PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI. CAP. 102. (1982)
Verso il rinnovo dei contratti
collettivi di lavoro
Mentre si stanno concludendo le
assemblee indette in tutti i luoghi di lavoro dalla Federazione Cgil-Cisl-Uil
per la discussione e l’approvazione del documento unitario, faticosamente
elaborato nel corso del 1981, che servirà per gli incontri con il Governo e la
Confindustria sui grandi temi di politica sindacale, quali la lotta alla
disoccupazione, alla inflazione, la ripresa degli investimenti, il contenimento
del costo del lavoro (assemblee che hanno messo in luce, al di là di un SI
maggioritario scontato, un diffuso malessere e disorientamento tra la base e
tensioni nel rapporto con il vertice), si aprono contemporaneamente le vertenze
per il rinnovo dei contratti.
E’ chiaro che i rinnovi contrattuali (nel 1981 sono intessati 24
settori per un totale di circa 22 milioni di addetti), dovranno tener conto del
quadro generale di accordo che Cgil-Cisl-Uil tenteranno di raggiungere con le
controparti politiche e padronali, anche se tale accordo non sembra facilmente
raggiungibile vista la rabbiosa reazione della Confindustria e i contrasti
(economia, pensioni) emersi tra i partiti che sono al Governo, potrebbero
addirittura portare alla crisi ed alla fine della legislatura con conseguenze
assai gravi per tutta la società e, certamente, con ritardi nella soluzione di
problemi importantissimi, tra i quali i rinnovi dei contratti.
Tuttavia i contratti devono essere
rinnovati e rispettate le scadenze naturali: il sindacato ed i lavoratori sono
stati fermi e chiari su questo punto respingendo seccamente le proposte di uno
slittamento. Ma rinnovati come? Quali le tendenze principali? Sarà in grado il
sindacato di avviare scelte anche parziali, ma significative, di
riparametrazione? Sembrerebbe di si, anche se il problema della riduzione
dell’orario di lavoro rischia di annullare i già ristretti margini dei costi
contrattuali. Nessuno però è in grado di sapere come andrà a finire nel momento
dell’impatto con i lavoratori, quando si tratterà di approvare le piattaforme
rivendicative e porre chiaramente delle alternative, giacché non sarà possibile
soddisfare, al livello massimo, tutte le esigenze.
La questione di una seria
riparametrazione non deve essere intesa come una furbesca manovra per
recuperare talune categorie, ma come un “atto dovuto” di rispetto a quanto
stabilito nei contratti nazionali, che prevedono una scala parametrale
differenziata (scala che il meccanismo dell’indennità di contingenza, per non
parlare del drenaggio fiscale, si incarica di distruggere in pochi mesi!)
Riuscire quindi a passare, nei prossimi rinnovi contrattuali, dando segnali
nuovi rispetto alla tradizionale politica salariale del sindacato, è la strada
per affrontare l’obiettivo della riunificazione del mondo del lavoro,
indispensabile per avviare su basi nuove la trasformazione della società in
senso democratico, non frantumata, non oligarchica, non corporativa: nella
quale solo i più forti prevarrebbero.
La realtà dell’inquadramento unico
operai-impiegati-tecnici deve essere definitivamente acquisita e mantenuta. E’
sul piano di un’attenta verifica alle trasformazioni avvenute negli ultimi
dieci anni nell’organizzazione del lavoro che il problema va affrontato, e
quindi sul piano della reale professionalità individuale e di gruppo omogeneo e
su un corretto rapporto tra professionalità e qualifiche, tra professionalità e
salario. Occorre prendere atto che in tutti i settori industriali gli ultimi
due livelli di inquadramento, di fatto, sono scatole vuote (nell’Enel, sul
totale del personale, la C2 = 1,6%; la C1 = 2,4% alla data del 31 dicembre
1980. Nell’anno 1981 tali percentuali sono ulteriormente diminuite), e che, di
conseguenza si è ridotto il metro con cui si misurano i parametri e che occorre
uno sventagliamento più ampio delle qualifiche.
Porsi in termini concreti questi
problemi non è abbandonare a se stessi gli strati operai di livello più basso,
ma, ed è decisivo per un sindacato di classe, essere dentro la sostanza dei
processi che contano, che rappresentano la realtà d’oggi, le prospettive di
domani. Si tratta di evitare una vera e propria abdicazione del sindacato,
dando spazio alla linea del padronato, come pericolosamente sta venendo avanti
in tutti i settori e le cui prime avvisaglie sono state per gli elettrici le
“griglie salariali” e il tentativo, non pienamente riuscito, di legare una
parte del salario alla presenza.
Il terreno dell’egualitarismo è un
altro. E’ combattere l’inflazione, nemica numero uno del salario, è creare
possibilità di lavoro per le nuove generazioni, è dare un senso e proteggere la
vita sociale ed economica degli anziani, trasformare la scuola e legarla alla
Società, garantire un servizio di alto livello alle strutture sanitarie
pubbliche, applicare una rigorosa politica fiscale combattendo l’evasione…, e
per i lavoratori stabilire corretti rapporti tra i vari comparti che formano le
retribuzioni: il salario sociale, con il punto unico di contingenza uguale per
tutti; il salario familiare, che tiene conto degli assegni familiari e
detrazioni fiscale crescenti per famiglie monoreddito con figli a carico; il
salario professionale, riparametrato; il salario differito, cioè la
liquidazione che deve recuperare nei
termini già precisati al Convegno di Montecatini, una parte passata e futura
della contingenza.
Grandi temi, grandi
impegni che richiederanno sempre più maturità politica all’insieme del
movimento operaio, sempre più unità e convergenza tra componenti diverse,
sempre più democrazia nei funzionamenti interni al sindacato, ricercando
momenti di partecipazione non solo formali, sempre più collegamenti con
l’insieme della Società. Ma è dalla loro soluzione che passa la strada
obbligata nel tracciato di una nuova via di progresso e di rinnovamento
economico, morale e politico per il nostro Paese.
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