Tre doni e una filastrocca.
L’esuberanza  della primavera 
è
inversamente proporzionale
alla
malinconia del mio cuore, 
che
troppe stagioni 
si
son depositate dentro 
la
sempre più ristretta memoria, 
si
che mi stupisco d’aver ancora 
l’ardire
di comporre 
parole
strampalate,
alimentando
la poesia del nulla. 
Ho
qui, di fronte ai miei occhi, 
gli
ultimi tre libriccini, 
tre
doni assai graditi, 
di
amiche e amici, 
letti
velocemente, 
con
un po’ di commozione e d’invidia, 
per
“quella tristezza che a poco a poco 
cresce,
guardando il passato, 
le
foto, e poi diventa tenerezza 
e
poi non si sa che”: 
come
dice un poeta 
arabo
che amo. 
Gli
fa da controcanto 
un
campo di rossi papaveri, 
come
rosse furono le bandiere 
nel
mio cuore, 
che
ci riporta al versato sangue 
della
Liberazione, 
ora
che siamo sudditi o schiavi 
di
chi tiene in mano 
le
chiavi.
Ma
ecco che all’alba 
incontro
sul bordo dell’amore 
il
battagliero canto, 
che
lascia la porta socchiusa 
a
un vento segreto, 
a
occhi che vedono i miei sogni: 
così
ritorno sulla via del rifugio,
a
quel  trifoglio prativo 
del
Serrappuccio, 
lassù,
lontano dal dolore, 
al
sogno.
Madama Colombina 
s’affaccia alla finestra 
mentre passano tre fanti 
su tre cavalli bianchi, 
bianca la sella, bianca la
donzella, 
fior d’aglio e fiordaliso… 
veloce
si snoda la filastrocca, 
mentre
tutto il Mondo canta, 
canta
lo gallo, canta la gallina, 
ed
io supino nel trifoglio 
vedo
splendere un fiore 
che
non coglierò.