Ed ecco la copertina del mio V° libriccino di poesie!
Sarà stampato in ottobre, ho aumentato la tiratura complessiva, prevista in 200 copie, perché ad oggi ne ho già prenotate 232, a 300 copie definitive. Dunque c'è ancora un po' di margine per i distratti e i non curiosi di approfittare. Si prenota via e mail a karl38cg@gmail.com al modico costo di 5 €, spese di invio comprese.
lunedì 22 settembre 2014
lunedì 15 settembre 2014
Oggetti smarriti? Ci metto
un punto interrogativo.
“Una volta ho scritto di un
principe che ha abbandonato tutti i suoi averi per trovare se stesso,
ritirandosi in un capanno a vivere solo con i suoi sogni. Il principe alla fine
arrivò alla dolorosa consapevolezza che senza gli oggetti, il mondo e la
propria vita sono entrambi privi di significato. A quanto pare non è possibile
scoprire il segreto degli oggetti senza avere avuto il cuore spezzato. Dobbiamo
umilmente sottometterci a questa definitiva, segreta verità”.
Ho dedicato quasi tutta la mia
vita a raccogliere “oggetti” e memoria e lo possono dimostrare alcuni lavori:
Sono nato nel vicolo del Serrappuccio, diario, 1938-1964
(CDN Pieve S. Stefano).
Racconti dell’età fiorita (inedito).
Canto ciò che si perde, poesie (inedito).
Viandante nella memoria, 2011.
Infine mi sono incontrato, se pur
indirettamente, con le opere dello scrittore turco, Orhan Pamuk.
Con il romanzo L’età
dell’innocenza.
E con Il Museo dell’innocenza di
Istanbul. Un vero e proprio trattato sugli “oggetti”.
Pamuk teorizza l’innocenza e la
bellezza degli “oggetti” in undici punti, dei quali due mi hanno
particolarmente colpito, per la verità e la fattibilità.
Il 9°) - Se gli oggetti non sono privati del loro
ambiente e delle loro strade, ma vengono sistemati con cura e ingegno nelle
loro case naturali, racconteranno da sé le proprie storie.
E l’11°) - Il futuro dei musei è
dentro le nostre case.
Le “case della memoria”
realizzate in Europa negli ultimi venti anni, insieme ai piccoli musei della
civiltà contadina o industriale, a quelli della moda e del costume, della
caccia e dello sport, della fotografia e film d’amatore, dei santini, dei
giocattoli, delle bambole…, rispondono bene a questi due comandamenti.
Altra cosa è invece la
stratificazione sociale di provenienza degli oggetti. I più dei quali non
riconducibili ad uno o pochi proprietari, ma raccolti su un territorio ampio,
da anonimi. Mentre si passa da un museo territoriale, nel quale gli oggetti
sono appartenuti generalmente al popolo minuto – sostanzialmente povero – delle
città, dei borghi, paesi e campagne, ad
un museo “personale”, si ascende alla classe “dominante”, peraltro ristretta e
non rappresentativa, se non per un segmento, della rappresentazione della vita.
E’ in questa classe sociale che possiamo oggi trovare piccoli musei,
generalmente legati alla vita creativa e quotidiana di artisti famosi,
imprenditori, capi di stato e capitalisti.
Molti degli oggetti e delle
memorie sono raggruppati per tema: ad esempio quello diaristico, sonoro,
fotografico, della Resistenza, Liberazione, Foibe, della Shoah ecc. ecc.; altri
sono nelle case dove hanno vissuto personalità illustri: Pirandello, Proust,
Hugo, Leonardo da Vinci, Antonidias, Anna Frank, Edith Piaf, Balzac, Bourdelle,
S. Caterina, Zadkine, Palazzo Viti, ecc. ecc. e raccontano storie personali e
familiari.
Essendo la mia famiglia di
origine abbastanza povera, e senza proprietà, in più precocemente divisa e
dispersa, nulla dei fragili oggetti d’uso comune è stato conservato, ma gettato
nell’immondizia ad ogni trasloco da ciascuna delle sette case in affitto e
sostituito da prodotti “moderni” ed
anonimi, di basso costo. L’unica possibilità di mantenere una “memoria” è stata
affidata pertanto alla economica “scrittura”, fogli di carta usuale, lapis
copiativo, una penna con pennino a torre o lancia, una bottiglietta
d’inchiostro blù. Successivamente alla invenzione del signor Bìro, un
ungherese, le penne a sfera BIC hanno quasi del tutto soppiantato le penne ad inchiostro,
comprese le stilografiche, fino all’attuale prevalenza della scrittura
elettronica.
Due anni fa, mentre stavo
leggendo il romanzo di Pamuk “L’età
dell’innocenza” mi resi conto che anch’io, senza conoscerlo e a distanza di
migliaia di chilometri, stavo lavorando, inconsapevolmente, da più di sessanta
anni, ad un progetto simile che avevo chiamato “L’età fiorita”. Vi avevo virtualmente e materialmente collocato
senza alcuna classificazione ed ordine, in cassetti, bauli, armadi, cantine, e
stanze della mia casa, le poesie (a partire dalla prima che scrissi all’età di
quattordici anni), le foto bianco e nero (a partire dai quindici) e, dopo, il
diario dei primi venticinque anni, i racconti, gli oggetti della quotidianità e
le immagini delle ragazze amate. Successivamente, e con la stessa innocenza,
stupore e amore per la vita, son venuti
gli oggetti e i ricordi del lavoro, dell’impegno politico e sindacale,
dei gatti e dei cani, degli amici, dei figli e nipoti; nonché le perdite delle
persone care ed anche una vena di
malinconia cantando “ciò che si perde”. Ora ho il libro-catalogo di Orhan Pamuk
“L’innocenza degli oggetti. Il museo
dell’innocenza, Istanbul”, pubblicato da Einaudi nel 2012, e lo sto
leggendo con emozione. Non trovo altre parole per suscitare curiosità se non
quelle dell’ultima di copertina: “…Orhan
Pamuk ha fatto ciò che sembrava esclusiva dei maghi delle fiabe o del Genio
delle Mille e una notte. Ha preso ciò che esisteva tra le pagine del suo ultimo
romanzo, Il Museo dell’innocenza, e l’ha trasformato in qualcosa di materiale,
di fisico, uno spazio da esplorare con tutti i nostri sensi: ha costruito il
Museo dell’innocenza. Un luogo unico al mondo, un tesoro nel cuore incantato di
Istanbul,: la celebrazione dell’amore, della memoria, del potere
dell’immaginazione di plasmare la realtà”.
