Volterra, bene
dell’Umanità.
Ieri sera, dopo una assenza
prolungata, sono ritornato a Volterra in occasione di un “Convegno di Studi”
organizzato dall’Accademia dei Sepolti (una Accademia istituita nel 1597 e
della quale faccio parte come Socio Corrispondente) con il tema “Le mura di
Volterra tra passato e presente” , svolto da Marinella Pasquinucci.
Nell’occasione è stata distribuita la ristampa anastatica dello studio di
Enrico Fiumi “Ricerche storiche sulle mura di Volterra”, edito nel 1947. Hanno
preceduto la prolusione principale diverse autorità cittadine, nonché il figlio di
Enrico, Piero, mio gentile amico.
Ho ascoltato con molta attenzione
gli interventi del Consolo dell’Accademia, Umberto Bavoni, e di Piero, i quali si sono soffermati, in
particolare, sull’opera di Enrico Fiumi (1908-1976), quest’ultimo una grande
figura di storico nazionale, purtroppo rimasto confinato nella sua Volterra, o
tra gli specialisti di storia delle Università toscane. Sono molto felice di
possedere, in prima edizione, molti degli scritti di Enrico, sia in brevi
articoli sulla stampa volterrana, e sia i quattro volumi importanti: nel 1943
“L’utilizzazione dei lagoni boraciferi della Toscana nell’industria medievale”;
nel 1948 “L’impresa di Lorenzo de’ Medici contro Volterra”; nel 1961 “Storia
economica e sociale di San Gimignano” ed infine, tra le opere maggiori, nel
1968: ”Demografia, movimento urbanistico e classi sociali in Prato dall’età
comunale ai tempi moderni”. La grande passione per la storia di Volterra, alla
quale Enrico Fiumi dedicò forse la
maggior parte della sua vita di studioso, sbocciò precocemente in lui
constatando di come negletta e deformata apparisse negli anni ’40 l’immagine della sua città,
Volterra, nello stereotipo di due
importantissime istituzioni che sembravano dominarla: la presenza del
Carcere-penitenziario (il Maschio) e del Frenocomio, ossia il “manicomio”. Se
riflettiamo che Volterra ha una storia lunga quasi tremila anni, e che le due
Istituzioni, Prigione e Manicomio, risalgono, la prima al secolo XVI e la
seconda alla fine dell’Ottocento, esse dovrebbero apparire molto marginali in
tale lunghissima “storia” della città, se non fosse perché, come accade anche
adesso “la notizia della sera, viene cancellata
rapidamente da quella del mattino dopo”, e cioè
sempre di più le novità e l’effimero, fanno presa sui popoli e,
probabilmente, son causa dell’impoverimento culturale, che appare dominante nella grande
esplosione demografica mondiale, degli ultimi secoli. Oggi il Manicomio non
esiste più; il Carcere è ridotto ad entità marginale. Volterra cerca la sua
“strada” nella valorizzazione del grande passato che le appartiene, nei suoi valori umani,
nell’arte, nella cultura e nell’accoglienza. Sono personalmente un “amante” di
Volterra (città, in questo caso, femmina per me), perché non avendo legami col carcere né col
manicomio, mi sono innamorato della sua storia, dei suoi monumenti, della
fierezza del suo popolo espressa nella corale partecipazione alla Resistenza al
nazifascismo, della creatività dei suoi artisti-artigiani, della sapienza della
sua scuola, della sua gastronomia, e dei profondi valori religiosi della sua
Diocesi, che fin, da San Lino, secondo Papa dopo Pietro, tiene unito quel più vasto territorio, in antico "volterrano", che abbraccia le antiche Pievi matrici, dal mare alla Maremma, alla Valdera, Valdicecina e territori senesi, nonché delle sue moderne Istituzioni, (Sistema scolastico, Medicina-riabilitazione, Fondazione CRV, Cassa di Risparmio, ecc. ecc), spesso all’avanguardia, non solo
in Italia. Volterra è un bene dell’Umanità, e questa deve essere la mèta da
perseguire con tenacia e passione, da tutti coloro che l’amano.
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