Madama Dorè.
Sulle creste dell’onde
spumeggianti,
nell’eterna sfida tra il buio degli abissi
e la chiara luce del
Paradiso, il poeta
innalza il suo canto alla
memoria
fuggente, a quell’età
incorrotta
di bellezza, amore, amicizia
e sogno,
per aggrapparsi al fragile
filo
che sopra lui discende.
Tre memorabili immagini
riaffiorano
nel flusso sinusoidale della
creazione,
la ballatetta, l’armoniosa
amante
e di giovinezza il rimpianto.
“ Oh, quante belle figlie,
Madama Dorè,
o quante belle figlie!
Son belle e me le tengo,
Madama Dorè,
son belle e me le tengo.
Me ne daresti una,
Madama Dorè,
me ne daresti una?”
E mentre la canzone roteando
si dipana, tra infantili e
puri
sguardi, di fieri giovinetti
e già maliziose bambine,
ecco si giunge al finale,
atteso
simulacro dell’amore
non privo di rossore:
“Scegliete la più bella
Madama Dorè,
scegliete la più bella.
La più bella mi par questa
Madama Dorè,
la più bella mi par questa!”
Si muove sorridente il
fanciullo
e prende per mano la sua
amata
e tutto il girotondo si ricompone
ballando intorno alla loro
promessa.
Mai felicità portò con sé
più acerbo rimpianto!
Piange il vecchio poeta
e implora il Signore che
ancora
doni linfa alle immagini
liete
di allora, alla meravigliosa
promessa di quegli impeti
indomiti della primeva età,
e invano implora l’antica
profezia che fa ritornare
due volte fanciulli i canuti
cantori.
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