14 giugno 1944
Giorno della memoria dei 77 minatori di Niccioleta uccisi a Castelnuovo
di Val di Cecina (PI); dei 6 uccisi la sera innanzi al Villaggio minerario di
Niccioleta (Massa Marittima, GR) e dei 4 partigiani combattenti della “Piccola
Banda di Ariano”, uccisi a Castelnuovo di Val di Cecina, poche ore prima
dell’immane eccidio.
Niccioleta, per me, nato prima
della seconda guerra mondiale a Castelnuovo di Val di Cecina, evoca giorni
tragici, morte, vicende dolorose di vedove ed orfani, di genitori vecchi e
soli, di supersiti alla deportazione tormentati dai ricordi, di superstiti
esclusi dalla “conta della morte”, carichi di interrogativi: perché lui si ed
io no?
Per lunghi anni il piccolo testo
commemorativo di Emilio Zannerini è stato il mio unico riferimento
sull’eccidio, insieme, naturalmente, al monumento eretto a Castelnuovo ed al
sacrario sul luogo delle uccisioni, del quale, coordinati dal partigiano, ex
minatore di Niccioleta, appartenente alla III Brigata Garibaldi, Banda Camicia
Rossa, Mauro Tanzini, un gruppetto di volontari, tra cui Angiolino Rossi,
Astenio Di Sacco, Niccolo Marconcini e mio padre, Renzo Groppi, sono stati per
decenni i curatori.
Ma anche in casa se ne parlava
poco. Era, sembrava, un massacro assurdo, alla vigilia della Liberazione
(avvenuta il 24 giugno dello stesso anno), senza che nessuno avesse fatto
qualcosa d’importante per evitarlo. La passività dei minatori, praticamente
vittime sacrificali, l’assenza di una resistenza nella popolazione, la mancanza
di interventi armati dei partigiani della due grandi Brigate operanti
nell’area, la XXIII
e la III Garibaldi …niente
mine sotto i ponti, mitragliamenti alleati, non riuscivo a spiegarmelo.
Ed anche dopo, salvo la
commemorazione il 14 giugno di ogni anno, la gente cercò di dimenticare tutto,
in fretta. In fondo, del mio paese, non era morto nessuno quel giorno.
Stessa sorte per i quattro
partigiani uccisi a Castelnuovo il 14 giugno 1944 a poche centinaia di
metri di distanza dal luogo dove furono uccisi i 77 minatori: per anni non abbiamo saputo chi fossero, e
sulla loro tomba c’era scritto “Partigiano Ignoto”. Ancora oggi, sul luogo
dell’uccisione c’è il cippo originario (accanto ad un totem moderno che rivela
i loro nomi e azioni) che dice: “A mezzo giorno del 14 giugno 1944 la polizia
nazifascista fucilava qui tre ignoti partigiani” (il quarto, il marchese
Spinola, fu ucciso dal tenente Block nella cella di sicurezza della Caserma dei
Reali Carabinieri del paese). Erano i componenti della “Piccola Banda di
Ariano” al comando del marchese Gianluca Spinola, catturati dopo un sanguinoso
scontro con un reparto corazzato di tedeschi nei pressi di Castel San
Gimignano, trasferiti al Mastio di Volterra, e portati a Castelnuovo per essere
fucilati.
La tenacia dei familiari dei
minatori uccisi è stata sorprendente, ed anno dopo anno, prima la madri e le
vedove coi figli, i padri, i fratelli e sorelle, poi i nipoti, ogni 14 giugno
son venuti sul luogo dell’eccidio e al monumento commemorativo, accompagnati
dai gonfaloni dei comuni di provenienza, da quelli di Pomarance, di Massa
Marittima e di Castelnuovo, da quelli dell’ANPI e dei partiti politici
antifascisti, tenendo accesa la fiammella della memoria. Una memoria senza
odio, una memoria che fin dal giorno seguente l’uccisione s’è indirizzata solo
a chiedere giustizia e a domandarsi: perché?
Una giustizia che praticamente
non c’è stata, e non ci sarà mai più. Una domanda alla quale è stato
parzialmente risposto grazie a recenti approfonditi studi di storici di livello
nazionale e locale, tra i quali quelli della mia amica carissima Katia Taddei
che ha saputo ridar voce non solo ai familiari dei minatori uccisi, ma a chi
per decenni è vissuto nell’ombra, dovendo sostenere il peso immane della
tragedia. Tuttavia molte altre ombre restano insondabili e la strage è stata
praticamente confinata in una memoria locale, nonostante le dimensioni e il
valore etico che essa trasmette: l’amore per il lavoro, quello durissimo del
minatore, quello che permea il PRIMO ARTICOLO della Costituzione della nostra
Repubblica! Come aveva ben compreso padre Ernesto Balducci, il lucido e
sconsolato cantore dell’eroismo di quei minatori (molti erano suoi compagni di
scuola), le Alte Cariche dello Stato avevano
sempre tradito quel sacrifico, si erano (e lo sono ancora) disinteressate di
quel sangue che resta a fondamento di quell’Articolo 1, e mai hanno trovato UNA
MEZZA GIORNATA (a spese dei cittadini) PER VENIRE QUASSU’ A CASTELNUOVO a
rendergli il doveroso omaggio…
Personalmente sono sempre andato
al Cippo ed al Vallino della morte, quasi che ci fosse un potente magnete che
mi attirava. Infatti il monumento parla a chi sa ascoltarlo: Loca significo nomina declaro viventium futurorumque pietati sacrata
hos digne colito quos hostis seve necavit, c’è scritto nel fregio,
cioè:
Io indico il luogo
e rendo noti i nomi
consacrati alla pietà dei viventi
e dei posteri
Tu onora degnamente costoro
che il nemico crudelmente uccise
Io indico, Tu onora
degnamente…questo ci dice il monumento! Onorare degnamente, rito antico che ci
ha trasmesso nella storia e nel mito le pagine indelebili dei più alti valori
dell’Umanità, validi per ogni luogo, all’infinito, facendo da motore propulsivo
ad una memoria non mummificata, ma creativa verso le nuove generazioni.
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