lunedì 31 marzo 2014

Roccatederighi - Auschwitz, 1943-1944 (XI).


            Oggi sappiamo tutto, o quasi, della Shoah, cioè il progetto messo in atto da Hitler e dai nazifascisti per sterminare tutti gli ebrei dall’Europa. Da circa 12 anni, il 27 gennaio è stato dichiarato dalla Comunità Europea “Giorno della memoria della Shoah” e sia sulla stampa, che in televisione viene dato largo spazio a questo tema. Dalla Toscana, in quei giorni, parte  un treno di studenti per Auschwitz, in Polonia, dove si trova uno tra i più grandi impianti di sterminio, perché non dobbiamo mai stancarci di tramandarne la memoria alle nuove generazioni, soprattutto attraverso la scuola.

            Ho avuto la fortuna di conoscere molti ebrei, testimoni diretti del tentativo di annientamento del loro popolo e la mia vita s’è intrecciata, per molti decenni con alcuni di loro, uomini e donne, coi loro figli e nipoti. Ho visitato alcuni lager, Bergen-Belsen, Mauthausen, Terezin, Auschwitz-Birkenau, e alcuni luoghi simbolo come i ghetti di Cracovia, Varsavia, Lublino, Plzen e Praga…l’appartamento di Anna Frank ad Amsterdam…in più ho contribuito a rendere nota la vicenda del piccolo campo di concentramento per ebrei  allestito a Roccatederighi, ubicato a pochi chilometri da noi, nel comune di Roccastrada, provincia di Grosseto.

            Sono stato a Vienna, al Centro di Simon Wiesenthal, il cacciatore di criminali nazisti, ed a Parigi al Centro di documentazione ebraico Mémorial de la Shoah nel  2001 e nel 2009; ho dato l’input alla produzione di un documentario per RAI News 24 sulla vicenda degli ebrei grossetani. Sono membro  della Sezione Italiana dei Figli della Shoah, il che costituisce, forse, il premio più alto e sorprendente della mia  vita.

            A Castelnuovo mai avevo sentito parlare di ebrei italiani o, addirittura toscani…Si celebrava l’antifascismo, la nascita della democrazia, la bandiera del 25 aprile e, naturalmente, il 14 giugno, data dell’eccidio dei minatori di Niccioleta, ma la storia degli ebrei era completamente sconosciuta o dimenticata.

            E’ bene ribadire che in Italia la Shoah è avvenuta con le Leggi Razziali proclamate da Benito Mussolini nel 1938, quando il fascismo raggiunse il massimo del consenso popolare, e ciò fa pendere sulla nostra società, sui nostri nonni e padri e madri, su noi stessi, una condanna morale con poche scusanti.

            Molti sostengono che il fascismo fu più umano del nazismo, perché non gassificò gli ebrei (se non qualcuno alla Risiera di San Sabba a Trieste), pur avendogli confiscato i beni, allontanati dalle scuole e dall’insegnamento, e sostanzialmente dal lavoro, vietando loro di frequentare gli alberghi, di possedere un apparecchio radio, di avere alle dipendenze una domestica cosiddetta  ariana, di innamorarsi di una donna o di un giovane ariano, prima di essere obbligati a censirsi presso appositi uffici comunali e provinciali e poi, internati e deportati. Se nell’orrore del male ci fosse una graduatoria, è vero, il fascismo fu meno orribile.

            Gli ebrei in Italia alla data del 1938 erano circa 36.000, dei quali molti riuscirono a fuggire e a nascondersi, aiutati, è bene dirlo, da istituzioni religiose, da antifascisti e persone di buon cuore d’ogni ceto sociale. Si può, grosso modo, ricostruire la sorte degli ebrei italiani dei quali 500 ripararono al Sud liberato, 6000 in Svizzera e 29.000 rimasero nella clandestinità. Di loro, 1000 risultano inquadrati nelle brigate partigiane e 100 caddero in combattimento, mentre 20.000 riuscirono a nascondersi fino alla Liberazione.


                                                                                              (continua)




NORMA PARENTI  (X).


