martedì 23 novembre 2021

 





La fisarmonica di mio padre.

 

                            A Ohran Pamuk

 

Scrivo quasi ogni giorno da settanta anni,

e, se non lo facessi, sarei morto da tempo.

E dire che scrivo poesie che mi danzano

nella mente, è bello comunque.

Ho scritto anche molte altre cose: saggi,

racconti, articoli politici, e storia locale

del mio paese natio, ma il vero lavoro

che mi lega alla vita è la poesia;

e perché io sia felice è indispensabile

che io scriva di me e dell’amore,

un farmaco salvavita che devo assumere

quotidianamente, rivisitando molte volte

i poeti già morti, che amo senza gelosia.

 

E senza gelosia né rimpianti ritorno

bambino, a quel tempo magico

della fisarmonica, nella cameretta del Borgo,

dove mio padre passava il suo tempo

che sembrava infinito, ripetendo da capo

la stessa canzone ad ogni nota storta,

in attesa della sua amante ed ora è morta.

 

Mia madre non c’era più da anni,

ed io da lei fuggii andando incontro

all’ignoto. Mio padre fu tutto per me,

insieme alla nonna amata, che raccontava

storie di principesse e laghi,

anche tragiche, ormai fiabe eppur vere.

E insieme alla fisarmonica, la Soprani,

di madreperla screziata, che sfiorava

con delicate mani..

 

Nel 1952 iniziai su una Remington

dimenticata dai soldati americani, a battere

le prime ingenue e sconnesse parole,

di case crollate sotto le cannonate,

di ingenui e improbabili amori

per le viuzze e dei rimpiattarelli

negli angoli bui, ma anche di serpenti

che avevano covo tra le fascine

nella stanza della legna, e di rondini

saettanti sul tetto della chiesa antica,

di visioni più lontane, verso i Lagoni,

e la via di seta di Sant’Antonio, che

scavalcando la Sedice si gettava

veloce agli ambiti pozzi del torrente Pavone.

 

E mio padre suonava, suonava instancabile,

forse di me nemmeno si accorgeva, pur dormendo

nello stesso letto, nudi come a Dio piaceva.

Qualche volta  mi invitava a seguirlo

alle veglie contadine, dove non mancavano

maliziose ragazzine, lanciandomi da sopra la madia

un sorriso e un più sonoro canto della sua fisarmonica!

 

Tengo il prezioso strumento come un tesoro,

lontano dalla luce, dai topi e dall’umidità;

di tanto in tanto vado a trovarlo, accarezzo

i tasti e premo i bottoni, come fossero le mani

e i capelli di mio padre e mi sento felice.

 

Nessun commento:

Posta un commento