PROVERBI.
In
attesa di avere, per il regalo di Natale, un libro molto interessante:
“Proverbi toscani”, di Giancarlo Vannuccini, cioè 7500 esperienze di vita, una
raccolta ampliata e trattata con il supporto del computer dalla sua Tesi di
laurea, discussa presso l’Università di Siena, relatore Pietro Clemente, AA.
1978/79, opera dalla quale spero di attingere qualche centinaio di proverbi,
considerati conosciuti in Toscana, da poter accogliere nella mia pur vasta
ricerca partita da oltre mezzo secolo con il solo tema della “licenziosità” ,
in un ambito territoriale molto ristretto, essendo quello identificato sulle
mappe “Colline Metallifere Toscane”, del
quale pubblicai un fascicoletto con 1200 proverbi dal titolo allusivo “Di
passere e d’altri uccelli…”, seguito poco dopo da un altro piccolo testo con
proverbi sulla pastorizia in Alta Maremma dal titolo “Fiorin di cacio, facciamo
finta di chiamare il micio…”. Negli ultimi vent’anni tali mie ricerche e
trascrizioni si sono ampliate fino a raggiungere, ad oggi 18 dicembre
2016, i 7838 proverbi ordinati
alfabeticamente, insieme ad aforismi, detti, stornelli, motti ecc. ecc., entro i quali il tema della licenziosità
mantiene uno spazio considerevole. Lavoro improponibile per una pubblicazione,
data la sua mole! Se non attraverso più selezioni tipologiche, per tema, per
territorio, per periodo storico. Ma, intanto, mi diverto moltissimo. Non
rientrava nel mio scopo eseguire un lavoro scientificamente impostato, ma
soltanto appagare l’antico desiderio di mettere nero su bianco una parte di
quel patrimonio, della licenziosità, considerato, non a torto, “la scienza dei
poveri”, così volgare, tenero e corposo che ci accompagna nella vita
quotidiana, quanto più è nascosto nella cultura ufficiale e scolastica, onde
salvaguardarne il bagaglio di sapienza, di ironia, e di saggezza che esso
racchiude. Apparirà al lettore moderno, anacronistico e superato il
preconcetto, se non disprezzo, del maschio verso la femmina, ispiratore della
maggior parte dei proverbi da me registrati, frutto di una cultura millenaria
non ancora del tutto rinnovatasi, che trasforma la donna in mero oggetto di
piacere e di utilità domestica; una creatura inferiore di cui non fidarsi mai;
tuttavia non potevo operarne l’oscuramento. Al contrario, la visione in
negativo del ruolo femminile consente di apprezzarne il progresso sulla strada
della piena emancipazione e parificazione sessuale, quando la tragica fase in
cui viviamo, per brevità definita impropriamente del “femminicidio”, che non
intendo amplificare in nessun modo,
tantomeno con la stampa di questo lavoro, sarà conclusa. Vi saluto con
le parole del “maestro”, l’incantevole Rabelais:
Lettori amici,
voi che m’accostate,liberatevi d’ogni passione,/e, leggendo, non vi
scandalizzate:/qui non si trova male né infezione./E’ pur vero che poca
perfezione/apprenderete, se non sia per ridere:/altra cosa non può il mio cuore
esprimere/vedendo il lutto che da voi promana:/meglio è di risa che di pianti
scrivere,/ché rider soprattutto è cosa umana.
Si,
ridere è cosa saggia e salutare! come recita un antico proverbio: “Chi ride
leva un chiodo alla bara!”, ossia vive più a lungo e meglio di chi non lo
faccia. Infine, per segnalazioni di ulteriori aggiunte, anche bibliografiche, sarò
contento di riceve e mail all’indirizzo: karl38cg@gmail.com
e in anticipo ringrazio chi lo farà.
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