            Dopo poche ore  arrivano gli uomini del CLN di Massa Marittima, con don Luigi Rossi, e i primi soldati americani. Norma è portata  in città, e successivamente al cimitero. Il partigiano e direttore dell’Ospedale di Massa Marittima, professor Mario Cheli, viene incaricato dal pretore di eseguire una perizia sul cadavere di Norma. La perizia, a lungo negatami poi giunta a me in incognito,  ci racconta le violenze e la modalità della morte di Norma. Atrocità di uomini malvagi, consci della sconfitta e della condanna, se non altro morale e divina, che li attenderà.
            Molto rapidamente, già nel 1944, parte dal Partito comunista massetano la richiesta di Medaglia d’oro per Norma Parenti, onorificenza che viene rapidamente concessa con una significativa motivazione. Nel 1946 esce a cura del Poligrafico dello Stato una vignetta commemorativa, usata anche dalle Poste per affrancatura, con il ritratto di Norma Parenti nella serie dei cinquanta italiani  pro vittime politiche.
            Di lei, fino a poco fa, erano note soltanto sette od otto immagini e, come spesso avviene, intorno alla figura di Norma s’era creata una icona immutabile, di fatto uno stereotipo falso, che nessuno, nella contrapposizione politica che contrassegnava i rapporti tra i partiti, la chiesa e le istituzioni locali, si azzardava a modificare. Di anno in anno, decennio in decennio, siamo arrivati alla fine degli anni ’90, quando ho avviato una vera e propria ricerca di “microstoria”, pubblicando il primo profilo biografico di Norma sulla base di testimonianze orali inedite e documenti d’archivio.
            In questi ultimi dieci anni l’interesse per Norma è aumentato e la sua vicenda ha fornito materiale per il teatro, la poesia, la musica e l’approfondimento storico. Si può affermare che i massetani si sono riappropriati della loro “eroina”, sia le forze di sinistra che hanno da sempre amministrato la città, che la chiesa, nella figura del suo Vescovo.
            Finalmente si sono create le condizioni per tracciare un profilo più completo di Norma e della sua vita, in quest’anno, che è il 70° della sua morte. Un amico scrittore Riccardo Michelucci ha pubblicato nel marzo 2013 un libro sulle donne del mondo martiri per la libertà, 9 straniere ed una italiana. L’italiana è Norma Parenti ed un suo ritratto compare sulla copertina. Il libro ha avuto successo…L’accostamento di Norma al titolo “L’eredità di Antigone” ne fissa l’alto valore etico.
            Adesso possediamo la perizia di morte, una trentina di immagini e cartoline con la scrittura di Norma, il testo del documento di proposta per la medaglia d’oro…e forse la “ricerca” non è ancora terminata, dato che vorrei scoprire da chi partì l’ordine dell’uccisione di Norma, probabilmente per vendetta personale. Ho pensato al famigerato capitano della Milizia, Giovanni Nardulli, accusato di molti omicidi nel grossetano, fuggito alla metà del giugno 1944 coi tedeschi verso il Nord, che compare ad Asti dove viene arrestato, processato e infine condannato a morte, con sentenza eseguita nel 1945. Dagli atti del processo a suo carico trapela un profilo inquietante e una vittima-testimone mette in risalto le sue caratteristiche di morbosità sessuale, che potrebbero essere state la causa dell’odio verso Norma. Concludo questa breve nota ricordando che a Pomarance, Follonica, Massa Marittima ed in altri luoghi, da tempo, esistono  vie e piazze intitolate  a Norma Parenti. Spero di destare un po’ di interesse per lei, in chi vi abita o vi passerà.


                                                                                                          (continua)

 Da dx a sin:. Olema, Norma, la mamma Roma e il padre Estewan ed una sconosciuta.

NORMA PARENTI  (IX).

(Monterotondo Marittimo, 1921 – Massa Marittima, 1944)
Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.

