martedì 31 maggio 2016


Un libro.
Pregare, un’esperienza umana. L’incontro con il divino nelle culture del mondo.

A cura di Franco La Cecla e Lucetta Scaraffia.
VP Vita e Pensiero, editori, Milano.

E’ stata per me una bella impresa leggere quasi tutto questo ponderoso libro! E riassumerlo in poche righe quasi impossibile. Vi si parla del “filo rosso” che attraversa fedi e religioni diverse. Questo filo rosso è il rosario. Strumento tra i più antichi dell’umanità, si trova tra le mani dei fedeli cristiani – cattolici, copti, ortodossi, siriaco-caldei – come di quelli islamici, dal Marocco all’Indonesia, dai sufi di Istanbul fino alle lontane isole di Giava e Sulawesi. Scandisce i mantra del mondo buddista da Lhasa ad Hanoi e a Tokyo. Unisce l’induismo indiano a quello praticato a Bali. Ne parlo per una questione che con il “rosario” non c’entra affatto, ma perché, a pagina 145, l’inizio del  capitolo che esamina “la preghiera in Cina: offerte votive, richieste scritte e gesti rituali per comunicare con l’Aldilà”,  inizia con le parole “gemelle” inconsapevoli di una mia poesia scritta una decina di anni fa’.
Riporto  l’inizio del capitolo facendolo seguire dai miei versi:

“All’inizio dell’autunno, in Cina, quando le costellazioni del Bovaro e della Tessitrice si incontrano in cielo nella notte della settima luna, il ponte che valica la via lattea, che separa le due costellazioni innamorate, è anche quello tra il mondo degli spettri e quello dei vivi. E’ il momento in cui si bruciano le monete votive per i morti, un uso che risale al VI secolo e che Marco Polo per ultimo descrisse. Esse sono destinate alle anime affamate, agli spiriti, ai fantasmi inquieti perché privi di discendenza. Quest’uso è stato spesso perseguitato. Ancora pochi anni fa si potevano vedere ai piedi delle montagne sacre, all’inizio di scalinate smisurate, scandite fino alla vetta di templi e monasteri, le guardie multare le vecchie curve sotto zaini colmi di banconote per gli inferi. Quell’ascesa conferiva alle monete il loro inestimabile valore”.

La fine delle antiche illusioni

Per anni separati come Shen e Shang
nel ricordo di un bacio rubato alla notte
e all’improvviso l’azzurro dei capelli,
laggiù, nel veloce volo di foglie
malinconiche. Cauto ti ho detto
“Ciao! Che gioia rivederti…”
“Si, da tanto…” m’hai risposto alzando
ai miei i tuoi occhi di cerbiatta
impaurita. Io t’ho guardata
in silenzio, cambiata, fragile e fredda,
lontana. E per quanto le celesti gru
infaticabili stendano di piume
un ponte infinito tra i bordi
della galassia, mai, mai, il Pastorello
e la  leggiadra Tessitrice potranno
appagare il desiderio d’amore
acceso da quel timido bacio.
Occhiate furtive e tardive
hanno steso un velo di residuo
rimpianto sulle antiche
illusioni, polvere cosmica impalpabile
è scesa a cancellare ogni palpito.
E mai fine fu così

lacerante e lieve.

lunedì 30 maggio 2016



Lettere.

