lunedì 30 maggio 2016



Lettere.

Non è semplice tentare di spiegare al mio nipote Bereket, nato nel 2004, cosa facessi io alla sua età, nell’anno 1950. In casa (naturalmente in affitto) non avevamo né la radio, né, tantomeno, la televisione. Senza parlare di computer, telefono fisso o cellulare, tablet e nessuna altra macchina, che pure nelle città possedevano le famiglie benestanti, come frigorifero, cucina a gas, grammofono o qualche apparecchio radio.
Diciamo pure che, a parte il giornale l’Unità (che ci portava  la domenica un “attivista” del PCI, Fabbri Fabbrino) o il mensile politico-culturale, sempre del PCI, Il Calendario del Popolo, non sapevamo praticamente nulla del mondo che ci circondava, anche se, la rottura con il passato, l’aveva portata la guerra mondiale e l’arrivo degli americani, come liberatori, nell’estate del 1944.
In questo isolamento di un decentrato territorio rurale, maggioritario rispetto alla pur grande fabbrica di Larderello, con le sue centrali elettriche, stabilimenti chimici ed officine, rimaneva ancora la scricchiolante struttura semifeudale della “mezzadria”, struttura che rapidamente sarebbe  crollata pochi anni più tardi. In tale contesto il nostro “Borgo Antico” rimaneva  il microcosmo sociale dove ci muovevamo e dove vivevano i discendenti delle nostre famiglie, generalmente legate alle altre da una fitta rete di parentele, nelle quali confluivano alcune decine di cognomi, dei tremila  abitanti (circa). Quelli della mia stirpe paterna e materna erano: Groppi, Fignani, Bisogni, Cascinelli, Benucci, Donati, Serenari, Fabbri, Rossi, Bianchi…I confini geografici del Borgo erano principalmente il “Ponte di San Pietro”, i “Lagoni e S. Antonio”, il “Fosso e la Buca del Tommi” e la “Buca della Concia”, la “Madonna al Piano” e i ponti di pietra sul torrente Pavone, il “Mulinaccio”, il torrente “Possera”, la “Serretta”, “Lama”, le Putizze di Doccioli e il Fontin de’ Cani sulla strada provinciale. C’erano però i confini più ristretti che di poco oltrepassavano le porte Medievali (Fiorentina, Romana), l’Ammazzatoio, il Piazzone, il Cimitero, il lavatoio ed i “bagnetti” caldi dei Lagoni alle Caldaie Piane.
In quell’anno 1950 terminai le scuole elementari (avevo ripetuto la prima classe) e oltre ai due libri scolastici (di lettura e sussidiario) avevo letto i primi libri veri e propri: i libri della Giungla e Kim, che mi portò mio padre da Pisa. Dovevo possedere una mente precocemente fantasiosa, come ebbe a dire Orsini Otello (il maestro di IV elementare) al mio babbo, suo amico di gioco delle carte al bar di Ildo in Via della Repubblica, dopo aver letto il mio tema sulla scoperta dell’America e sul viaggio di Cristoforo Colombo! E proprio dall’America, ossia dagli Stati Uniti, dove mezzo secolo prima mio nonno paterno era emigrato  per diversi anni, insieme ad altre centinaia di giovani costelnuovini, ci arrivavano di frequente belle lettere con i francobolli AIR MAIL da 15 ct. Con le immagini dei quadrimotori nel cielo sopra la statua della Libertà. Dentro alle buste, oltre a letterine sgrammaticate e malinconiche nel ricordo del paesello natio e sulla grande prosperità che regnava nelle loro case operaie, impiegatizie e di piccoli bottegai, trovavamo quasi sempre uno o due dollari di carta! Nonostante la nostra precaria condizione economica (mio padre, operaio saldatore, aveva una paga mensile di circa 500-600 dollari, ossia poco più di trentamila lire), questo dollaro americano  ci pareva umiliante riceverlo! E così un bel giorno il babbo mi disse: “Carlo, manda ai nostri parenti americani 1000 lire!” Detto fatto. Da allora, finalmente i famosi dollari americani smisero di arrivare anche se ci scrivevamo sempre, saltuariamente, con diversi parenti. Cosa che continuiamo anche adesso!

Lo scrivano di famiglia ero io. E la lettera scritta non mi impensieriva. Avevo l’urgenza di rompere l’isolamento che mi circondava, mentre ormai la scelta del mio futuro era compiuta frequentando i quattro anni delle Scuole Aziendali che immettevano quasi al 100% nel lavoro alla Larderello SpA. Iniziai il lavoro come “cartografo” nel febbraio 1956.  Con la fabbrica tutto era diventato “più grande” intorno a me, ma non aveva eliminato il desiderio di evasione e di conoscenza, culturale e umana. In più, scrivere, alleviava la mia ansia e la mia timidezza Il primo “carteggio” vero e proprio lo avviai con un amico paesano mandato dalla famiglia a studiare alle scuole superiori a Livorno: Ivo. Durò per almeno cinque anni ed alla fine ho potuto riunire le nostre lettere. Altre lettere si intrecciarono tra me e il fidanzato di mia cugina Eleonora, militare in Sicilia, giovane comunista, mio idolo e maestro: Massimiliano. Ed altre ancora con uno zio, fratello di mio nonno, abitante a Siena, città dove trascorrevo qualche settimana di vacanza, in estate. Purtroppo non ho potuto riunire le lettere scambiate con una ragazza di Torino, e nemmeno quelle con una francese di Vienne. Sono finite sul rogo propiziatorio del primo vero amore! Ma forse sarebbe stato bello rileggerle adesso che sono vecchio! Successivamente, quando già lavoravo in un ufficio a Larderello, avviai una corrispondenza con una ragazza cecoslovacca, una studentessa, che mi aprì le porte all’amore per la Boemia ed al mondo ebraico sopravvissuto alla Shoah. Poi nel 1962 iniziò la corrispondenza con Trudi, di Zurigo, morta nel 2015 all’età di 94 anni. Il nostro imponente carteggio è stato da poco riunito (anche se con vuoti dovuti alla lunghezza del medesimo, oltre sessanta anni di lettere e cartoline). Naturalmente ci scrivevamo anche con la mia ragazza, poi fidanzata e poi sposa! Bigliettini, letterine…non sono mancati. Con l’avvento della lettera elettronica, delle SMS e delle altre diavolerie, come FB, Blog, la lettera scritta s’è fatta più rara, anche se non morta. Negli ultimi anni  le corrispondenze in forma scritta a penna, sono state con Elie, Anna e Carla, ed elettronica con altri parenti, amici ed amiche, comprese le “americane”! Una delle più belle è stata quella con la mia nipote Marina!

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