            Norma Parenti appartiene alla memoria della nostra terra: padre volterrano, madre suveretana, residenza a Massa Marittima…dove fu uccisa e dove è sepolta. Nata nel 1921, morta a 23 anni, nella notte del 23 giugno 1944, poche ore prima dell’arrivo a Massa Marittima dei soldati americani della V Armata, 1^ Divisione corazzata del generale Harmon, è una delle 19 medaglie d’oro al valor militare concesse alle donne italiane.
            Mi sono occupato di lei fin dal 1964, quando conobbi il figlio Alberto Mario a Massa Marittima in occasione dell’inaugurazione in Poggio, di un monumento, nel 20° anniversario della Resistenza.
            La sua biografia, che si condensa e si consuma in pochi anni, la vede staffetta partigiana nella III Brigata Garibaldi, tra le Bande Camicia Rossa e Camicia Bianca. E’ una cattolica, attiva nelle opere di solidarietà di Massa Marittima, sposa un comunista, e’ animata da un forte carattere di indipendenza e amore per la libertà, odia i fascisti e i nazisti. Rischia per mesi la propria vita aiutando i prigionieri fuggiaschi, gli ebrei,  a trovare un rifugio, porta armi e ordini ai gruppi partigiani, e, infine, compie il gesto eroico di dare la sepoltura, vietata dalle autorità fasciste, ad un giovane partigiano ucciso l’8 maggio dai militi della GNR di Massa Marittima, Guido Radi, nativo di Belforte, colui che darà alla XXIII Brigata Garibaldi, il suo nome: “Boscaglia”.
            E’ con tale gesto che Norma firmerà la sua condanna a morte. Però, tanta è la sua fama tra la popolazione massetana che nessuno osa toccarla. Probabilmente la sua bellezza fisica e il suo modo anticonformista di comportamento, nonché il fatto che i suoi genitori avessero una trattoria a due passi dal comando della Milizia Repubblichina, e che lei abitasse, in una delle camere al piano superiore della stessa, avranno attirato l’attenzione morbosa di qualche ufficiale della Milizia. Attenzione che Norma avrà respinto con disprezzo…del resto, giovanissima, aveva conosciuto  Mario Pratelli, bello, ardito, comunista, del quale s’era innamorata perdutamente. I due si sposano, e alla fine del 1943 nasce il loro figlio, Alberto Mario.
            Siamo al 23 giugno 1944, vigilia della Liberazione: i cannoni americani sparano dalla pianura sulla città, avanzano i carri armati e le pattuglie di fanti esploratori, tra poche ore Massa Marittima sarà liberata e i tedeschi si stanno ritirando.
            Ma Norma non è stata dimenticata…prima del calar della sera un gruppo di soldati italiani e tedeschi si presenta alla trattoria. Catturano Norma, sua madre e una ragazza di servizio, e si avviano fuori le mura, per fucilarle. Un obice di cannone cade  a pochi metri da loro, la madre resta a terra, sembra morta; Ulema, la ragazza, fugge, ma Norma viene trascinata per una viuzza incassata ad un casolare vicino alla città, prima picchiata selvaggiamente e ferita tra gli ulivi prossimi al podere, poi, quando la notte cala, portata all’interno con un altro prigioniero, il mezzadro del podere, Giovanni Moschini.
            Norma viene pugnalata, ella implora che ha un figlio da allattare, invano. Partono alcuni colpi di pistola sparati quasi a bruciapelo, il Moschini si getta a terra, fingendosi morto, Norma, ferita mortalmente, è abbandonata sul pavimento. Morirà prima della mezzanotte, forse intorno alle 23. I nazifascisti danno fuoco ad una parte della casa, ma restano nei paraggi non azzardando di rientrare a Massa ed attendendo le prime luci dell’alba. Il Moschini, che intanto era riuscito a sgattaiolare da una scala nella stalla, riesce a raggiungere un rifugio poco discosto, nel quale s’era riparata la sua famiglia, ed alla moglie e al figlio racconta di  aver sentito Norma lamentarsi, poi silenzio. Tuttavia alle prime luci dell’alba ritorna al podere per dare un po’ di fieno ad una mucca che stava per partorire, ma viene avvistato e ucciso, mentre anche un carabiniere, che aveva notato l’incendio ed era sceso al casolare, viene mortalmente ferito.


                                                                                                          (continua)



NICCIOLETA (VIII).

            Nello stesso giorno, il 10 giugno, anche nel Villaggio di Niccioleta fecero la loro apparizione i partigiani. I fascisti locali ne furono impressionati. Ci furono contatti con il Comando Tedesco di  Pian di Mucini, e da questo con il comandante del III Battaglione Italien che da Castelnuovo si era spostato a Monterotondo. Il luogo della rappresaglia dimostrativa fu così spostato da Castelnuovo a Niccioleta con il rastrellamento dei 152 minatori. Fisicamente però l’uccisione doveva avvenire a Castelnuovo, come stabilito, e i 152 furono trasportati nella notte del 13 giugno a Castelnuovo, non prima però di aver ucciso 6 minatori ritenuti comunisti e capi della resistenza nel villaggio di Niccioleta.
            Il giorno successivo, nel tardo pomeriggio, avvenne, nei pressi della attuale centrale geotermoelettrica di Castelnuovo, l’uccisione di 77 di loro, mentre 21 furono deportati e i vecchi rimandati a Niccioleta con gravi minacce. La sera stessa del 14 giugno il III Battaglione Italien  composto da SS tedesche e militi della GNR che ne facevano parte, compresi una quindicina di fascisti di Niccioleta, fuggirono, forse per la stessa strada fatta in precedenza, non sappiamo per quale destinazione.

            Di fronte al Tribunale della Corte d’Assise di Pisa si concluse nel 1949 il processo ai trenta imputati, poi ridotti a 11, e poi a 4, tutti gli italiani che facevano parte del III Battaglione di SS Italien, presenti ed esecutori dell’uccisione degli 83 minatori. Di loro solo tre furono condannati a 30 anni di prigione, ma alla fine ne scontarono soltanto 5: Picchianti, Calabrò e Nucciotti. Questi criminali che avevano sulla cintura la scritta Gott Mit Uns (Dio è con noi), furono presto cancellati dalla più o meno voluta dimenticanza e nel 1953 tornarono in libertà e scomparvero, in un’Italia che dimenticò presto i valori della Resistenza. I comandanti tedeschi nessuno l’ha mai cercati come ho potuto accertare di persona negli archivi militari di Berlino e Friburgo e al Tribunale di Gottinga.

