Il Palazzo di Garibaldo, nei ricordi di 72
anni fa!
Arrivando
da nord sulla SS 439 a Castelnuovo di Val di Cecina, oltrepassati l’ex Cinema e
il palazzo della Misericordia, poco dopo la “croce del convento” s’apre “Via
della Repubblica”, dove un tempo si svolgevano le Fiere e la “passeggiata”
paesana che a gruppetti o coppie, nel bel tempo d’estate, veniva percorsa
instancabilmente avanti e indietro dalla gelateria di Boris alla bottega dei barbieri Lando e Sorge. Anche volendo
scambiarsi un bacio, non c’era un riparo, una via di fuga, dagli attenti
sguardi di mamme, babbi, nonni e parenti! Allora, su e giù, parlando, parlando,
magari ridendo, e dopo, rimanendo soltanto noi maschi, ancora una o due ore fino
alla buonanotte, seduti sugli scaloni del Palazzo Stolfi, o della Farmacia, in
attesa dei sogni giovanili. Siamo nei primissimi anni ’50 del Novecento, la mia
famigliola abitava in affitto due stanzette all’ultimo dei cinque piani di uno
dei casamenti più alti del paese, una cucina con piccolo focarile e una
cameretta con due letti, quello matrimoniale dove dormivamo io ed il mio babbo Renzo
e quello di lamiera ad una piazza dove dormiva la nonna Enélida, da poco vedova
alla soglia dei settanta. Non c’era un bagno e l’unico di quel piano era uno
sgabuzzino esterno, una buca su un basso muretto, con il secchio dell’acqua e
il fetore che faceva lacrimare…e da questo sgabuzzino si poteva uscire
attraverso una traballante passerella di legno nel magico orto sulla pendice
del Serrappuccio. Eravamo approdati, dopo aver abitato la grande casa del Borgo
in Via Cavour 26, soprastante la Chiesa, in queste minuscole e spartane
stanzette affittate a buon mercato, perché sullo stesso piano c’era la casa di
Garibaldo Bisogni, il famoso socialista e Sindaco del Comune che fu deposto dai
fascisti nel 1921 mettendogli sulla scrivania una bomba a mano, pronta ad
esplodere. E fu così che Garibaldo, cessando ogni segno di opposizione
politica, poté mantenere il negozietto di calzolaio posto al piano terra del
palazzo dove abitava. Garibaldo aveva tre figli, José, Bimas e Iris. Josè entrò
alla Boracifera in virtù della sua conoscenza musicale, sposò e andò a vivere
in un paese vicino; Bimas sposò una paesana, ma non ebbe fortuna, e un bel giorno la moglie sparì, si seppe al
nord o in Liguria, lasciando due figli piccini Mauro e Gabriella. Così Bimas
entrò nella bottega del babbo a fare e vendere scarpe. Mancava in questa
famiglia una donna…e fu così che Iris, dopo aver sposato nel 1929 il mio zio
Gino Groppi, insieme alle due figlie gemelle Jolanda ed Eleonora, nate nel
1933, andò ad abitare nella casa di suo padre Garibaldo, accudendo a tutta
quella famiglia. Ma tutto l’alto palazzo era in parte abitato dai Bisogni, dai
Groppi e dai Benucci, familiari e parenti!
Partiremo,
nel descrivere i ricordi di quel microcosmo, dal pian terreno, per poi salire
le strette, buie ed alte scale, fino alla sommità ed agli orticelli. Si
affacciavano sulla via principale, ora Via della Repubblica, le due botteghe di
Menotti e Garibaldo, fratelli e calzolai. Quella di Menotti angusta e
specializzata nelle riparazioni, quella di Garibaldo più ampia e che, oltre
alle riparazioni, produceva scarpe su misura per uomo e per donna. Le loro
storie sarebbero interessanti e avventurose, ma le dobbiamo omettere. Erano
entrambi ”sovversivi”, forti bevitori di vino, cantori e corpulenti e
sognatori. A Garibaldo era morta la moglie Liduina, a Menotti era morta la
“compagna”, una parmigiana, che gli aveva dato una figlia Elvira, mentre la
prima moglie era ancora viva e viveva nel Borgo con un figlio, si chiamava
Eufemia ed aveva sentor di stregoneria, povera donna che ne aveva passate
tante, era gobba e vestita di nero, e costituiva lo zimbello dei ragazzacci
borghigiani.
Dal
piano terra si salgono ripidi scalini per arrivare al primo piano dove
abitavano Menotti ed Elvira, in due stanze più una specie di cucinotto e
ripostiglio, forse un WC!. Elvira, allora ragazza, era una accanita lettrice di
fotoromanzi ed io la praticavo per farmeli prestare. Mi ricordo che insieme a
lei ed un’altra ragazza ci mascherammo, io da donna Elvira da uomo e l’altra da
ragazza: una specie di famigliola che destò grandi risate e curiosità nel Corso
del paesello tanto che il dottor Cappelli venne a toccarmi il culo! Salendo
ancora le scale si trovava la porta della famiglia Fabbri che aveva tre figli:
Torquato, Adele, Maria. Torquato era un giovane azzimato, Adele aveva la faccia
piatta, e di soprannome si chiamava “la
teglia”, Maria, la più giovane, sarà nata nel 1936 o 1937, era invece una
bellissima ragazza, che si sposò ebbe famiglia, ma morì ancor giovane.
