GIORNATA
DELLA POESIA
14 novembre 2015, ore 17, c/o la sede del CHIASSINO (Sotto la Voltola ) a Castelnuovo di Val di Cecina
Buonasera
a tutti e grazie per essere presenti! Ringrazio, in particolare, i familiari di
Milani Fortunato e la nuora, signora Nella Bogi, che ha gentilmente collaborato
alla stesura della biografia e del carattere di Fortunato.
Quest’anno
parleremo di un poeta-cantastorie, Milani Fortunato, di Sasso Pisano, e del suo
poema Vita e morte del fascismo, del quale riassumeremo le 102 ottave. La
commemorazione cade in un anniversario speciale: il 70° della Liberazione
dell’Italia e dell’Europa dal Nazifascismo, tema al quale Fortunato ha dedicato
il suo più importante componimento dopo una vita intera di duro lavoro, come
fornaciaio, e di composizioni poetiche in ottava rima, che ne hanno fatto, per
decenni, uno dei personaggi più noti delle Colline Metallifere, nonché storico,
e partecipe, con il suo alto senso della verità e della giustizia, delle
vicende cantate.
Nella
biografia di Fortunato ha una grande importanza la figura del padre, Prasildo
Milani, del quale proponiamo una sintetica scheda.
Milani
Prasildo, figlio di Vittore, morto nel 1924, non ha praticamente una biografia
e le testimonianze raccolte tra il 1993 e il 1994 dai parenti furono esigue.
Esse vennero integrate dall’articoletto
di Giliante Baroncini sul periodico della parrocchia di Sasso Pisano nel
novembre 1975 ed anche da qualche ulteriore notizia fornitami dall’amico e
storico etnologo Renzo Brucalassi. Sappiamo dunque che Prasildo era un poeta,
forse più bravo del figlio, anche se non esistono testi scritti, poiché egli
soleva improvvisare alle veglie dove si confrontavano due o più poeti
estemporanei in “contrasti” in ottava rima, una forma poetica allora abbastanza
diffusa nell’Alta Maremma. In qualche occasione Prasildo si portava dietro
Fortunato, avviandolo così alla passione per il canto. Fu così che una sera, a
veglia, Prasildo e Fortunato cantarono tanto a squarciagola per tutta la notte,
con umido e freddo, che la mattina seguente Fortunato si trovò senza un filo di
voce! Andarono dal dottore che gli disse “Fallo cantà meno all’umido e dagli
roba calda!” Baroncini così lo ricorda: “…Prasildo cantava di poesia. Era
quello che si dice un poeta estemporaneo. Le sue ottave erano casarecce,
limpide, spontanee. Per questo piaceva. Abitava alla Burraia. Io, ragazzetto,
gli ero amico e naturalmente lo ammiravo. Egli l’aveva capito e non mancava
occasione di farmi ascoltare i suoi versi. Quando ci incontravamo, se ero solo,
mi si fermava dinanzi, stendeva il braccio
a mò dei trobadores antichi e componeva lì per lì un’ottava che mi
cantava con la sua voce baritonale un po’ roca. Il tema cambiava sempre e
quando l’argomento non poteva essere trattato in una sola ottava serbava il
seguito al successivo incontro! Aveva una memoria eccezionale! Era difficile
che egli ricorresse alle licenze poetiche, ma quando lo faceva tirava fuori
certe parole così aggrovigliolate che quelle di Marinetti erano, al confronto,
espressioni semplici! Alle figlie aveva imposto dei nomi che in qualche modo
avevano a che fare con la poesia e la mitologia: Marfisa e Diomira; al figlio
maschio invece aveva messo il nome più prosaico di Fortunato.. “O Prasildo –
gli chiesi un giorno – o come mai avete chiamato vostro figlio in quel modo?”
“L’ho fatto per portargli bene. Nel mondo se n’ha sempre bisogno!” Io ricordavo
di aver letto qualcosa di un altro poeta sasserino e rammentavo perfettamente
gli ultimi due versi di una sua poesia: “Ponendo fine a questi versetti/di voi
mi firmo Stefano Pighetti”. Fu forse pensando a questo che un altro giorno gli
chiesi perché non scrivesse qualcuno dei suoi canti: “Non posso. I miei versi
mi vengono spontanei, dal cuore, dall’aria, dal sole, dal vino, io cantandoli
li restituisco al sole, all’aria, al cielo, al vino”. Un giorno, di ritorno da
Bruciano, dove avevo portato un telegramma,
lo incontrai nella spianata del castagno primaticcio e “Guarda – mi
disse porgendomi una lettera – mi hanno invitato alla gara provinciale di
poesia che si terrà al Fitto di Cecina” “Ci andate?” “Certo. Partirò domani
dopo desinato, pernotto a Saline e la mattina dopo, col treno raggiungerò
Cecina” “Sono sicuro che vincerete il primo premio! Auguri!” “Grazie – mi rispose,
posandomi una mano sulla spalla – io in queste gare importanti son sempre
arrivato secondo. E ringrazio Iddio, perché tutti i diecini che ho vinto mi
hanno sempre fatto comodo. Ma lo sai che ogni volta che vinco, metà del premio
se ne va per qualche accidente…” Stette fuori tre giorni e quando ritornò era
felice: aveva portato via il primo premio di cento lirone e dieci fiaschi di
vino di quello buono di Riparbella, vino che s’eran bevuti fraternamente vinti
e vincitori! “Questa volta mi sono trattato proprio da signore – mi disse –
sono partito da Cecina per Castelnuovo e da lì il barroccio di Perfetto. Quando
sono arrivato, alle sei, ho trovato il pavimento della cucina tutto rimbarcato.