            Aggiungo qualche riflessione personale, maturata anche nel ricordo di mio padre, Renzo, che con pochi altri, sotto la guida di Mauro Tanzini, partigiano della Banda Camicia Rossa, fu il curatore del luogo dove i 77 minatori furono uccisi a Castelnuovo di Val di Cecina. In casa se ne parlava poco, sembrava un massacro assurdo, alla vigilia della Liberazione, senza che nessuno avesse fatto nulla per evitarlo. La passività dei minatori, praticamente vittime sacrificali, l’assenza di resistenza nella popolazione, la mancanza di interventi armati dei partigiani, sabotaggi ai ponti, mitragliamenti dell’aviazione alleata: non riuscivo a spiegarmelo.

            Tuttavia la tenacia dei familiari dei minatori uccisi si rivelò sorprendente ed anno dopo anno, prima le vedove e gli orfani, le madri, i padri, e poi fratelli sorelle, amici…ogni 14 giugno arrivavano a Castelnuovo, accompagnati dai gonfaloni dei Comuni di origine e da quelli di Pomarance, Massa Marittima, Castelnuovo, Volterra, tenendo accesa la fiammella della memoria. Una memoria che fin dal primo giorno dopo l’uccisione si indirizzò a chiedere giustizia.

            Come ho detto la giustizia, praticamente, non è stata fatta. Alla ricerca del perché? è stato invece risposto grazie ai recenti studi storici, anche se, dopo tanti, troppi anni, essa è stata confinata ai margini della memoria nazionale, nonostante le dimensioni ed il valore etico che trasmette: l’amore per il lavoro durissimo della miniera, il lavoro messo a fondamento della nostra Costituzione con l’articolo 1 (L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro). Come aveva ben capito padre Ernesto Balducci, nato a Santa Fiora e compagno di molti dei minatori assassinati, lucido e sconsolato cantore dei minatori, le Alte cariche dello Stato non hanno mai trovato mezza giornata libera per venire quassù a rendergli il doveroso omaggio, tradendo, in un certo senso, il messaggio che ci trasmette il fregio inciso sul monumento al Vallino della Morte di Castelnuovo:  Loca significo nomina declaro viventium futururumque pietati sacrata hos digne colito quos hostis seve necavit, ossia Io indico il luogo e rendo noti i nomi consacrati alla pietà dei viventi e dei posteri Tu onora degnamente costoro che il nemico crudelmente uccise. Io indico, tu onora degnamente…questo dice il Monumento. Onorare degnamente, rito antico che ci ha trasmesso nella storia e nel mito le pagine indelebili dei più alti valori etici dell’umanità. Vorrei che questo messaggio fosse accolto da qualcuno di voi, nel passaggio della fiaccola della memoria,  una memoria che saprete alimentare e rendere creativa.  


                                                                                                          (continua)


 I partigiani della "Piccola banda di Ariano": Spinola, Stucchi Prinetti, Vargiu, Piredda, uccisi a Castelnuovo il 14 giugno 1944.
 I partigiani della "Guardia Armata di Gerfalco", uccisi a Castelnuovo il 26 giugno 1944.

NICCIOLETA (VII).

Niccioleta - Castelnuovo V.C. 10, 13, 14 giugno 1944.

            Credo che molti di voi abbiano sentito parlare dell’uccisione degli 83 minatori di Niccioleta (6 a Niccioleta il giorno 13 giugno 1944 e 77 il giorno seguente a Castelnuovo di Val di Cecina). Tra loro c’erano tre minatori nati nel comune di Pomarance; Bernardini Onorato e  Bernardini Livio (padre e figlio) e Mannini Adamo;  inoltre 21 giovani minatori furono deportati in Germania nei Campi di Concentramento. A Castelnuovo il 14 giugno 1944 fu un giorno tremendo, perché insieme ai 77 minatori e ai 21 deportati si aggiunsero anche altri 4 partigiani uccisi e 4 civili deportati. Si tratta di una delle più grandi stragi di “lavoratori” avvenuta in Italia.  Essa rientra  nella strategia decisa a Berlino dai nazisti per ritardare la sconfitta finale e, nello stesso tempo, per piegare la Resistenza facilitando perciò la ritirata delle truppe dall’Italia. Fu una guerra ai civili e la strategia del massacro fu attuata su larga scala in Toscana a partire dal giugno 1944, prima che i tedeschi tentassero una estrema difesa sulla linea gotica. Ma nella sua crudeltà, il massacro dei civili, rivelò tutti i sentimenti di odio che si erano accumulati contro gli italiani dopo l’8 settembre 1943, insieme alla frustrazione e umiliazione per la sconfitta imminente. Complici dei nazisti furono quasi sempre i fascisti repubblichini di Salò, spie, criminali rei di molti omicidi e violenze, e il famoso bando di Almirante ne è testimone. Se leggiamo le carte del processo ai responsabili, troviamo soltanto uno sparuto gruppo di squallidi fascisti italiani, tutta la manovalanza della strage, mentre nessuna indagine e istruttoria fu aperta contro gli ufficiali nazisti tra i quali il famigerato tenente Block.
             Abbiamo adesso molti  saggi di storici importanti, tra i quali quello di due professori dell’Università di Pisa, Michele Battini e Paolo Pezzino, nonché ricerche sul campo di una storica Katia Taddei, e molti altri libri di testimonianze, ricostruzioni storiche, album fotografici, fino ad un film-documentario sui minatori amiatini, molti dei quali trasferitisi a Niccioleta ed uccisi: “Canto per il sangue dimenticato” del regista Luigi Faccini.