I piccoli reperti che prendono la
polvere nella mia casa, ed anche quelli riposti non so’ bene dove, e,
soprattutto, quelli che hanno alimentato la mia creatività, e che ogni tanto
riscopro con emozione, nonché quelli che di tanto in tanto acquisto nei
mercatini delle pulci e dai miei amici collezionisti della Valdera, sono in
gran parte il combustibile per la tarda immaginaria poesia. Il futuro dei musei
è dentro le nostre case e nella nostra immaginazione!
domenica 7 settembre 2014
76 ° Compleanno di Karl!
Karl sono io Carlo, mi piace moltissimo il mio nome di battesimo, dato che nel 1938, in settembre, potevo
benissimo essere chiamato con i nomi di Benito, Umberto, Vittorio, Balilla,
Galeazzo, e, invece, Karl significa “uomo, ossia uomo libero”, una bella
contrapposizione alla mancanza di libertà nel regime fascista. Ma, sorvoliamo
su queste inezie, importante è esserci, in discreta salute, circondato da chi
mi ama. Come ogni anno, pur dicendo di non accettare più regali per la mia
festa, attendo con una certa trepidazione i “miei regalini”, anche per fare da
contrappeso al compleanno di Bereket, che, nato il 7 settembre, festeggia proprio
a ridosso del mio! Cioè oggi.
Ho avuto quattro regali, tutti
graditi ed anche emblematici del corpo umano: partiamo dai piedi con due paia di
calzini Enrico Coveri, di cotone, neri (mi ci volevano); si sale al cuore ed
ecco “C’era Togliatti”, 25 agosto 1964, fotografie di Mario Carnicelli, il
grande pittore pistoiese, in scatola di legno edizione limitata a 300 esemplari
di 35 tavole bn, Danilo Montanari Editore, Ravenna, 2014; si arriva alla faccia
e quindi alla cura dell’immagine, ed ecco il dopobarba Denim Musk “per l’uomo
che non deve chiedere”, ed infine alla testa: quale miglior carburante per
sogni leggeri che un Moscato Giallo del Trentino, vino prezioso dal colore
dorato e dal profumo fruttato? Dunque ho avuto certamente dei doni
significativi da chi amo.
mercoledì 3 settembre 2014
Fior di tomba.
A testa bassa vestita di nero
mesta e dolente davanti a me
varcò la soglia del cimitero:
presso una tomba
s’inginocchiò.
Un’ora pianse su quei duri sassi,
poi colse un fiore e
se ne partì
abbassò il velo riprese i passi
e tra la gente davanti a me sparì.
E dopo un anno gentile e bella
e sempre in lutto la trovo ancor,
l’ho salutata gli ho detto t’amo
che tu sei l’angelo dei sogni miei.
E da lei sola, solo da lei
cerco la pace che mi rapì.
M’ha detto senti, m’ha detto ascolta,
tardi ‘l destino ci ha fatto incontrar,
in questo mondo ho amato una volta
chi amavo è morto e non so’ più amar.
Del tutto casualmente, leggendo
un libro di tradizioni orali del
pistoiese, curato da Rossana Nerozzi, maestra a Saturnana per
venti anni, sui ricordi dei bisnonni dei
suoi alunni, ho trovato nella prefazione di Claudio Rosati il testo di una
vecchia canzone cantata in una taverna della montagna. Come un lampo mi son
tornati alla mente due versi “varcò la soglia del cimitero:/presso una tomba
s’inginocchiò” che avevo udito cantare nel circolo Enal del mio paese da un
gruppo di amici, tutti uomini fatti ed anche qualcuno vecchio, credo nel 1951,
quando andai ad abitare nel corso principale a pochi passi dal Circolo dove
teneva mescita Ercolina, una donna molto disinibita.
Questi forti bevitori, ed anche
giocatori di briscola, e fumatori del sigaro toscano, erano quasi tutti antichi
anarchici e socialcomunisti, cantavano sempre Addio Lugano, Miniera, Un bel
giorno andando in Francia, Se fossi una rondinella ed anche ballate popolari
licenziose, chi sa perché avevano nel repertorio questa tristissima canzone,
più adatta ad una voce femminile che a un coro di ubriaconi, forse a ricordo
dei loro amori e della fedeltà ad essi oltre la morte. Grazie ad internet ho
ascoltato per pochi secondi questa canzone narrativa registrata nel 1961 in località Sale,
Castelnuovo Nigra, (TO) nella esecuzione di Margherita Giacoma Fattorini, di 50
anni, contadina. La canzone, a quanto so’, si ritrova in Maremma, intorno al
fiume Albegna e compare in una raccolta di canti del grande ricercatore
Vittorio Vergari.
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