LA LUNA NOVA.
4 novembre 2023 ore 17 c/o IL CHIASSINO DI CASTELNUOVO V.C.Presentazione
del libro “LA VITA E’ SOGNO!
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Buonasera e grazie dell’invito per la presentazione del
libriccino di poesie italiano-tedesco “LA VITA E’ SOGNO! DAS LEBEN IST EIN
TRAUM!”) nell’ambito de LA LUNA NOVA, una manifestazione antica che forse potremmo riprendere in futuro!
Esso è l’ultimo mio nato…e, credo, che nessun altro lo
seguirà perché la vecchiaia porta aridità e smemoratezza. Ho avuto la fortuna
di iniziare prestissimo a scrivere poesiole, nel 1952, all’età di 14 anni, e di
conservare i testi, salvo un centinaio andati dispersi, oppure son serviti alla
nonna per accendere il fuoco! Ma, praticamente, tutti gli altri sono stati
conservati sotto il titolo di “TUTTE LA POESIE. VITA DI UN UOMO” 1952-2023).
Esse ammontano a circa 1250 e sono raccolte in 24 volumi. La mia prima poesia pubblicata
fu quella per la partecipazione ad un concorso nazionale dell’ENEL nel 1963,
nel quale, dopo i tre vincitori, fui il primo dei tre segnalati! Fu stampato un
libriccino, che devo avere da qualche parte! Dovranno trascorrere ben 33 anni
per una nuova pubblicazione e si dovrà giungere al 1996-97, quando Piero
Pistoia pubblicò sul Sillabario ben 5 poesie. Infine bisognerà arrivare al 2007
per vedere pubblicato il mio primo vero libriccino: “La cometa Swan”, un testo
fondamentale nel mio percorso poetico.
Da questa data ad oggi
sono usciti altri 9 libri in piccolo formato, dei quali uno in lingua
italiana-spagnola, un altro in lingua italiana-francese, e adesso questo ultimo
in lingua italiana-tedesca.
La scelta dei testi e le traduzioni sono di due miei amici
tedeschi di Monaco di Baviera, Doris e Wolfgang, che da diversi decenni amano trascorrere gran tempo
in Italia,in un casolare tra il Sasso e Bruciano. E Doris, tra l’altro, è una
grande artista, scultrice e pittrice.
Nel corso della mia lunga attività letteraria ho avuto alcuni
pareri da poeti ed artisti molto importanti che non citerò, ma che tengo molto
cari!
Adesso vi
leggerò una breve considerazione che ho posto come prefazione all’intera
raccolta di poesie:
Nel chiudere la raccolta dei miei
testi poetici, scritti tra gli anni 1952 - 2023, ambirei poter spiegare il cammino della mia poesia, ma non oso,
tanto insignificanti m’appaiono i miei disadorni componimenti. Posso soltanto
dire che l’impulso ad utilizzare la “parola”, nella poesia, “Con le mani ricolme di fragili sogni”, manifesta pienamente il filo conduttore, il primitivo contatto con una ferita profonda
e inguaribile, un “grande dolore”, a cui farà seguito un “grande amore” o,
meglio, i grandi amori familiari, dei quali la vita non m’è stata avara.
Come
sappiamo, la storia della vita di un poeta è più o meno indissolubile dalla
storia della sua opera. Vi possono essere degli sdoppiamenti, delle
interferenze, ma tanto più ampia e duratura è l’opera d’arte, tanto più
strettamente è legata alla vita.
Altri
elementi di approfondimento si potranno trovare nei diari, nelle lettere, nei
racconti inediti: “La casa di legno ed
altre storie dell’età fiorita” e nell’ “Autobiografia
1938-1963”, accolta dal Centro
Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (AR).
Alcuni
anni fa ho avuto modo di discutere alcuni testi della raccolta “El poeta canta por todos”, pubblicata
nel 2008, con una intelligente amica, la quale, portandovi drastiche cesure,
m’ha avvertito di essere con me “implacabile”, nel tentativo di farmi
“crescere” ed “innalzarmi” alla poesia universale! A lei ho scritto una
lettera, nel tentativo di spiegarle le “ragioni” della mia poesia, e ve la
ripropongo.