            La strategia del massacro ai civili inizia a metà giugno 1944 sotto l’ordine del feldmaresciallo Kesselring durante la ritirata delle armate tedesche.  Una delle direttrici della ritirata era quella interna che dalla costa portava, attraverso Massa Marittima e le Colline Metallifere, a Volterra e, quindi al Nord. Questa via di fuga attraversava un’area dove forte era la presenza delle Brigate partigiane, nonché l’opposizione e il sabotaggio delle popolazioni, prevalentemente mezzadrili ed operaie. Infatti è con l’inizio di giugno che i partigiani intensificano le loro azioni di guerra, compiono imboscate, disarmano le caserme, assaltano depositi di viveri, entrano come “liberatori”, in molti paesi, Massa Marittima, Castelnuovo, Pomarance, Niccioleta…per dare dimostrazione della loro forza e presenza, per poi ritirarsi. In alcuni casi, come a Monterotondo Marittimo, la Banda Camicia rossa ingaggia uno scontro coi tedeschi, uccidendone circa 40 e lasciando sul campo cinque partigiani. L’8 giugno Pomarance è circondata ed evita un pesante rastrellamento solo grazie all’intervento di un alto ufficiale della Milizia  fascista. Non sappiamo veramente chi abbia chiamato una unità antiguerriglia italo-germanica stanziata a Sansepolcro (AR) per operare una vasta rappresaglia a Castelnuovo, paese individuato centrale  sede partigiana (già oggetto di una entrata dimostrativa dei partigiani), per attuare una rappresaglia secondo le regole naziste, 10 italiani per 1 tedesco ucciso, e cioè uccidere un altissimo numero di civili italiani (facendoli poi passare tutti per partigiani).
           
             E’ dunque una grande sorpresa dei castelnuovini quando il mattino del 10 giugno trovano il paese accerchiato e sotto il tiro delle mitragliatrici del III Battaglione Italien, giunto con alcuni camion nella notte. Tutti gli uomini sono fatti uscire dalle case e concentrati tra il Municipio, la Chiesa e la Caserma dei Carabinieri. L’intenzione era di fucilarne alcune centinaia. Sono ore concitate tra il comandante tedesco, Emil Block, il Commissario Prefettizio Nello Fusi e l’interprete, una altoatesina moglie del maestro di musica della Filarmonica del paese. Intanto diverse persone riescono ad eludere la sorveglianza e fuggire nel bosco. Nel pomeriggio del 10, improvvisamente, la quasi totalità del battaglione lascia Castelnuovo dirigendosi alla volta di Monterotondo Marittimo. Si saprà successivamente che nello stesso giorno i partigiani di Mario Chirici e Gallistru hanno ingaggiato una furiosa battaglia contro i tedeschi. Risulterà dunque abbastanza facile agli ostaggi darsi alla fuga e scomparire nei boschi, verso il Pavone e i monti della Carlina, in area controllata dai partigiani.


                                                                                              (continua)


 Mario Fatarella, 2013, uno dei tre deportati di Niccioleta, ancora vivente.


I 4 partigiani della "Guardia armata di Gerfalco" uccisi a Castelnuovo di Val di Cecina: Salusti Dino Salusti Ido, Baldi Gino, Barlettai Arduino. 

domenica 30 marzo 2014

CAMPO AI BIZZI (VI).
  