Non è semplice tentare di spiegare al mio nipote Bereket, nato nel 2004, cosa facessi io alla sua età, nell’anno 1950. In casa (naturalmente in affitto) non avevamo né la radio, né, tantomeno, la televisione. Senza parlare di computer, telefono fisso o cellulare, tablet e nessuna altra macchina, che pure nelle città possedevano le famiglie benestanti, come frigorifero, cucina a gas, grammofono o qualche apparecchio radio.
Diciamo pure che, a parte il giornale l’Unità (che ci portava  la domenica un “attivista” del PCI, Fabbri Fabbrino) o il mensile politico-culturale, sempre del PCI, Il Calendario del Popolo, non sapevamo praticamente nulla del mondo che ci circondava, anche se, la rottura con il passato, l’aveva portata la guerra mondiale e l’arrivo degli americani, come liberatori, nell’estate del 1944.
In questo isolamento di un decentrato territorio rurale, maggioritario rispetto alla pur grande fabbrica di Larderello, con le sue centrali elettriche, stabilimenti chimici ed officine, rimaneva ancora la scricchiolante struttura semifeudale della “mezzadria”, struttura che rapidamente sarebbe  crollata pochi anni più tardi. In tale contesto il nostro “Borgo Antico” rimaneva  il microcosmo sociale dove ci muovevamo e dove vivevano i discendenti delle nostre famiglie, generalmente legate alle altre da una fitta rete di parentele, nelle quali confluivano alcune decine di cognomi, dei tremila  abitanti (circa). Quelli della mia stirpe paterna e materna erano: Groppi, Fignani, Bisogni, Cascinelli, Benucci, Donati, Serenari, Fabbri, Rossi, Bianchi…I confini geografici del Borgo erano principalmente il “Ponte di San Pietro”, i “Lagoni e S. Antonio”, il “Fosso e la Buca del Tommi” e la “Buca della Concia”, la “Madonna al Piano” e i ponti di pietra sul torrente Pavone, il “Mulinaccio”, il torrente “Possera”, la “Serretta”, “Lama”, le Putizze di Doccioli e il Fontin de’ Cani sulla strada provinciale. C’erano però i confini più ristretti che di poco oltrepassavano le porte Medievali (Fiorentina, Romana), l’Ammazzatoio, il Piazzone, il Cimitero, il lavatoio ed i “bagnetti” caldi dei Lagoni alle Caldaie Piane.
In quell’anno 1950 terminai le scuole elementari (avevo ripetuto la prima classe) e oltre ai due libri scolastici (di lettura e sussidiario) avevo letto i primi libri veri e propri: i libri della Giungla e Kim, che mi portò mio padre da Pisa. Dovevo possedere una mente precocemente fantasiosa, come ebbe a dire Orsini Otello (il maestro di IV elementare) al mio babbo, suo amico di gioco delle carte al bar di Ildo in Via della Repubblica, dopo aver letto il mio tema sulla scoperta dell’America e sul viaggio di Cristoforo Colombo! E proprio dall’America, ossia dagli Stati Uniti, dove mezzo secolo prima mio nonno paterno era emigrato  per diversi anni, insieme ad altre centinaia di giovani costelnuovini, ci arrivavano di frequente belle lettere con i francobolli AIR MAIL da 15 ct. Con le immagini dei quadrimotori nel cielo sopra la statua della Libertà. Dentro alle buste, oltre a letterine sgrammaticate e malinconiche nel ricordo del paesello natio e sulla grande prosperità che regnava nelle loro case operaie, impiegatizie e di piccoli bottegai, trovavamo quasi sempre uno o due dollari di carta! Nonostante la nostra precaria condizione economica (mio padre, operaio saldatore, aveva una paga mensile di circa 500-600 dollari, ossia poco più di trentamila lire), questo dollaro americano  ci pareva umiliante riceverlo! E così un bel giorno il babbo mi disse: “Carlo, manda ai nostri parenti americani 1000 lire!” Detto fatto. Da allora, finalmente i famosi dollari americani smisero di arrivare anche se ci scrivevamo sempre, saltuariamente, con diversi parenti. Cosa che continuiamo anche adesso!

Lo scrivano di famiglia ero io. E la lettera scritta non mi impensieriva. Avevo l’urgenza di rompere l’isolamento che mi circondava, mentre ormai la scelta del mio futuro era compiuta frequentando i quattro anni delle Scuole Aziendali che immettevano quasi al 100% nel lavoro alla Larderello SpA. Iniziai il lavoro come “cartografo” nel febbraio 1956.  Con la fabbrica tutto era diventato “più grande” intorno a me, ma non aveva eliminato il desiderio di evasione e di conoscenza, culturale e umana. In più, scrivere, alleviava la mia ansia e la mia timidezza Il primo “carteggio” vero e proprio lo avviai con un amico paesano mandato dalla famiglia a studiare alle scuole superiori a Livorno: Ivo. Durò per almeno cinque anni ed alla fine ho potuto riunire le nostre lettere. Altre lettere si intrecciarono tra me e il fidanzato di mia cugina Eleonora, militare in Sicilia, giovane comunista, mio idolo e maestro: Massimiliano. Ed altre ancora con uno zio, fratello di mio nonno, abitante a Siena, città dove trascorrevo qualche settimana di vacanza, in estate. Purtroppo non ho potuto riunire le lettere scambiate con una ragazza di Torino, e nemmeno quelle con una francese di Vienne. Sono finite sul rogo propiziatorio del primo vero amore! Ma forse sarebbe stato bello rileggerle adesso che sono vecchio! Successivamente, quando già lavoravo in un ufficio a Larderello, avviai una corrispondenza con una ragazza cecoslovacca, una studentessa, che mi aprì le porte all’amore per la Boemia ed al mondo ebraico sopravvissuto alla Shoah. Poi nel 1962 iniziò la corrispondenza con Trudi, di Zurigo, morta nel 2015 all’età di 94 anni. Il nostro imponente carteggio è stato da poco riunito (anche se con vuoti dovuti alla lunghezza del medesimo, oltre sessanta anni di lettere e cartoline). Naturalmente ci scrivevamo anche con la mia ragazza, poi fidanzata e poi sposa! Bigliettini, letterine…non sono mancati. Con l’avvento della lettera elettronica, delle SMS e delle altre diavolerie, come FB, Blog, la lettera scritta s’è fatta più rara, anche se non morta. Negli ultimi anni  le corrispondenze in forma scritta a penna, sono state con Elie, Anna e Carla, ed elettronica con altri parenti, amici ed amiche, comprese le “americane”! Una delle più belle è stata quella con la mia nipote Marina!