Che ti dicevo? Mi ci vorranno una trentina di lire per rifarlo nuovo…meno male
che ci sono le cento lirone…”O Prasildo – gli chiesi allora – ma dove l’ha
trovato il vostro poro babbo il nome di Prasildo? Mi guardò sorridendo: “Forse
dove il tuo dei babbi ha trovato Giliante!” E se ne andò canticchiando
un’ottava.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Milani Fortunato…nasce a Sasso Pisano, il 14 aprile 1889, da una famiglia di
fornaciai. Muore di vecchiaia, nel paese natio l’8 luglio 1973. Vittore, il
nonno di Fortunato, faceva il fornaciaio: nell'estate faceva il fornaciaio e
d'inverno il mugnaio al Molino di Gabbana, dal soprannome che gli avevano
affibbiato, una località sperduta sul torrente Pavone, sotto il poggio di Mutti,
nella proprietà della fattoria di Bruciano. La fornace era vicina al mulino.
Anche il figlio di Vittore, Prasildo, fu avviato al lavoro della fornace e
così, quando venne il suo turno, pure Fortunato diventò fornaciaio. La famiglia
Milani non era né socialista né dichiaratamente di alcun partito, tuttavia fu
sempre antifascista. Fortunato, all'età di nove anni faceva la terza elementare
a Montieri perché Prasildo aveva preso temporaneamente una fornace alle Lame,
vicina a questo paese e andava a scuola quando poteva. Il suo maestro era un
poeta bizzarro ed estroverso e faceva continue scenate agli scolari: durante
uno di questi frequenti episodi Fortunato si rivolse in canto al maestro
dicendo "...e coi ragazzi prendi poca briga/sennò trovi i capelli chi ti
striga !...". Poi fuggì rincorso dal maestro, che non voleva picchiarlo ma
solo abbracciarlo per la inaspettata sortita! Dunque manifestava precocemente
la sua vena poetica che aveva ereditato dal padre, cantastorie in ottava rima
nelle fiere e sagre paesane e nel "maggio". Prasildo cominciò dunque
a portare con se il figlio e cantavano insieme. Una volta cantarono dalla sera
alle nove fino al giorno seguente alle quattro! senza mai smettere! Il ragazzo
perse la voce che ritornò dopo oltre ventisei giorni, ma non ebbe più la
potenza di prima. Molti altri cantastorie l'ebbero migliore, come Ottorino, il
"Nerchia". Ma Fortunato batteva tutti in estro e in cultura:
conosceva i fatti della storia, leggeva i giornali, si informava con la gente.
Poi sapeva a memoria l'Ariosto, il Tasso e altri poeti epici che cantava
frequentemente. Li aveva letti mille volte. Componeva le sue canzoni "ad
orecchio", senza nulla sapere della metrica, della rima e del ritmo, eppure venivano fuori dei
perfetti endecasillabi. Ha composto molte "maggiolate" ma i testi
sono andati perduti. Nella grande guerra ha combattuto sul Piave e fatto
prigioniero è rimasto in un campo di concentramento tedesco fino a dopo la fine
del conflitto rientrando al Sasso alla fine del 1918, decorato con medaglia e
croce di guerra. Aveva sposato nel 1909, Asia Nocenti che aveva lasciato con
due figli, Vittore nato nel 1910 e una bambina: quando ritornò dalla prigionia,
senza aver avuto notizie di loro per quattro anni, li trovò entrambi morti per
malattia. Poi sono nati altri figli, sette in tutto. Ritornato dalla prigionia
riprende il lavoro alla fornace insieme al padre, dal quale si separa per
contrasti di carattere all'inizio degli anni '20, prendendo in affitto dal
Trenti la fornace di Cornia dove avvia una notevole produzione di laterizi
assumendo stagionalmente diversi operai. Vita dura, ma economicamente positiva.
Nell'inverno, dato che non ama la stagione fredda, rimane anche 45 giorni a
casa, senza far nulla, coltivando la poesia e accomodando gli orologi che
collezionava. Poi prese una fornace a Serrazzano, all'Acquabona. Si cuocevano
mattoni, embrici e anche qualche conca e catino. Non c'erano le forme e il
lavoro era complicato. Nella fornace entravano 30 mila pezzi e per portarla
alla temperatura giusta occorrevano cinquemila fascine e venti metri di legna
grossa...Questa era la vita del fornaciaio. Fortunato non fumava e beveva solo
nelle comitive: una volta prese una sbornia, era a cantare a Monterotondo e
stette tre giorni fuori casa senza sapere dove fosse. Suonava l'organino, gli
serviva d'accompagnamento. Era un uomo che si presentava bene, buon parlatore,
di manica larga con gli amici, ma aveva il suo carattere deciso.