            Alla fine della guerra furono avviati i primi ed unici processi contro i criminali nazifascisti, uno per gli eccidi compiuti in Maremma e nella provincia grossetana e l’altro per quello contro i minatori di Niccioleta. Alceo Ercolani fu indicato come il maggiore responsabile delle stragi e nella sentenza presso la Corte d’Assise di Grosseto pronunciata il 18 febbraio 1946, furono emesse  condanne esemplari: De Anna, Maestrini, Pucini, Ciabatti, Gori: alla pena di morte per fucilazione; Ercolani e Scotti: 30 anni di reclusione. La Corte di Cassazione, alla quale fu appellata la sentenza, annullò le condanne e riaprì una nuova fase processuale nel mutato clima politico che si era instaurato in Italia coi governi democristiani appoggiati dalla destra neofascista, fino a giungere, nel 1954, alla cancellazione di molte pene e rinviando il giudizio definitivo  ad una nuova istruttoria  presso la Corte  di Perugia. Di fatto le pene furono tutte ridotte e annullate e gli imputati rimessi in libertà. Come saprete, molte di queste carte sono state per decenni occultate nei cosiddetti “armadi della vergogna” e soltanto da poco i medesimi sono stati aperti portando ai processi per  i nazisti della strage di Sant’Anna di Stazzema, processi ininfluenti sul piano effettivo delle pene, data la morte di quasi tutti gli imputati, ma di grande valore morale perché, come è noto, i crimini commessi contro l’umanità non cadono mai in prescrizione! L’unico fucilato fu Giovanni Nardulli, il comandante della GNR di Massa Marittima, al quale risultano addebitati molti delitti perpetrati nel territorio maremmano, fuggito al Nord il 9 giugno 1944, riparato ad Asti e processato dopo la Liberazione nella primavera del 1945. Risulta che Alceo Ercolani rientrò prestissimo al suo paese natale in provincia di Viterbo dove si godette la pensione della Repubblica Italiana tra l’amicizia e la stima della popolazione.
            A seguito dei fatti di Campo ai Bizzi, la Brigata di Mario Chirici, si divise in alcuni gruppi partigiani, uno dei quali, comandato da un massetano, Elvezio Cerboni, capitan Mario, si spostò nei boschi di Berignone  tra Volterra e Pomarance, mentre un altro, alla guida di Velio Menchini, si portò nell’area senese, da dove proveniva. Per profondi contrasti ideologici e strategici, anche un gruppo di partigiani comunisti e azionisti lasciò la Brigata del Chirici, e si installò sui monti della Carlina al comando di Bargagna e di Stoppa dando vita alla XXIII Brigata Garibaldi, mentre altre bande, tra le quali la “Camicia Bianca” comandata da Renato Piccioli, si sposteranno tra Massa Marittima e Suvereto, ed altre ancora tra Suvereto e la costa livornese. Tuttavia nuove forze arrivarono ad ingrossare la formazione di Mario Chirici fino a trasformarla in una vera e propria brigata, la III Brigata Garibaldi, Banda Camicia Rossa”.
            La complessa storia di questi avvenimenti, seguire azioni militari, spostamenti, sconfitte, errori e anche le drammatiche frizioni ideologiche all’interno delle Brigate Partigiane, non è adesso possibile esaminare e presenta ancora, per gli studiosi, molti lati lacunosi nonostante l’immensa mole di documenti e pubblicazioni, nonché la presenza in Toscana di importanti Archivi Storici della Resistenza e della Liberazione.
            E così, per merito dei suoi 1302 partigiani, dei suoi 1.568 patrioti, dei suoi 166 caduti per la causa della Liberazione, dei suoi 155 caduti in combattimento, dei suoi 4 dispersi, del suo altissimo e imprecisato numero di feriti, la provincia di Grosseto ha l’orgoglio di essere stata la prima in Italia a venir liberata dalle formazioni organizzate della resistenza. Gli alleati, quando arrivarono, trovarono quasi ovunque l’ordine, trovarono i governi locali funzionanti con alla guida gli uomini del CLN, e fu facile per il Governatore Alleato insediare il Sindaco e la Giunta, espressione democratica di tutti i partiti antifascisti.


                                                                                              (continua)





CAMPO AI BIZZI (V).

Campo ai Bizzi, 16 febbraio 1944. Zona del Frassine, Comune di Massa Marittima, oggi di Monterotondo Marittimo.