domenica 15 maggio 2016



LUIGI SETTEMBRINI.

Nei primi anni ’50 traslocammo dalla casa del Borgo nella centralissima via della Repubblica, già via Vittorio Emanuele II, al quinto ed ultimo piano dell’edificio più alto del paese. Nessuno avrebbe potuto immaginare, osservando dalla strada il minuscolo portoncino di legno segnato dal tempo, che all’interno esistesse un mondo in miniatura, con ben sette famiglie per 26 persone dei quali 10 giovani, tra femmine e maschi. Cinque di queste famiglie erano legate tra loro da vincoli parentali e l’intimità era altissima. In una delle rimanenti vivevano padre, madre, con due bambini, una femmina, già grandicella e un maschio nato da pochi mesi. Il padre, un operaio della “Larderello SpA”, un sondista, si chiamava Luigi Settembrini. Era, come molti in quel tempo, un comunista. La moglie, Filomena, aveva talento d’artista, e dipingeva bellissimi manifesti e grandi cartoni con i ritratti dei filosofi e capi del comunismo italiano e internazionale. Gente perbene, una stirpe, si direbbe, in via di estinzione. Avevamo due pezzetti di terra, al di là della chiostra che separava i fabbricati dal poggio retrostante, i quali vi erano collegati attraverso pericolanti passerelle in tavole e pali di castagno. Questi pezzetti di terra erano regno di noi bambini, diciamo pure, un regno felice.
La mia famiglia era formata, oltre me,  di undici anni, da mio padre di trentasei e dalla nonna paterna, di anni sessantotto, che, rimasta vedova, vestiva sempre di nero e sembrava ancora più vecchia della sua età. Quei cinque piani di scale buie e strette costituivano per la nonna una sorta di limite invalicabile, perciò dopo due o tre anni, cambiammo di nuovo casa andando ad abitare in due stanzette più comode, da Raspino, proprio di fronte ai giardini pubblici, il famoso “Piazzone” e finalmente la nonne riprese a circolare per il paese, per il castagneto e le campagne nelle quali andava ad “opre” dai mezzadri, cucendo e rammendando. Persi le tracce di Luigi Settembrini ed anche della sua famiglia, ma il suo nome non lo dimenticai. Forse fu questo ricordo a farmi acquistare, nell’anno 1964, i due volumi dell’editore Sansoni, le 108 “Lezioni di letteratura italiana”, di Luigi Settembrini! Fu una lettura appassionante che legai a quella di Francesco Flora, per lo studio, della letteratura italiana.
Luigi Settembrini (Napoli, 1813-1876), fu patriota e letterato, aderente alla Giovane Italia fu incarcerato con la proibizione dell’insegnamento, che esercitò segretamente in sua casa ed in case private, mai trascurando l’attività politica in opposizione ai Borboni e allo Stato della Chiesa. Condannato a morte nel 1851, la pena fu commutata nell’ergastolo. Dopo otto anni di prigione a Santo Stefano fu avviato, con altri patrioti, alla deportazione in America. Riuscì a sbarcare in Irlanda e nel 1860 potè far ritorno in Italia, dove ottenne la cattedra di lettere all’Università di Bologna e poi a Napoli fino alla morte nel 1876.