Al
piano superiore, c’era l’appartamento più bello i tutto il casamento: vi
abitavano Paolino Benucci e sua moglie Dantina. Paolino era un fratello di mia
nonna Enélide, ma soffriva di arteriosclerosi e io non l’ho mai visto, Anche la
nonna non andava mai a trovarlo, perché aveva ricevuto da lui e sua moglie
molte umiliazioni, specialmente quando arrivavano i “pacchi” dalle cugine
americane, loro si prendevano le vesti e gli oggetti più belli e nuovi e
lasciavano alla nonna straccetti e latte condensato! Dantina e Paolino avevano
una bellissima figlia, Feria, che sposò Adelmo Ceccarelli, un operaio della
Larderello, originario di Volterra. Era così bella che qualcuno se ne innamorò
ed uno veniva sotto le sue finestre a cantargli “portami tante rose” un canzone
in voga in quegli anni. Feria e Adelmo avevano una figlia Diana, una delle
bellezze del paese. Mi ricordo che Feria mi invitava qualche volta a vedere
questa “venere” quando faceva il bagno…ma ero timido e non ci sono mai andato!
Da grandi, morti i vecchi e Adelmo, si trasferirono in un Comune vicino dove
Diana si sposò, e così l’ho incontrate, mamma e figlia, più volte.
L’appartamento di Via della Repubblica è rimasto vuoto per tanti anni.
Arriviamo
dunque al quinto piano dove, come ho detto, andai ad abitare io accanto alla
casa di mio zio e lì rimasi per quasi due anni, prima di trasferirmi nella casa
di legno di Raspino, proprio di fronte ai platani del Piazzone. L’altra famiglia
era di Luigi Settembrini che vi abitava con la moglie Filomena e i figli
Loredana e Sergio. Avevano un buon appartamento ed anche una passerella che lo
univa all’orto, al di là della chiostra. Era una famiglia comunista e Filomena,
brava pittrice, ricordo che aveva disegnato dei cartelloni giganti con le facce
dei leader:Togliatti, Lenin, Stalin, Gramsci, esposti alla Festa dell’Unità,
che quell’anno si svolse nei “Piazzone” del paese e della quale ho stampata
nella retina una mini-sonda posizionata a lato della “catena” d’ingresso, e che
serviva per calare dal piano di manovra una cordicella in un tubo collegato
sotto il pianale con legato ad esso un pentolino nel quale veniva messo il
premio pescato con il numero estratto della lotteria! Quest’opera geniale
fu concepita da Baldo Tani. Morti Luigi
e Filomena i figli lasciarono l’appartamento, e non so’ chi vi sia tornato ad
abitare.
Ho
pochi ricordi personali dei circa due anni che ho vissuto in quel piccolo
appartamento: avevamo un apparecchio radio comprato di seconda mano, con un
grazioso mobiletto, che avevamo soprannominato la “checca” dal soprannome del suo proprietario che abitava al
“Poggetto”, detto “il Checchi”; mi ammalai di pleurite-polmonite e mi salvò la
vita il dottor Bruno Cappelli con le iniezioni di penicillina; ma si vedono ancora
ai raggi X le tracce; stavo molte volte affacciato alla finestra per osservare
la strada in basso e il “coccodrillo” della Larderello SpA che portava i tubi
dei vapordotti; vidi di lassù anche sbocciare l’amore tra Piero e Miranda,
allora avranno avuto lei la mia età e
lui due o tre anni di più. Piero, che fu per lungo tempo l’autista degli
ingegneri dell’Enel-Larderello, ed anche il mio nei mesi che lavorai a Rifredi,
al Servizio Minerario, è morto precocemente per i postumi di una caduta da un
albero e Miranda abita sulla costa livornese con la figlia, ma ha casa a
Castelnuovo e quando ci incontriamo ci facciamo molta festa ed io gli ricordo
del loro primo ed unico amore tra il sorriso e qualche lacrima. Un altro
ricordo è quello dell’orto, del mandorlo, del lavatoino e delle teleferiche che
costruivo lassù; infine l’amicizia con le mie cugine Jolanda ed Eleonora,
allora giovani ragazze e bellissime. Con loro ci conoscevamo già perché
venivano ogni tanto a dormire dalla nonna Enélide, dopo il 1948, quando era
morto nonno Dario e ci dormivo io con la nonna. Mi prendevano sempre in giro
accennando ai miei acerbi e fantasiosi amori. Jolanda ed Eleonora sono state le
persone che ho più amato oltre quelle della mia famiglia e l’ho frequentate fin
quasi alla loro morte alla fine degli anni ‘90, ancora giovanili, eleganti e
belle! Ora vado a salutarle nel nostro Camposanto…
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