            Si tratta di un avvenimento che vide protagonisti soltanto italiani: da una parte i partigiani della III Brigata Garibaldi, Banda Camicia Rossa, al comando di Mario Chirici e Alfredo Gallistru, dall’altra i fascisti delle Brigate Nere della RSI, al comando di ufficiali italiani, in una vasta azione di annientamento delle bande di giovani partigiani che ormai si stavano ingrossando e organizzandosi in vere e proprie formazioni militari in molte aree della Maremma. A dirigere tali operazione di repressione c’erano il Capo della Provincia di Grosseto, Alceo Ercolani, che ritroveremo tra poco parlando del Campo di Concentramento di Roccatederighi, il capitano De Anna, insieme a Barberini e Maestrini, rispettivamente comandante e vicecomandante della 98^ Legione della GNR e dal capitano Giovanni Nardulli, coadiuvati da un centinaio di “camicie nere” quasi tutte della provincia grossetana, ma alcune provenienti da quelle di Siena e di Pisa ed anche dall’Alta Val di Cecina. E sarà proprio per i “successi”, cioè l’uccisione di 11 partigiani a Istia d’Ombrone e 14 partigiani a Scalvaia, più altri in Maremma,  che il Segretario Generale del Partito Fascista Repubblicano, Alessandro Pavolini, invierà un messaggio ad Ercolani, nel quale plaude “…con ammirazione ai legionari fascisti che, in nome della patria e dell’idea, si battono per conseguire l’epurazione degli elementi avversari alla gloriosa marcia per la grandezza dell’Italia fascista repubblicana” (pensate che la sconfitta del nazifascismo, è ormai irreversibile!)  Intorno al Frassine, nelle colline che gli fanno corona, su una delle quali era il podere Campo ai Bizzi, si erano installate da poco le squadre del maggiore Chirici con 65 di partigiani. Campo ai Bizzi, nel Comune di Monterotondo Marittimo, era il podere dove una apposita squadra di 6 partigiani faceva il pane. Esso fu completamente circondato dai fascisti, armati fino ai denti, che aprirono il fuoco contro porte e finestre, alla cieca, anche con un mortaio.  I partigiani, sorpresi nel sonno, risposero al fuoco fino a che non finirono le munizioni. Allora uscirono sull’aia, con le mani alzate, ma anziché essere fatti prigionieri, come avrebbero voluto le leggi di guerra, furono tutti uccisi, salvo uno, Canzio Leoncini di Massa Marittima,  che gettandosi nella macchia fu soltanto ferito. Dopo morti i loro corpi furono straziati a colpi di pugnale e abbandonati sul terreno. Tra loro c’era un volterrano, Silvano Benedici e con lui Pio Fidanzi di Massa Marittima, Otello Gattoli di Massa Marittima, Salvatore Mancuso di Catania e Remo Meoni di Montale (PT). Il podere fu dato alle fiamme e nella stalla bruciò vivo anche il cavallo Sauro. Nell’operazione di rastrellamento, che comprese anche il podere Uccelliera, furono fatti prigionieri 16 partigiani e 2 mezzadri che, condotti a Massa Marittima furono esibiti alla popolazione come “trofei di caccia”, insultati e picchiati, e da Massa a Grosseto e successivamente al carcere delle Murate di Firenze.


                                                                                              (continua)



sabato 29 marzo 2014

Uno sguardo complessivo alla storia: Fascismo e Resistenza (IV).
  
            Dopo la firma della pace, grazie all’azione dei partigiani ed al comportamento eroico della quasi totalità dei 600 mila ex militari italiani internati in Germania, che rifiutarono di arruolarsi nei battaglioni nazisti e nelle brigate nere della RSI di Mussolini per ritornare a combattere contro il loro fratelli, l’Italia fu trattata diversamente dalla Germania e dal Giappone e i suoi rappresentanti ebbero un posto paritario tra i vincitori al tavolo delle trattative di pace. Gli eventi successivi porteranno, come sapete, alla fine del Regno dei Savoia ed alla proclamazione della Repubblica democratica, alla fase della Costituente e dei Governi di Unità Nazionale fino all’entrata in vigore della Costituzione, il 1 gennaio 1948.

            Adesso tenterò di offrirvi, nel modo più semplice possibile ed in sintesi, una lettura di quattro avvenimenti tra i più emblematici ed importanti che caratterizzarono la Resistenza nel nostro territorio, nel periodo tra l’8 settembre 1943 e la fine di giugno 1944, iniziando dal 16 febbraio 1944 a Campo ai Bizzi, passando successivamente all’eccidio dei minatori di Niccioleta tra il 13 ed il 14 giugno 1944,  alla uccisione di Norma Parenti, una delle poche medaglie d’oro al valor militare alla memoria (19 donne in tutta l’Italia), una vicenda tragica ed eroica sia da un punto di vista storico che umano, per concludere con la vicenda dell'internamento degli ebrei nel Campo di Roccatederighi (GR), pochissimo conosciuta.  

            Parlare delle stragi e di Norma Parenti…può sembrare facile...ma invece è molto complesso. Anche perché i morti in seguito ad azioni militari, pur in situazioni di preponderanza di armati e molto crudeli, non si possono definire "stragi" o "eccidi" quali quelli che rientrano nella cosiddetta "guerra ai civili" messa in atto dall'esercito tedesco coadiuvato dalla manovalanza italiana delle Brigate Nere della RSI, del tipo, a tutti credo noto, di Sant’Anna di Stazzema o di Marzabotto. 

