Scende la notte.
Rientro a casa alle 22, un giorno
qualunque di fine aprile, da Piazza del Plebiscito a Via Fucini, attraverso
tutto il centro del paese in silenziosa solitudine. Con le scarpe gommate non
sento nemmeno i miei passi. Per il ritmico “canto” degli uccelli notturni è
ancora troppo giovane la notte, le finestre son serrate, e non si odono nemmeno
i suoni o le voci dei televisori. Arrivo all’imbocco del Vicolo del
Serrappuccio, dove sono nato settantasei anni fa, troppi mi ripeto, anche se,
insomma, ci sono arrivato in buona salute. Faccio alcune fotografie: nella
prima si vede l’arco dal quale una larga scalinata in salita porta alla mia casa natia, proprio a
ridosso del grande bosco di lecci e cipressi, ora disabitata. Ci vado ogni
tanto, lassù, ma mi immalinconisco, perché ricordo tutto. A sinistra dell’arco
c’è la porta di Garibaldo, il calzolaio, sindaco socialista di Castelnuovo nel
1919 e poi vicesindaco nella nuova giunta della Liberazione (1944) a
testimoniare una tenace e coerente “fede”
politica. Sua figlia Iris andò sposa al fratello del mio babbo, Gino, mi amava
molto, e nella sua casa, ho passato momenti felici della mia giovinezza grazie
alle due cugine, le più amate,
Jolanda ed Eleonora. Subito
accanto, a sinistra, la piccola porta di un altro calzolaio, Menotti, un uomo
corpulento e di bassa statura, gran bevitore e cantore nel coro degli ubriachi
del paese (ma solo una volta alla settimana, il lunedì) che vidi una sera
d’inverno nel Piazzone, mentre tentava invano di sollevarsi cantando “se fossi
una rondinella/vorrei volare, vorrei volare/vorrei volare/in braccio alla mia
bella!” Era anche lui un fervente socialista. Garibaldo e Menotti abitavano
nella prima porta a destra dell’arco, nella casa che era considerata la più
alta del paese. E proprio all’ultimo piano andai ad abitare anch’io, con babbo
e nonna, credo nell’anno 1950. Una casa alta, no, non è detto bene, era un
“universo” bastante a se stesso. Dunque, a piano terra le botteghe, poi,
salendo le strette e buie scale, al primo piano le due stanzette di Menotti e
di sua figlia Elvira, e più in su ecco l’appartamento di Torquato, Adele e
Maria e dei genitori Nelia e Terzo Fabbri. Maria aveva uno o due anni più di me
ed era molto bella. Più sopra c’era la famiglia di Paolino Benucci e Dantina,
con la figlia Feria, il marito Adelmo Ceccarelli, operaio della Larderello SpA
e turnista alla centrale elettrica di Castelnuovo, e la loro piccola
“reginetta” Diana, due anni meno di me, vanitosetta della sua statuaria bellezza.
Paolino era il fratello della mia nonna e soffriva di arteriosclerosi, dovevamo
avere molto riguardo a non far rumore. Infine all’ultimo piano, molto ampio, si
trovavano ben tre appartamenti: quello di due stanze per la mia famigliola,
camera e cucina; subito accanto c’era quello di mio zio Gino con sua moglie
Iris, il vecchio babbo di Iris, Garibaldo, con il figlio separato dalla moglie,
Bimas e i suoi due nipoti, il mio coetaneo Mauro e Gabriella, di due anni più
giovane; infine le mie due cugine, Jolanda ed Eleonora dunque quattro camere e
una grande cucina con tanto di focarile; sul prolungamento orizzontale abitava
Luigi Settembrini, operaio sondista alla Larderello, con la moglie Filomena
Vannozzi, una brava bozzettista di ritratti, e i figli Loredana e il neonato
Sergio. L’ultimo piano non aveva un bagno con wc; questo licit, una buca
profonda e puzzolente d’aglio, si trovava in uno stanzino esterno dal quale una
traballante passerella portava a un “orto”, dov’erano un grande mandorlo e un
lavatoio, sempre vuoto. Ma, da quest’orto, si poteva facilmente uscire verso il
“Serrappuccio e il “selvatico”, paradiso di giochi, di fiori e di frutti ed anche luogo
dell’immaginazione. Vi ho abitato per tre anni felici nonostante una pleurite
dalla quale mi salvò una delle prime iniezioni di penicillina nella storia del
paese! Oggi in tutto quell’alto palazzo abita soltanto un vecchio marocchino,
ammalato, non si sa come approdato a Castelnuovo. Menotti, Garibaldo, Elvira,
Nelia, Terzo, Paolino, Dantina, Adelmo, Feria, Bimas, Gino, Iris, Jolanda,
Eleonora, Luigi, Filomena, Enélida, Renzo son morti. Mauro abita a Piombino e
Gabriella nei dintorni di Pisa; Diana abita a Pomarance, Maria, ammalata, e
vedova, abita a Castelnuovo e non la vedo da decenni; Torquato e Adele non so
se sono vivi, né dove abitino, ed io sono qui, a scrivere di cose che non
interessano a nessuno.