Le ultime testimonianze l’ho infine raccolte recentemente da
Nella Bogi, moglie di Lidio Milani, uno dei figli di Fortunato, la quale
inserisce alcuni dettagli sulla personalità del poeta: “…cantava e scriveva
sempre in bella calligrafia, ornata, in stile liberty svolazzante, si assentava
spesso da casa, anche dormendo fuori, per cantare nelle saghe e nelle fiere
paesane, nei mercati e in ogni occasione di “confronto” con altri cantastorie.
In casa aveva una grossa cassetta, chiusa, dove custodiva il libri dei grandi
poemi in ottava rima, Tasso, Ariosto, Tassoni, dei quali conosceva a memoria i
brani più salienti. Aveva pubblicato soltanto tre libricini e qualche decina di
fogli sciolti alla tipografia Confortini di Volterra, il resto delle sue
ballate in ottava era manoscritto sempre in bella calligrafia, compresa una
lettera al Papa, nella quale aveva raccontato le vicende della sua vita,
lamentando che dopo aver lavorato duramente fino alla vecchiaia, non avesse
diritto ad alcuna pensione. Il Papa gli rispose con espressioni augurali e di
simpatia. Questa lettera, della quale fu fatta una copia, e così le altre carte
di Fortunato sono purtroppo andate perdute e il ricordo della sua esistenza
appartiene solo, credo, a me vedova di suo figlio Lidio…”.
Due giorni avanti che morisse cantò due o tre ottave al
povero Valdone (Valdo Balestracci, un'altro bravo poeta estemporaneo di Sasso
Pisano) che era venuto a trovarlo. Aveva una memoria eccezionale, si ricordava
tutta la sua vita. Tutti i poeti, anche
i più famosi, sono generalmente morti poveri, ma hanno lasciato una traccia, e
una esile traccia l'ha pur lasciata Milani Fortunato.
Nel 1924 Fortunato Milani compone in 57 ottave il poema: "Il delitto del
Sasso, e il processo Confortini per l'uccisione dell'operaio boracifero
Musi" e lo fa stampare a Volterra dalla tipografia Carnielli. Nel 1925 farà seguire l'altro poema "Il
processo Franchi, per il massacro della famiglia Talocchini con le importanti
rivelazioni di Angiolino riguardanti il Confortini", poema in 31 ottave
terminato di comporre a Sasso Pisano il 19 dicembre 1924. I due componimenti si
intrecciano tra di loro e costituiscono anche un importante documento "a
caldo" di uno dei testimoni diretti dei fatti e delle emozioni suscitate
nella popolazione nel momento in cui essi avvennero. Nel 1924 il fascismo si era ormai affermato e il Milani,
pur di formazione estranea a tale ideologia, ne deve tener conto, moderando i
toni e sfumando le parti controverse, specialmente nel delitto Musi. Inoltre il
fascio aveva sfruttato per fini emotivi e di ordine il delitto "Franchi"
e addirittura aveva fatto del Franchi il principale accusatore del Confortini
nel processo per l'uccisione del Musi. Come poi è stato appurato furono i
fascisti stessi a gettare nella caldaia di acqua borica bollente, per un
tragico errore, credendo di uccidere il Confortini, il
"simpatizzante" fascista Musi. Due delitti che sono rimasti
profondamente impressi nella memoria collettiva della nostra zona, cantati
nelle fiere sulle ottave del Milani. Il poeta-cantastorie di molti altri
avvenimenti, anche a carattere più generale, diremmo moraleggianti, scriverà
alla fine della guerra, un'altro importantissimo poema in 104 ottave, dandolo
alle stampe l’8 gennaio 1946: "Vita e morte del fascismo". Finalmente
il Milani potrà cantare liberamente le proprie idee e i propri ricordi, anche
se con voce più appannata dagli anni, non solo mettendo in evidenza la
malvagità (e la stupidità) di Mussolini, Hitler e dei loro seguaci, ma ricostruendo i principali avvenimenti locali
ed anche rivelando la trama ordita dai fascisti di Sasso per nascondere la
verità sulla morte del padre, Prasildo, investito con la bicicletta da un
fascista e fatto passare morto per una caduta accidentale in preda ai fumi
dell'alcool. Su questo omicidio non verrà mai fatta piena luce e l'autore fu protetto
e allontanato dal paese dai fascisti locali credendo che il fatto portasse loro
discredito. E' un cruccio non secondario per Fortunato, anche a distanza di
tanti anni. La lunghezza del componimento non consente la riproduzione totale
del testo, ma solo parziale, che stasera sarà cantato da Simona Brogi e Riccardo
Galleri. Vi ringrazio per l’attenzione.
Nessun commento:
Posta un commento