Ottobre, memorie lontane.
Ottobre, il mese delle
ricordanze,
nella storia ho conosciuto i
miei eroi,
ai quali sempre ritorno
per mantenere viva la fiammella
della poesia,
e dei miei ideali.
San Francesco d’Assisi
morì il 4 ottobre del 1226,
per me è ancora vivo
e predica agli uccelli,
parla al lupo, a Chiara
e ai poverelli;
più di mill’anni prima
era nato Virgilio,
il poeta dei nostri miti,
e non caso la mia nonna amata
fu chiamata Enélide;
pure Picasso nacque in ottobre,
il 23 dell’ 81, e s’ingegnò
a trattare la natura
attraverso il cono, la sfera ed
il cilindro,
e nella nuova arte
rappresentò la tragedia antica
dell’umanità, i disastri della
guerra;
Francisco Ferrer, l’anarchico,
la pura luce del mondo,
fu ucciso il 13 ottobre.
La sua fama non ebbe corso,
e dopo pochi anni fu tolto il
suo nome
dai nostri giardini del
Piazzone,
imperando il fascismo e
Mussolini.
Per fortuna ci furono Dongo
la Villa Belmonte di Giulino
per gli assassini;
la forca a Norimberga
dei criminali nazisti, anche se
i più
riuscirono a salvar la pelle!
Ma c’è, in ottobre,
anche un giorno felice:
la nascita della mia sposa
che ho tanto amato!
Infine, è in questo mese,
che i nostri castagneti si
vestono a festa,
offrendoci i loro preziosi
frutti,
mentre i boschi si rianimano di
voci
e di memorie.
Avrei molte altre storie da
narrare,
tristi e liete, ma, non oso,
perché temo
che nessuno sia ad ascoltare.
Ho soltanto l’ardire
di far parlare un vecchio castagno,
che adesso non c’è più.
Non racconto bugie, andate
sul monte, alla Capanna,
e vedrete le sue radici.
Il vecchio castagno racconta
Ho sfamato mezzadri e paesani,
scoiattoli e cinghiali; ai bambini
del borgo non ho chiuso i cancelli,
quando venivano a ruspolare,
raccogliendo stecchi per leggeri
fastelli.
In quel capannuccio di frasche
vuoto e cadente, dove dorme
la biscia e il vento ammontina
il suo tesoro di foglie secche,
un tempo vidi sbocciare
il tuo amore, ora larva
dell’evanescente memoria.
Nel castagneto silenzioso
l’eternità tesse la sua tela,
incurante di speranze ed oblio,
ma io, il vecchio marrone,
non posso dimenticare.
So che sei poeta
e molte solitudini hai colmato,
né mirto, né ricchezze
hai guadagnato, solo baci
e carezze di leggiadre amanti,
perenne vena del solitario
canto.
T’amo per questo sogno ardito,
quasi fratello a me medesimo,
che, schivo, l’ombra e il frutto
spando, in questo autunno mite,
e mi protendo coi ricci aperti
che t’offro in dono, in attesa
dell’inverno che mi spogli.
Infine verrà la morte, per te.
Per me, la saetta o il tagliatore.
Ci sarà un ultimo fuoco,
di fascine e di parole. Qualcuno
in futuro scaverà: il ciocco,
per fare un buon terriccio,
e dai tuoi versi, un fiore!