POESIA e LETTERE.
Ho scritto la mia prima poesia
quando avevo 12 anni. Veramente erano due, piuttosto tristi per quell’età: una
parlava delle macerie di una casa del Borgo distrutta dalle cannonate degli
americani, l’altra della morte del mio nonno. Scrivevo poesie perché ero molto
timido e non parlavo volentieri del mio “segreto dolore”. Non imitavo altri
poeti perché in casa non avevamo nemmeno un libro, ma usavo vocaboli difficili
perché nella malaugurata scoperta del mio quaderno, nessuno ci capisse. Oggi mi
piacerebbe scrivere poesie infantili, cantilene e filastrocche. D’altra parte
lo afferma anche il proverbio che i vecchi sono due volte bambini. Ho scritto:
900 poesie
17
racconti erotici
29 saggi storici
1 romanzo incompiuto
7600 proverbi e aforismi
licenziosi
97 sogni finti
47 sogni veri
e un imprecisato numero di
epitaffi e stornelli, forse 70
TOTALE 8761
e centinaia, forse migliaia, di lettere a TDB, RED, SRT, RL, EL, AG, CB,
LP, e anche cartoline.
Ci sono stati, nella mia vita,
lunghi periodi di aridità, ma uno fu particolarmente sofferto. Dall’estate 1985
al 1999. Tutto iniziò con la provocatoria proposta di Franco Fortini sull’Unità
del 14 giugno 1985, cioè di mettere in atto un black-out poetico per almeno 5
anni! Una moratoria o, meglio, un Decreto Legge per impedire la pubblicazione
di nuovi testi di poesia non anonimi. Secondo Fortini se ne sarebbero ricavati
innegabili vantaggi, tra i quali: riduzione drastica degli imperversanti
scrittori di versi di almeno l’80%, in modo da lasciar respirare gli editori
seri in grado di affrontare con maggior calma e discernimento la lettura (e la
valutazione) della montagna di manoscritti ricevuti. Si sarebbe ridotto così,
fin quasi a sparire, il “commercio” degli editori a pagamento che prosperavano
sull’ingenuità dei poeti decisi ad ogni costo, a stampare le proprie opere.
Fortini consigliava ai poeti di non pubblicare alcuna poesia che non sia
“stagionata” di almeno 4 anni (ma si poteva arrivare a 10 anni e più). I versi
vanno lasciati invecchiare, non in un cassetto ma in una botte di rovere, come
un buon cognac! Si intendeva vietare di leggere i propri versi a meno di un
conveniente compenso, in tal caso però sarebbe stato pagato il lettore e non il
poeta. Fortini concludeva: fuggite come la peste chiunque vi proponga di fare
della scrittura letteraria la meta suprema della vostra vita. I grandi editori
pubblicano raramente libri di poesia. Suppliscono uno stuolo di editori minori,
sempre a pagamento, che anche in Toscana, ma maggiormente al Sud, hanno
impiantato vere e proprie industrie per lo sfruttamento sistematico dei poeti
in cerca di una gloria assai improbabile, sfornando volumetti, anche
graficamente assai sgradevoli, intascando un milione o due per qualche centinaio
di copie di un testo che è difficilissimo perfino regalare! Non ci
dimentichiamo che in quelle settimane il poeta Eugenio Montale si apprestava a
ricevere il Premio Nobel della Letteratura. Il vate dell’italietta del
centro-sinistra che aveva lanciato una estrosa scomunica contro i poeti
recitanti nei vari festival in voga nei tardi anni settanta. Il poeta recitante
nelle spiagge e nelle piazze deve essere apparso a Montale più che orribile,
mostruoso; il culmine, forse, dove si consumava la sua infinita desolazione. Ed
oggi, che i “poeti” viventi con almeno un volume pubblicato in Italia sono
oltre trecentomila? Il mio ammutolimento durò oltre 15 anni, poi, di nascosto,
pubblicai qualcosa sulla rivista trimestrale La Comunità di Pomarance, ed
infine mi decisi a fare tutto da solo: stampa privata non in commercio per i
soli amici ed amiche che preventivamente aderivano all’iniziativa dietro il
semplice rimborso delle spese vive di stampa, non più di 5 €! 250-350 copie,
proprio come le prime edizioni del mio amato Saba!
La margherita
Poesia per Bereket
La margherita saluta la primavera
dalla proda del campo,
al sole brilla nella sua umiltà,
a tutti sorride.
Si possono strappare i suoi petali
giocando a m’ama non m’ama,
la margherita non sente alcun male
per la corolla sdentata,
e il vento mai spezza il suo stelo.
Quando scende la notte e il gelo
manda un ultimo sguardo alla luna,
chiudendo il suo calice d’oro
s’addormenta nella sua bellezza.
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