Lettere.
Non è semplice tentare di
spiegare al mio nipote Bereket, nato nel 2004, cosa facessi io alla sua età,
nell’anno 1950. In
casa (naturalmente in affitto) non avevamo né la radio, né, tantomeno, la
televisione. Senza parlare di computer, telefono fisso o cellulare, tablet e
nessuna altra macchina, che pure nelle città possedevano le famiglie
benestanti, come frigorifero, cucina a gas, grammofono o qualche apparecchio
radio.
Diciamo pure che, a parte il
giornale l’Unità (che ci portava la
domenica un “attivista” del PCI, Fabbri Fabbrino) o il mensile
politico-culturale, sempre del PCI, Il Calendario del Popolo, non sapevamo
praticamente nulla del mondo che ci circondava, anche se, la rottura con il
passato, l’aveva portata la guerra mondiale e l’arrivo degli americani, come
liberatori, nell’estate del 1944.
In questo isolamento di un
decentrato territorio rurale, maggioritario rispetto alla pur grande fabbrica
di Larderello, con le sue centrali elettriche, stabilimenti chimici ed
officine, rimaneva ancora la scricchiolante struttura semifeudale della
“mezzadria”, struttura che rapidamente sarebbe
crollata pochi anni più tardi. In tale contesto il nostro “Borgo Antico”
rimaneva il microcosmo sociale dove ci
muovevamo e dove vivevano i discendenti delle nostre famiglie, generalmente
legate alle altre da una fitta rete di parentele, nelle quali confluivano
alcune decine di cognomi, dei tremila
abitanti (circa). Quelli della mia stirpe paterna e materna erano: Groppi,
Fignani, Bisogni, Cascinelli, Benucci, Donati, Serenari, Fabbri, Rossi,
Bianchi…I confini geografici del Borgo erano principalmente il “Ponte di San
Pietro”, i “Lagoni e S. Antonio”, il “Fosso e la Buca del Tommi” e la “Buca
della Concia”, la “Madonna al Piano” e i ponti di pietra sul torrente Pavone,
il “Mulinaccio”, il torrente “Possera”, la “Serretta”, “Lama”, le Putizze di
Doccioli e il Fontin de’ Cani sulla strada provinciale. C’erano però i confini
più ristretti che di poco oltrepassavano le porte Medievali (Fiorentina,
Romana), l’Ammazzatoio, il Piazzone, il Cimitero, il lavatoio ed i “bagnetti”
caldi dei Lagoni alle Caldaie Piane.
In quell’anno 1950 terminai le
scuole elementari (avevo ripetuto la prima classe) e oltre ai due libri
scolastici (di lettura e sussidiario) avevo letto i primi libri veri e propri: i
libri della Giungla e Kim, che mi portò mio padre da Pisa. Dovevo possedere una
mente precocemente fantasiosa, come ebbe a dire Orsini Otello (il maestro di IV
elementare) al mio babbo, suo amico di gioco delle carte al bar di Ildo in Via
della Repubblica, dopo aver letto il mio tema sulla scoperta dell’America e sul
viaggio di Cristoforo Colombo! E proprio dall’America, ossia dagli Stati Uniti,
dove mezzo secolo prima mio nonno paterno era emigrato per diversi anni, insieme ad altre centinaia
di giovani costelnuovini, ci arrivavano di frequente belle lettere con i
francobolli AIR MAIL da 15 ct. Con le immagini dei quadrimotori nel cielo sopra
la statua della Libertà. Dentro alle buste, oltre a letterine sgrammaticate e
malinconiche nel ricordo del paesello natio e sulla grande prosperità che
regnava nelle loro case operaie, impiegatizie e di piccoli bottegai, trovavamo
quasi sempre uno o due dollari di carta! Nonostante la nostra precaria
condizione economica (mio padre, operaio saldatore, aveva una paga mensile di
circa 500-600 dollari, ossia poco più di trentamila lire), questo dollaro
americano ci pareva umiliante riceverlo!
E così un bel giorno il babbo mi disse: “Carlo, manda ai nostri parenti
americani 1000 lire!” Detto fatto. Da allora, finalmente i famosi dollari
americani smisero di arrivare anche se ci scrivevamo sempre, saltuariamente,
con diversi parenti. Cosa che continuiamo anche adesso!
Lo scrivano di famiglia ero io. E
la lettera scritta non mi impensieriva. Avevo l’urgenza di rompere l’isolamento
che mi circondava, mentre ormai la scelta del mio futuro era compiuta
frequentando i quattro anni delle Scuole Aziendali che immettevano quasi al
100% nel lavoro alla Larderello SpA. Iniziai il lavoro come “cartografo” nel
febbraio 1956. Con la fabbrica tutto era
diventato “più grande” intorno a me, ma non aveva eliminato il desiderio di
evasione e di conoscenza, culturale e umana. In più, scrivere, alleviava la mia
ansia e la mia timidezza Il primo “carteggio” vero e proprio lo avviai con un
amico paesano mandato dalla famiglia a studiare alle scuole superiori a
Livorno: Ivo. Durò per almeno cinque anni ed alla fine ho potuto riunire le
nostre lettere. Altre lettere si intrecciarono tra me e il fidanzato di mia
cugina Eleonora, militare in Sicilia, giovane comunista, mio idolo e maestro:
Massimiliano. Ed altre ancora con uno zio, fratello di mio nonno, abitante a
Siena, città dove trascorrevo qualche settimana di vacanza, in estate.
Purtroppo non ho potuto riunire le lettere scambiate con una ragazza di Torino,
e nemmeno quelle con una francese di Vienne. Sono finite sul rogo propiziatorio
del primo vero amore! Ma forse sarebbe stato bello rileggerle adesso che sono
vecchio! Successivamente, quando già lavoravo in un ufficio a Larderello,
avviai una corrispondenza con una ragazza cecoslovacca, una studentessa, che mi
aprì le porte all’amore per la
Boemia ed al mondo ebraico sopravvissuto alla Shoah. Poi nel
1962 iniziò la corrispondenza con Trudi, di Zurigo, morta nel 2015 all’età di
94 anni. Il nostro imponente carteggio è stato da poco riunito (anche se con
vuoti dovuti alla lunghezza del medesimo, oltre sessanta anni di lettere e
cartoline). Naturalmente ci scrivevamo anche con la mia ragazza, poi fidanzata
e poi sposa! Bigliettini, letterine…non sono mancati. Con l’avvento della
lettera elettronica, delle SMS e delle altre diavolerie, come FB, Blog, la
lettera scritta s’è fatta più rara, anche se non morta. Negli ultimi anni le corrispondenze in forma scritta a penna, sono
state con Elie, Anna e Carla, ed elettronica con altri parenti, amici ed amiche,
comprese le “americane”! Una delle più belle è stata quella con la mia nipote
Marina!
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