Ho riletto in questi giorni alcune pagine dei due volumi delle “Lezioni”, tre le quali quelle sulla trama della Divina Commedia e quelle “L’Italia dopo il Concili. I Gesuiti”, che sono state entusiasmanti! Ma, in particolare, mi hanno colpito alcuni paragrafi della XXVI lezione, I trecentisti minori, quelli riferiti a Santa Caterina da Siena, questa voce “solitaria, vissuta trentatré anni in un’estasi continua (1347-1380), in un mondo ideale di luce e d’amore, donde ella discendeva su la terra per insegnare agli uomini come si ama lassù, dove si opera come si parla. Questa donna singolarissima, che da prima non sapeva scrivere, dettava lettere a re, a regine, ad imperatori, a papi, a principi della Chiesa, a signori, a popolani, a verginelle,, sino a una meretrice pubblica…le sue lettere, che ella dettava a segretari, rimangono come uno dei più belli monumenti della letteratura nostra. In esse c’è tutta la purezza del cristianesimo; c’è la Chiesa come dovrebbe essere, santa, superiore alle cose terrene: c’è sdegno senz’ira contro i cardinali parteggianti, contro i pastori che si ‘veggono in tante delizie e stati e pompe e vanità del mondo più che se fossero mille volte nel secolo. Furano il sangue di Cristo; hanno giocato l’anima loro; sono lebbrosi e mandano una puzza da far quasi morire’. Udite come ella pregava il papa: “Ohimè, babbo, non più guerra per qualunque modo”. E pregavalo di tornare a Roma da Avignone: “…e non veniate a Roma con sforzo di gente. Non sarà renduta alla Chiesa la bellezza sua col coltello, né con crudeltà, né con guerra, ma con la pace. Con la mano dell’amore stringete la verga della giustizia”. 

sabato 14 maggio 2016



La Coccinella

In una rosa a Quercianella
Nacque un giorno la coccinella
In una rosa di Provenza
Contò fino a centotrenta
In una rosa a Bagdad
Lei  ha vissuto su un sofà
In una rosa del Marocco
Ha evitato lo scirocco
In una rosa del Monviso
Ha trovato il Paradiso
Coccinella a sette punti
Coccinella, stupidella
Al punto giusto!


giovedì 5 maggio 2016


La Rocca Sillana.

Monteguidi.


San Lorenzo a Montalbano.

Notte che sgorghi e ti dilati...

Ormai è fatta! Il libriccino "Notte che sgorghi e ti dilati" si darà alle stampe! Ringrazio i sottoscrittori delle 200 copie della tiratura prevista. Il loro numero ad oggi è di 217! Grande numero (trattandosi di poesia), venuto rapidamente, senza eccessiva insistenza. 

domenica 1 maggio 2016



Norma Parenti

Questa ballata fu composta nel 2003 e tradotta in lingua spagnola nel 2007. Pubblicata sul volumetto di poesie "La cometa Swan" la riprongo oggi, primo maggio 2016, dedicandola a Pier Paolo Fiorenzani. Molti  misteri sulla vita e sulla morte di Norma sono stati svelati in questi ultimi due decenni, compreso l'atto di morte e la sua tragica sofferenza. Tuttavia ritengo che, oltre alla motivazione della Sua Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria, oltre non si possa andare anche se non ci dobbiamo mai interrompere nella trasmissione del suo messaggio universale, contro la violenza e la sopraffazione, la malvagità e l'odio, con tutti i mezzi che la comunicazione ci consente.

A los veinte años la belleza no muere,
el odio no mella el amor;
a los veinte años entre los olivos de plata
Norma, todavía eres virgen!

Oh! los negros verdugos,
las cruces gamadas en sucios uniformes,
almas heladas, hijos del Mal,
te truncan las carnes, los dientes,
el tierno pubis, la sonrisa:
pero no tendrán tu corazón!

A los veinte años la belleza no muere,
el odio no mella el amor;
a los veinte años entre los olivos de plata
Norma, todavía eres virgen!

De Maremma es el Ángel invencible,
Norma Parenti, ojos de flor de lirio,
labios purpúreos, niñez indefensa,
Apostol de paz y de fraternidad!

A los veinte años la belleza no muere,
el odio no mella el amor;
a los veinte años entre los olivos de plata
Norma, todavía eres virgen!

Ahora hace viento en los callejones antiguos,
esperanza de campos perfumados,
eres el Ideal que vence
en los corazones sedientos de hermandad;
eres tórtola y nido,
eres fuente y eres riachuelo,
eres mármol y memoria,
ocaso y aurora,
eres cielo y mar,
eres llama eterna de Libertad!

A los veinte años la belleza no muere,
el odio no mella el amor;
a los veinte años entre los olivos de plata

Norma, todavía eres virgen!