Robert Frost.
Sempre lavorando al mio
“Canzoniere”, del quale sono perennemente scontento, ho trovato un appiglio
allo sconforto, in un passo di una lettera che nel 1914 il poeta americano
scriveva a Sidney Cox e che Giovanni Giudici riporta nella sua premessa di traduttore a
“Conoscenza della notte e altre poesie”: “Ho
bisogno, per lavorare, di parole non fatte, non di quelle ormai consuete
davanti alle quale chiunque esclama: E’ Poesia! Evidentemente la grande lotta
di ogni poeta è contro coloro secondo i
quali egli dovrebbe scrivere in uno speciale linguaggio gradualmente separatosi
dal parlato a causa di questo processo di ‘facitura’. Suo piacere deve essere
sempre quello di farsi da sé le proprie parole lungo il cammino e di non
doversi affidare all’effetto di parole già fatte, anche se siano le sue”.
Come avrò scritto in un
precedente post, in quest’anno sabbatico non ho pubblicato nulla; ma, per
onorare la promessa, ho stampato privatamente in una sola copia un libretto –
diciamo pure di prosa poetica – con il titolo “Lettere di quasi amore”, che, a differenza di Frost, non ho regalato
alla donna che amo, mia moglie, ma ho riposto nel Museo dell’Innocenza, là dove
vorrei poter mettere la prima raccoltina di poesie (anno 1953) che regalai,
congiuntamente, alle mie indimenticabili cugine, Jolanda ed Eleonora. Ma, forse
no, sarebbe troppo straziante.
The fact is the sweetest dream that labor
knows,
My long scythe whispered and left the hay to
make.
Il viaggio premio.
La mia memoria è una casa torre di circa ottanta
piani, i primi otto sono interrati, adibiti a garage
e vani funzionali, ne ho notizia, ma non sono
mai sceso laggiù,
dov’era un tempo una palude,
mentre gli altri svettano verso il cielo. Li sormonta
una pista per il lancio di una piccola astronave,
quella dell’ultima partenza, dalla quale non si
ritorna. Ad ogni piano ci sono dodici grandi
appartamenti, suddivisi in unità immobiliari,
tutti densamente abitati, si calcolano
trenta famiglie per un totale di ben
diecimilaottocento tra donne, vecchi, uomini
e bambini. Ah! dimenticavo, gatti, cani,
pappagalli ed altri uccellini. Ci son cinque
ascensori a moto perpetuo, silenziosi, che
salgono e scendono, ed anche quello speciale
per l’ultima partenza, da tutti sempre attesa,
ma che nessuno ha programmata:
molte persone sono in sosta lunga, altre
invece ricevono l’ok! senza preavviso.
Una cosa è sicura: non occorre affannarsi
a prenotare questa specie di viaggio premio,
e nemmeno a predisporre valigia, o borselli,
o scarpe di ricambio e fazzolettini di carta,
ombrelli, medicinali consueti, e nemmeno
piccole reflex digitali, tablet, telefonini, mini
computer, santini, medagliette, preservativi,
viagra e foto dei nostri nipotini: la tuta
spaziale che indosseremo non ha tasche.
La memoria di tutto ciò che fummo e di
chi ebbe con noi confidenza, emozioni,
amplessi, tradimenti, speranze, sogni, follia
- si calcolano circa quarantamila persone -
verrà istantaneamente cancellata quando
lo starter premerà il bottone rosso tre volte
di seguito, ciò per evitare ogni falsa
partenza. Dunque, cari amici ed amiche,
e lo dico anche a me stesso, non indugiamo
ad accumulare ricordi o, peggio, ricchezze,
usb, o soprammobili, siamo quaggiù, per caso,
su questo
meraviglioso pianeta
del tutto smemorato. Ciò ci consoli.
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