“..., come ti dissi, un po’
accalorato, continuo a metter ordine tra le mie cose, e adesso sono a buon
punto con l’indice dei titoli e dei capoversi (sono arrivato abbastanza
avanti). Naturalmente mi soffermo di tanto in tanto su qualche testo…pensando a
quello che mi hai detto ed anche alla lima di Leopardi, ossia al fuoco
purificatore. Infatti la maggior parte delle mie poesie non si debbon ritener
tali e per ora le conservo come gli aghi e i rocchetti del filo e gli spilli
della nonna, inutili, ma a me cari. Mi parlavi di “crescita”: ormai non è più
possibile, anche le vertebre si schiacciano e negli ultimi anni la mia statura
s’è abbassata di due o tre centimetri, altro che crescere! E poi io non scrivo
poesie, ma storie! Una specie di interminabile diario, difficile strappare una
pagina senza perdere il filo dell’ordito. Non voglio, con questo, intendere,
che quel che racconto sia vero. Come il cantastorie Ashanti, vorrei ripetere ciò che egli diceva alla fine
delle sue storie: “Quella che ho raccontato è la mia storia, dolce o amara che
vi sia sembrata, qualcosa portatela con voi, qualcosa lasciate che torni a
me”. Raccontare e scrivere: c’è il
problema degli ascoltatori e dei “lettori”, è vero: quantità e qualità dei
medesimi. Oppure nessuno, dato che considero le mie poesie-storie in modo
assolutamente affettivo. Dunque, ad essere sincero, le poesie sono il mio
specchio segreto, uno specchio magico, che annulla il tempo e me lo fa rivivere
e da’ speranza d’esser rivissuto. La “poesia”, forse non quella scritta, ma
quella che danza nel mio sistema cerebrale, è stata la preziosa ambasciatrice
verso il mondo esterno, lo spazio vitale nel quale mi sono immerso ogni giorno.
Stringo i fili del destino. Quando mi trovo a tirarli ecco apparire sul
proscenio, a distanze variabili, le mie
bandiere, i miei compagni, la mia fabbrica “amica”, i miei cari parenti e
familiari, i miei sogni e ideali…i miei incubi e tormenti: a tutti mi lega la
poesia! Come disfarmene? Ad esempio, la raccolta di poesie, scritte per la maggior
parte negli ultimi anni s’è intrecciata con la stesura e l’incessante
“limatura” del più vasto poemetto “Agnes e Martin: l’amore, il dolore. Una
storia romantica” e con l’assemblaggio di testi dedicati alla città di
Volterra, sotto il titolo “Elegia Volterrana”. La rivisitazione del passato ha
attinto abbondantemente suggestioni dai più amati “maestri”, Leopardi, Saba, Montale,
Machado, Seifert, Brecht, Goethe, Caproni, oltre che dal soggettivo vissuto,
anch’esso, se posso dirlo, intimamente esaltante. In questi ultimi anni non
sono mancate “riflessioni” sulla poesia e sull’essere poeta, delle quali ne
riproporrò due, una, relativa all’essenza della poesia in Leopardi, l’altra al
perché insisto a scrivere poesie. Per Leopardi la poesia canta ciò che non
esiste, ciò che è altrove, ciò che si colloca al di fuori del cerchio della
terra o, comunque, della storia: i giorni primevi; la quiete inorganica; la
“donna che non si trova”; il fanciullo; il selvaggio; la greggia ignara della
noia; la beata, misteriosa indifferenza della luna. Illusione suprema, errore
divino, è l’amore, che sembra capace di dischiudere, come la bellezza e la
musica, “alto mistero d’ignorati Elisi”. E Leopardi ne ha cantato il miracoloso
potere in più luoghi della sua opera. Ma il vero e la noia (ossia il sentimento
della vacuità universale) accompagnano come un’ombra funerea il sogno
dell’evasione. L’articolo sul “Sole24Ore” di
domenica 9 settembre 2012, pagina 26, “Poeti italiani all’estero”, per il
prestigio dell’editore, la cospicuità dell’impresa e l’abilità di chi l’ha
compiuta, The Farrar Strauss Giroux Book of Twentieth-Century Italian Poetry,
uscito a New York e allestito dal poeta e traduttore Geoffrey Brock, è
veramente uno specchio formidabile che consente di ricalibrare la poesia
italiana del periodo d’oro 1900-1965, in un
contesto internazionale, ed anche di meditare, in forma surrealistica, sulla
mia personale collocazione, nell’infinito coro poetante nazionale. La
sovrabbondanza dei poeti selezionati nell’antologia, ben settantatre, è di gran
lunga superiore al magico numero preconizzato da Saba, che reputava felice un
popolo se in un secolo vedeva nascere quattro o cinque poeti! Ma è, allo stesso
tempo, infinitamente esigua, rispetto, ad esempio, all’Italia che annovera oltre
centomila persone viventi che hanno pubblicato almeno un volume di poesie!
