MEMORIE del Cardinale
di Retz, cioè Paolo di Gondi. (1613-1679)
Questo volume di 358 pagine fitte fitte senza nemmeno una
illustrazione lo stampò Valentino Bompiani nel 1946 ed io lo ebbi in regalo nel
1957. Mentre lo leggevo ne parlai con un amico francese, l’ingegner Marc Albo,
che allora lavorava con la CGG di Parigi a Larderello. Lui si meravigliò molto di
questa mia lettura e mi prese in simpatia. Ma non seppe mai che, successivamente, l’avrei interrotta! Marc era
una persona gentile, e per diversi anni
i nostri rapporti proseguirono. Poi si
recò in Giappone, sempre per conto della Soc. Geofisica, e dal Giappone mi scrisse alcune lettere
inviandomi i bellissimi
francobolli. Aveva trovato a Tokyo
costumi sessuali molto più liberi che non a Castelnuovo! Ho saputo che è morto,
in Francia dove abitava. Sarebbe stato contento avesse saputo che l’ho finito
di leggere! Non lo consiglio a nessuno anche se Stendhal lo definì
“…un des chef-d’oeuvre de notre littérature”.
Paolo di Gondi era un
uomo nero e brutto, audace nella
politica e in amore, pronto a cogliere
le occasioni favorevoli, a allungare una mano per cingere la vita di una donna, a dire in un
salotto una frase capita soltanto da chi doveva capirla. Il suo bisnonno
Antonio Gondi, era fiorentino e aveva
fatto fortuna, un secolo prima che Paolo nascesse, alla corte di Enrico II e di
Caterina dei Medici.
Paolo scrisse le sue Memorie da vecchio, ormai sulla
sessantina. Si era ritirato dal mondo e si era convertito, pentendosi dei
peccati che aveva commesso, cercando di pagare parte dei debiti che aveva
contratto, che ammontavano a milioni,
rinunciando al lusso e alla mondanità. Ma
le sue non sono Memorie da penitente; gli amori giovanili sono descritti
con compiacimento, sembra che il vecchio sangue comunichi una sensazione di
sensualità alla parola, il languore della cugina Margherita di Gondi, la bellezza capricciosa
della signorina i Chevreuse, le grazie appena
sfiorite della figlia del Duca di Vendòme.
Le Memorie sono dedicate e dirette a una dama francese
contemporanea di Retz, molto probabilmente , a Madame de Sévigné, della quale egli
fu amico.
Dopo il 1717 il testo fu ristampato varie volte fino all’edizione
delle sue opere complete in 11 volumi.
Dei quali solo i primi quattro e parte del quinto comprendono le
Memorie.
Leggerle oggi? E’ una lettura complessa, adatta solo per gli
specialisti. Infatti io la interruppi.
Ma tuttavia si possono leggere con godimento le pagine che raccontano la
sua fuga dal carcere di Nantes e
navigando tutto il Mediterraneo traversare il canale tra la Corsica e la
Sardegna, arrivare, dopo perigliose peripezie, a Piombino che è sulla costa
della Toscana:
“…qui lasciai la galera, dopo aver regalato agli ufficiali,
ai soldati e alla ciurma tutto il denaro che mi restava, compresa la catena
d’oro che il Re di Spagna aveva dato a
Boisguérin,; gliela comprai e la rivendetti al fattore del principe Ludovisi,
signore di Piombino. Tenni per me solamente nove pistole, con le quali credevo
di poter arrivare fino a Firenze.
Debbo dire, in verità, che nessuno meritò mai una ricompensa
più dell’equipaggio della galera. La discrezione di costoro a mio riguardo non
ha forse mai avuto l’uguale. Erano più di seicento uomini, e tutti mi
conoscevano: non ce ne fu uno che lo facesse capire anche minimamente me o agli altri. La loro riconoscenza per i
miei regali fu pari alla loro discrezione. La riconoscenza che io manifestai
per la loro cortesia li commosse talmente, che piangevano tutti quando li
lasciai per sbarcare a Piombino.
