi senza mariti né mogli. Commentò così questo incontro una sorella, dicendo: “Per le vicende delle nostre vite, ritrovarci qui, tutti e cinque, e volendoci bene, è un fatto meraviglioso. Si può essere molto felici!”
non l’ho mai dimenticata,
fa una curva laggiù il bosco,
sulla via di Pietralata!
le bianche pietre sul poggiolo
sembran tombe, e m'innamoro
solo d’un bocciolo strano
di sangue e d’oro
ricordo lontano.
con la nostalgia dei rimpianti,
muti accordi del mio cuore,
per chi non mi dette amore.
rotta, al libeccio,
l’erba geme sulla spianata,
la sorgente disseccata
è nascosta dai farfali
e dallo spino.
fantasie, cadaveri, tormenti,
che appartengono
ormai soltanto al vento,
e all’innocenza di un bambino.
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