Naturalmente io non compaio tra i settantatre, anche se non son più un
adolescente contaminato dal sacro fuoco della poesia, ma un vecchio e solitario
cantore, i cui esordi risalgono al 1952, l’anno in cui feci dono di un piccolo
manoscritto, rilegato con cura, alle amatissime cugine Jolanda ed Eleonora,
contenente, oltre ai soliti testi romantici giovanili, per lo più lamenti di
amori solitari, anche poesie civili, alcune preveggenti, come il risveglio
dell’Asia e la fine del colonialismo in Africa. Tante volte ho pensato di
bruciare libri, quaderni, moleskine…cancellare ogni traccia e tacere per
sempre. Mi ha dissuaso il ricordo di una lettura lontana, la prefazione di
Montale ad un volumetto di “liriche cinesi (1753 a.C. – 1278 d.C.), nella quale
il grande poeta si sofferma a parlare dell’essenza della poesia facendo
riferimento al poeta Po Chu-i, vissuto tra il 772 e l’846 d.C. Po Chu-i
fu, oltre che innovatore, un uomo più che umano nella inestinguibile passione
del canto. Il rinnovamento della parola e l’amicizia furono le forze
ispiratrici di questo illuminato che conobbe il favore e il disfavore dei
potenti, senza legarsi mai a nessun bene di quaggiù. El poeta canta por todos…cantava
per tutti, e pur vedetelo quando scopre la poesia da lui scritta sul muro di
una locanda!
Il mio goffo poema sul muro della locanda
nessuno finora s’era curato di leggere.
Muschio e tracce d’uccelli ne avean cancellato i caratteri.
Poi giunse un avventore dal cuore così traboccante,
che benché fosse Paggio al trono dell’Imperatore,
si degnò con un lembo del suo ricamato mantello
di spazzar via la polvere e di leggere.
Così l’opera giunse a
destinazione, trovando finalmente il suo lettore. Un solo lettore! Perciò mi
chiedo, perché disperarsi? Io ho ben più numerosi lettori del Paggio Yuan Chen!
A due amiche ho fatto leggere la bozza del poema “Agnes e Martin” e
le risposte mi consolano e mi spronano a non abbandonarmi alla sterile
disperazione, ma a proseguire, finché le forze mi sosterranno, nell’esaltante
cammino della ricerca e del godimento della felicità, della bellezza e
dell’armonia. Ti ringrazio per
il tempo che mi hai concesso, per la passione delle tue parole nel prendere in
seria considerazione i sentimenti di un quasi sconosciuto, parole che mi
portano a riflettere ed anche a rileggere i testi in modo “critico”, fin dove
sarà possibile, usando lima e accetta, e qualche volta il fuoco”.
Termino questa forse troppo lunga presentazione, e prima di
leggervi quattro poesie, con un accenno ad un grande poeta universale, Johann
Wolfgang Goethe, nato in Germania, a Francoforte sul Meno, il 28 agosto 1749 e
morto il 22 marzo 1832 a Weimar, del quale ho riportato in incipit questo verso:
“Davanti a Dio ogni cosa resta eterna”!
Amante dell’Italia vi soggiornò per tre anni interi e vi
ritornò per un periodo più breve una seconda volta. Non cito i suoi romanzi, né
le sue 2000 lettere all’amante Charlotte Von Stein, purtroppo mancanti di
quelle di lei, distrutte da Goethe, ma mi sono stupito della quantità delle sue
opere poetiche tra cui oltre duemila liriche. Un repertorio sbalorditivo che
basterebbe da solo a fare di Goethe uno degli autori più grandi e più prolifici
mai esistiti. Tra i tanti, piccoli episodi della sua vita mi ha colpito un ultimo sussulto di Goethe, quando ormai vecchio e vedovo, conosce a Marienbad
(l’odierna stazione termale della
Cechia: Marianske Lazne), una giovanissima ragazza di nome Ulrike, e a poco a
poco l’amicizia tra loro si trasforma in una ardente passione! Già
ultrasettantenne (mentre Ulriche ha appena 19 anni) chiede alla madre di lei di
poterla sposare ottenendo un fermo immodificabile diniego. Di ritorno in
carrozza dalle terme, dov’è avvenuto l’ultimo incontro con Ulriche, scopre di
nuovo una delle più struggenti liriche del suo immenso “canzoniere” conosciuta
universalmente sotto il titolo “Elegia
di Marienbad”. Infatti, nel viaggio, si ferma ad una capanna, ritrovando
scolpiti sulla parete di legno, alcuni versi della maturità:
Ampio mondo e vasta vita,
onesto tendere di lunghi anni,
sempre indagato, sempre più a fondo
ma mai concluso, spesso emendato,
con fedeltà conservato l’antico,
compreso il nuovo benevolmente,
mente serena e puri intenti:
ecco si è fatto un buon tratto di strada.
Mi dice lo specchio che io sono bello!
Voi dite: anche il mio destino sarà
d’invecchiare.
Davanti a Dio ogni cosa resta eterna,
in me, amate Lui, per questo istante.
Ed io non oso scrivere sulla corteccia di un grande albero, né
sulle tavole di una capanna ma sulla tastiera di uno strumento elettronico, i
miei versi senili e, sulla carta, le mie oltre 1200 poesie!
Adesso ne leggerò quattro in italiano, con la speranza che
siano bene accolte!
La terra desolata.
Al Caffè dei Fornelli.
Dopo anni di lontananza
Cosetta, Cosetta…
Grazie per la vostra attenzione e pazienza!
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