Un libro.
Pregare, un’esperienza
umana. L’incontro con il divino nelle culture del mondo.
A cura di Franco La
Cecla e Lucetta Scaraffia.
VP Vita e Pensiero, editori, Milano.
E’ stata per me una bella impresa
leggere quasi tutto questo ponderoso libro! E riassumerlo in poche righe quasi
impossibile. Vi si parla del “filo rosso” che attraversa fedi e religioni
diverse. Questo filo rosso è il rosario. Strumento tra i più antichi
dell’umanità, si trova tra le mani dei fedeli cristiani – cattolici, copti, ortodossi,
siriaco-caldei – come di quelli islamici, dal Marocco all’Indonesia, dai sufi
di Istanbul fino alle lontane isole di Giava e Sulawesi. Scandisce i mantra del
mondo buddista da Lhasa ad Hanoi e a Tokyo. Unisce l’induismo indiano a quello
praticato a Bali. Ne parlo per una questione che con il “rosario” non c’entra
affatto, ma perché, a pagina 145, l’inizio del capitolo che esamina “la preghiera in Cina:
offerte votive, richieste scritte e gesti rituali per comunicare con
l’Aldilà”, inizia con le parole
“gemelle” inconsapevoli di una mia poesia scritta una decina di anni fa’.
Riporto l’inizio del capitolo facendolo seguire dai
miei versi:
“All’inizio dell’autunno, in Cina, quando le costellazioni del Bovaro e
della Tessitrice si incontrano in cielo nella notte della settima luna, il
ponte che valica la via lattea, che separa le due costellazioni innamorate, è
anche quello tra il mondo degli spettri e quello dei vivi. E’ il momento in cui
si bruciano le monete votive per i morti, un uso che risale al VI secolo e che
Marco Polo per ultimo descrisse. Esse sono destinate alle anime affamate, agli
spiriti, ai fantasmi inquieti perché privi di discendenza. Quest’uso è stato
spesso perseguitato. Ancora pochi anni fa si potevano vedere ai piedi delle
montagne sacre, all’inizio di scalinate smisurate, scandite fino alla vetta di
templi e monasteri, le guardie multare le vecchie curve sotto zaini colmi di
banconote per gli inferi. Quell’ascesa conferiva alle monete il loro
inestimabile valore”.
La fine delle antiche illusioni
Per anni separati
come Shen e Shang
nel ricordo di un
bacio rubato alla notte
e all’improvviso
l’azzurro dei capelli,
laggiù, nel veloce
volo di foglie
malinconiche. Cauto
ti ho detto
“Ciao! Che gioia
rivederti…”
“Si, da tanto…”
m’hai risposto alzando
ai miei i tuoi occhi
di cerbiatta
impaurita. Io t’ho
guardata
in silenzio,
cambiata, fragile e fredda,
lontana. E per
quanto le celesti gru
infaticabili
stendano di piume
un ponte infinito
tra i bordi
della galassia, mai,
mai, il Pastorello
e la leggiadra Tessitrice potranno
appagare il
desiderio d’amore
acceso da quel
timido bacio.
Occhiate furtive e
tardive
hanno steso un velo
di residuo
rimpianto sulle
antiche
illusioni, polvere
cosmica impalpabile
è scesa a cancellare
ogni palpito.
E mai fine fu così
lacerante e lieve.
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