sabato 6 agosto 2016

Madama Dorè.

Sulle creste dell’onde spumeggianti,
nell’eterna  sfida tra il buio degli abissi
e la chiara luce del Paradiso, il poeta
innalza il suo canto alla memoria
fuggente, a quell’età incorrotta
di bellezza, amore, amicizia e sogno,
per aggrapparsi al fragile filo
che sopra lui discende.
Tre memorabili immagini riaffiorano
nel flusso sinusoidale della creazione,
la ballatetta, l’armoniosa amante
e di giovinezza il rimpianto.

“ Oh, quante belle figlie,
Madama Dorè,
o quante belle figlie!
Son belle e me le tengo,
Madama Dorè,
son belle e me le tengo.
Me ne daresti una,
Madama Dorè,
me ne daresti una?”

E mentre la canzone roteando
si dipana, tra infantili e puri
sguardi,  di fieri giovinetti
e già maliziose bambine,
ecco si giunge al finale, atteso
simulacro dell’amore
non privo di rossore:

“Scegliete la più bella
Madama Dorè,
scegliete la più bella.
La più bella mi par questa
Madama Dorè,
la più bella mi par questa!”

Si muove sorridente il fanciullo
e prende per mano la sua amata
e tutto il girotondo si ricompone
ballando intorno alla loro
promessa.
Mai felicità portò con sé
più acerbo rimpianto!
Piange il vecchio poeta
e implora il Signore che ancora
doni linfa alle immagini liete
di allora, alla meravigliosa
promessa di quegli impeti
indomiti della primeva età,
e invano implora l’antica
profezia  che fa ritornare
due volte fanciulli i canuti

cantori.

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