sabato 12 maggio 2012






Carlo Bechelli, poeta estemporaneo.

Da molto tempo avevo sentito parlare di un poeta estemporaneo, cioè di un cantore in ottava rima, Carlo Bechelli, che abitava a Badiavecchia, un podere nelle vicinanze del paese di Monteverdi Marittimo (Pisa), e m’ero prefissato di andarlo a trovare, dato che mi avevano detto che era di idee comuniste ed anche non più giovanissimo…M’avevano parlato di lui i miei amici e compagni di lavoro monteverdini, Oris e Luciano, ma per un motivo o per l’altro avevo sempre rimandato la visita. Ieri, il mio fisioterapista, che tiene corsi del progetto AFA (Attività Fisica Adattata) nei piccoli centri dell’Alta Val di Cecina m’ha confidato, durante la mia seduta individuale, che una signora anziana, una poetessa, che segue il suo corso a Monteverdi Marittimo, gli ha regalato un libro di poesie “Memorie del tempo”, scritto da tre sorelle e un fratello, i “Fratelli Bechelli”. Ho pensato subito a Carlo! Ebbene m’ha prestato il prezioso volume stampato artigianalmente in poche copie per amici e compaesani alcuni anni fa, che ho letto con grande piacere e commozione. Non perché in esso il Canto alle Muse risuoni meravigliosamente, ma per l’ingenuità che lo pervade unitamente alla mitezza  ed alla bontà non disgiunte dalla speranza. Tra le poesie di Carlo ne ho trovata una scritta nel 1964 “I funerali di Togliatti”. Mentre lui stava guardando i funerali del leader del PCI, io ero a Roma mischiato tra il milione di persone che seguivano il feretro! Entrambi abbiamo scritto una poesia. La sua è in cinque ottave, ne riporto una:

…Poi Terracini semplice e sincero,
del compagno Palmiro egli diceva,
colui che ha combattuto e che fu fiero
nella causa giusta che credeva.
Che non è morto, che non muoia spero,
che quella bara non lo rinchiudeva:
Togliatti è vivo, e vivo al mondo resta,
l’insegnamento suo ci manifesta.

In un quaderno ho ritrovato la mia. Grazie caro amico sconosciuto di avermi ricordato la purezza del nostro ideale!

E’ morto Palmiro

E’ morto Palmiro,
il migliore,
il Partito espone
le bandiere a lutto
col nastro tricolore.

Si parte per la Capitale
occhi rossi di pianto
trattenuto,
e la gran foto sull’Unità,
il suo giornale.

Noi lo crediamo
invincibile e puro,
saggio e sicuro
della vittoria
del Partito Comunista,
a milioni alziamo
il pugno,
e la bandiera trista.

Il tramonto romano
è un rosso fiume
di gioia e di dolore,
il clero s’è rinchiuso
in Vaticano,
son mute le campane
e l’officine,
il battito del cuore
si dilata
tra la fiumana
che non ha mai fine.

Angelo era e non aveva ali,
Santo non era e miracoli
faceva,
canta il poeta
la sua ballata arcana,
di braccianti ammazzati
e di lupara,
di Modena e Melissa,
Genova, Reggio e Portella,
laggiù nella piana,
dove il sudore si mischiò
col sangue.

E canta l’emigrante
di Torino stipato come
bestia nel vagone,
le valigie legate
con lo spago, di cartone,
e va e va a Marcinelle,
Ribolla, nella Ruhr,
a Dieppe ed a Namur,
l’anima e i polmoni
son neri di carbone!

Palmiro incita alla lotta,
difende i vinti, i derelitti
che il Capitale
considera merce.

S’è spento un valoroso,
un sole grande
dell’ideale,
poi dal buio emergeranno
i mostri,
sarà un demone odiato
della schiera dei martiri,
il simbolo del male,
Palmiro, l’assassino,
al servizio del truce
Cremlino!

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