Le quattro stagioni.
a mio padre.
Primavera tempestosa e lietamente,
rese i tuoi giorni colmi di passione;
la musica fu l’amante e quasi un Dio,
che ti aprì ogni còr fremente.
Venne l’estate: la follia della gran calura,
la guerra, la morte, la fatica del lavoro e la paura;
l’amor perduto e quello verginale che più
non isperavi, t’innalzarono alle stelle
che nel nuovo cielo di libertà e speranza,
brillavano d’argento sulla rossa bandiera;
e dentro donna, giovani occhi neri.
Autunno, ti dette, col suo quieto ardore,
i frutti saporiti dell’Eden,
mai conoscesti stagione così bella,
di rinnovata speme e di leggiadre spose:
e a Sant’Alberto,
dal Babini, la rossa Marina.
Ti regalò le languide note
sulla madreperlacea tastiera,
in quella piccola stanza, aperta
sulla palma, il roseto e sui cameli,
mentre con tuo stupore
anch’io crescevo.
Oh! l’inverno! Ti dava l’amicizia
di un cane, e di ragazzi una schiera
attenti a quelle note del clarinetto
piccolo si bemolle e di Rossini
la Cenerentola:
un licor che ogn’anima ammaliava.
E c’era lei, padre mio, la fanciulla bionda,
che i suoi primi baci non mi negava.
Poi venne il freddo d’un Natale e cancellò
le note e i palpiti del cuore,
all’improvviso fu silenzio,
e come a tutti accade, vinse il Male.
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