Al Serrappuccio,
in un mattino un po’
triste di fine ottobre [i]
Vedo come non l’ho visto mai
il mio paese, avvolto dalle nuvole
che vengono dal mare, nere,
pesanti di pioggia e vento,
appiccicose, e di mestizia foriere,
che novembre è ormai
alle porte, coi fiori di plastica,
tristi, per le genti morte.
Anche stamani
suona lamentosa la campana,
a rammentare una partenza amica;
pure noi siamo in attesa,
noi che ci sentimmo immortali,
quando la bellezza ci sfiorava
e l’amore ogni porta spalancava.
Con questa donna umile e mite
m’incontrai alla mensa nuziale
di un cugino, la vedo ancora,
ridente, porgermi dal fiasco
il vino che ancor più faceva divampare
l’amor che dentro me sbocciava.
Salgo nel Serrappuccio, dove son nato,
dove a vent’anni sono ritornato,
io poeta, il babbo musicista e la nonna
già vecchia che per amor di noi
la vita sua allungava. Tutto è silenzio
se non fruscio di vento sulle cime
dei cipressi, e rauche grida
d’ uccelli, intorno alla torre e in cielo.
Scandaglio la memoria
alla ricerca di volti, nomi, parole,
ma poco affiora dal gorgo della storia.
Lenzina, Corinna, Teresa, Solidea,
Concetta, la Manetta, Iris, la Tradotta,
e Franca, Vittoria, Seconda, Gustavo,
Livio, Carla, Natalino, Elsa, Angelo,
ed altri ancora, che un tempo amavo.
Chi condivise i miei giorni felici
di giovinezza, é partito
verso perduti lidi,
altri, dispersi nel mondo
come le foglie brune,
per gli stretti vicoli.
E’ l’umano destino che ci attende:
morire soli e far perdere ogni traccia,
con la speranza mai sopita,
d’incontrarci nell’eterna vita.
[i] Serrappuccio è la denominazione antica di un vicolo chiuso del paese di Castelnuovo di Val di Cecina. In una delle sue casupole vi nacqui il 3 settembre 1938. Vi abitai per poco tempo, e vi tornai ad abitare, con il babbo e la nonna dall’autunno 1958 alla primavera 1964. Era un piccolo mondo di persone buone e operose, di vecchi e di bambini, del quale mai s’è spenta in me la nostalgia.Al Serrappuccio,
in un mattino un po’
triste di fine ottobre [i]
Vedo come non l’ho visto mai
il mio paese, avvolto dalle nuvole
che vengono dal mare, nere,
pesanti di pioggia e vento,
appiccicose, e di mestizia foriere,
che novembre è ormai
alle porte, coi fiori di plastica,
tristi, per le genti morte.
Anche stamani
suona lamentosa la campana,
a rammentare una partenza amica;
pure noi siamo in attesa,
noi che ci sentimmo immortali,
quando la bellezza ci sfiorava
e l’amore ogni porta spalancava.
Con questa donna umile e mite
m’incontrai alla mensa nuziale
di un cugino, la vedo ancora,
ridente, porgermi dal fiasco
il vino che ancor più faceva divampare
l’amor che dentro me sbocciava.
Salgo nel Serrappuccio, dove son nato,
dove a vent’anni sono ritornato,
io poeta, il babbo musicista e la nonna
già vecchia che per amor di noi
la vita sua allungava. Tutto è silenzio
se non fruscio di vento sulle cime
dei cipressi, e rauche grida
d’ uccelli, intorno alla torre e in cielo.
Scandaglio la memoria
alla ricerca di volti, nomi, parole,
ma poco affiora dal gorgo della storia.
Lenzina, Corinna, Teresa, Solidea,
Concetta, la Manetta, Iris, la Tradotta,
e Franca, Vittoria, Seconda, Gustavo,
Livio, Carla, Natalino, Elsa, Angelo,
ed altri ancora, che un tempo amavo.
Chi condivise i miei giorni felici
di giovinezza, é partito
verso perduti lidi,
altri, dispersi nel mondo
come le foglie brune,
per gli stretti vicoli.
E’ l’umano destino che ci attende:
morire soli e far perdere ogni traccia,
con la speranza mai sopita,
d’incontrarci nell’eterna vita.
[i] Serrappuccio è la denominazione antica di un vicolo chiuso del paese di Castelnuovo di Val di Cecina. In una delle sue casupole vi nacqui il 3 settembre 1938. Vi abitai per poco tempo, e vi tornai ad abitare, con il babbo e la nonna dall’autunno 1958 alla primavera 1964. Era un piccolo mondo di persone buone e operose, di vecchi e di bambini, del quale mai s’è spenta in me la nostalgia.
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