Rimasi soltanto quattro ore a Piombino, donde partii subito
dopo aver pranzato, prendendo la strada di Firenze. Trovai, a tre o quattro
leghe da Volterra, un certo signor Annibale (non ne ricordo più il casato); era
un gentiluomo di camera del Granduca e veniva da parte di costui, dietro avviso
del Governatore di Portoferraio, per rendermi omaggio e pregarmi di fare una
leggera quarantena prima di inoltrarmi nel paese. Era un po’ in cattivi
rapporti coi genovesi e temeva che questi, col pretesto degli scambi di coloro
che venivano dalla Spagna, sospetta di contagio, intralciassero il commercio della Toscana.
Questo signor Annibale mi condusse in una casa, presso Volterra,
detta l’Hospitalità, costruita sul campo di battaglia dove fu ucciso Catilina.
Appartenne a Lorenzo de’ Medici e, per via di matrimoni, passò alla casa Corsini.
Vi rimasi nove giorni vi fui servito
sempre magnificamente dagli ufficiali del Granduca. L’abate Charrier, che alla
prima notizia del mio arrivo a Portoferraio era corso da Firenze con la
posta, venne a trovarmi lì e il balivo
di Gondi mi venne a prendere con le carrozze del Granduca per condurmi a
dormire a Camogliana, una bella villa del marchese Niccolini, suo prossimo
parente…”
E da qui il viaggio si snoderà fino a Roma alla Corte Papale
ed al Conclave alla morte del papa il 7 gennaio 1655 al quale si avvicendò
Alessandro VII. Su succederanno avvenimenti tragici e lotte intestine all’interno
della Curia Romana, pro Spagna o pro Francia, fino al 1667, quando vene eletto papa Clemente IX e
infine a quello del 1676 che fece papa Innocenzo
XI.
Retz si destreggiò abilmente
sotto questi tre papi, a vantaggio della politica francese contro gli
spagnoli, che riuscì a far prevalere. A Roma condusse vita fastosa ed a
servizio degli intrighi francesi. Dopo un amichevole rapporto il Papa cambiò
atteggiamento verso Retz pronunciando la famosa frase in italiano: “Questi
maledetti francesi sono più furbi di noialtri!
Retz si mise contro il cardinal Mazzarino, avendo scritto una famosa
lettera contro l’usurpazione della corte di Francia, firmandola in Roma il 22
maggio 1655 con il sigillo di Il Cardinale di Retz – Arcivescovo di Parigi.
Le
Memorie del cardinale di Retz sono interrotte dopo quest’ultima lettera.
A Roma il Cardinale di Retz non potè restare. L’autorità del
Re di Francia fece tremare non solo il clero di Parigi, che tentava di salvare
la Diocesi al suo capo, ma anche il
Pontefice. Il Cardinale viaggiò, davvero esule, ormai: andò in Belgio, in Germania, in Olanda, in
Inghilterra Alla morte di Mazzarino Retz sperò di rientrare in Francia e
riprendere il titolo di arcivescovo di Parigi, ma la Corte era sempre dura
verso di lui. Luigi XIV era un monarca assoluto e odiava il cardinale di Retz.
E così Retz rientrò in patria senza alcun titolo, né potere politico e la Corte
lo accolse freddamente. Piano piano
l’ostilità del re si attenuò e Retz ebbe dalla Corte delicate missioni a Roma,
e come abbiamo visto, riuscì a far eleggere Papa due dei suoi candidati.
Clemente IX e Clemente X. Dopo Retz si ritirò definitivamente dalla scena
iniziando a scrivere le sue Memorie dal 1672 in poi.
La sua “conversione”, come la chiamarono, e in realtà fino allora era vissuto più da
pagano che da cristiano vero, fu
l’ultima avventura di quest’uomo inquieto. Voleva rinunciare alla porpora, ma
il Papa non lo consentì. Visse modestamente,
da benedettino. Cercò di pagare una parte almeno dei suoi debiti che
ammontavano a quattro milioni.
Morì a Parigi in casa della nipote Margherita di Gondi,
duchessa di Lesdiguières, il 24 agosto 1679, a sessantasei anni. Nella sua vita
aveva molto peccato, ma bisogna perdonargli perché dobbiamo dire con
Sainte-Beuve, che lo ha scritto francamente.
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