            Forse nella Toscana centro occidentale vi possono rientrare, pur con dimensioni assai più ridotte, solo quelle di: Niccioleta (83 minatori e 9 partigiani), Guardistallo (11 partigiani e 52 civili), Padule di Fucecchio (174 civili e 2 partigiani). Sarà impossibile parlarne una per una.

                                                                                              (continua)





Uno sguardo complessivo alla storia: Fascismo e Resistenza (III)

            Con l’8 settembre 1943 l’esercito italiano si dissolse e circa 600 mila soldati ed ufficiali furono disarmati dai tedeschi e rinchiusi nei campi di concentramento del Reich, altri soldati, che si opposero ai tedeschi per non farsi disarmare, come a Cefalonia e Corfù, vennero trucidati, più di diecimila! Il Re e il Capo delle Forze Armate, maresciallo Badoglio,  fuggirono nel sud d’Italia, a Brindisi, e Mussolini, imprigionato il 25 luglio 1943 sul Gran Sasso, liberato il 12 settembre 1943 dai paracadutisti tedeschi costituirà in accordo con Hitler, la RSI nell’Italia non ancora liberata, stato fantoccio, al servizio del nazisti, con capitale a Salò, sul Lago di Garda.

            Ai nuovi minacciosi richiami alle armi dei giovani italiani, per inquadrarli nelle Brigate nere della RSI, moltissimi non si presentano rifugiandosi nelle campagne, nei boschi e sulle montagne. A settembre del 1943 sorgono le prime bande partigiane, formate da vecchi antifascisti, comunisti, socialisti, repubblicani e cattolici e ingrossate dai “renitenti alla leva”, cioè dai giovani nati negli anni 1923, 1924 e 1925, che rifiutano la chiamata alle armi. A Massa Marittima un gruppo di giovani si riunisce clandestinamente nella Torre del Candeliere dando vita ad una delle primissime formazioni della Resistenza a nord di Roma,  quella che più tardi si trasformerà attraverso una fase politico-militare molto complessa, nella Terza Brigata Garibaldi al comando di un militare di carriera, il maggiore Mario Chirici, dalla quale si formerà la XXIII Brigata Garibaldi,  al comando di Alberto Bargagna.

            Le Brigate partigiane saranno sciolte agli inizi di luglio 1944 dopo nove mesi di lotta, mentre gli americani, inglesi ed i francesi delle armate d’Oltremare, avanzando da Roma verso il Nord, libereranno quasi tutto il territorio della Toscana e dell’Italia Centrale arrestandosi su una delle ultime linee di difesa tedesche sugli Appennini liguri-emiliano-romagnoli, la “linea gotica”. Si ricostituiscono inoltre i primi raggruppamenti del nuovo esercito italiano con gli ex militari e molti partigiani che si arruolano spontaneamente per combattere contro nazisti e fascisti e contribuire alla liberazione d’Italia. Sono i Gruppi di Combattimento “Cremona” e “Friuli”.

            Nel Nord Italia la guerra, dopo il freddissimo lungo inverno del 1944 proseguirà fino al 25 Aprile 1945, giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia lancia l’ordine dell’insurrezione generale che porterà in breve alla liberazione da parte dei partigiani delle maggiori città, Genova, Torino, Milano, Bologna…Mussolini, in fuga verso la Svizzera con l’amante e alcuni fedelissimi, sarà catturato nei pressi del confine e fucilato il 28 aprile.

            L’8 maggio Truman, Churchill e Stalin annunciano al mondo la fine della guerra in Europa e la bandiera rossa sventolerà sulle macerie di Berlino. In Asia si combatte ancora, su molti fronti, una guerra sanguinosissima e gli americani decidono di sperimentare  le nuovissime armi atomiche, sganciando  il 6 ed il 9 agosto 1945 due bombe sulle città di Hiroschima e Nagasaki e causando la pressoché distruzione delle medesime e la morte immediata di oltre 200.000 persone civili, alle quali si aggiungeranno negli anni seguenti altre migliaia di morti per i tumori causati dalle radiazioni atomiche. L’imperatore del Giappone è costretto a firmare la resa senza condizioni, come la Germania hitleriana, il 15 agosto 1945.

                                                                                  (continua)





Uno sguardo complessivo alla storia: Fascismo e Resistenza (II).


            Stamani parleremo di Resistenza: guerra partigiana, stragi, eccidi e violenze nella nostra zona, ossia nelle Colline Metallifere. Non basterebbe un corso di molte lezioni per esaminare nel dettaglio la complessa situazione tra gli anni 1938-1945, perciò affronteremo soltanto alcuni episodi, tra i più salienti, e in una dimensione territoriale ristretta, quella dove nacquero ed operarono alcune formazioni partigiane: la XXIII Brigata Garibaldi e la III Brigata Garibaldi, con le loro più piccole articolazioni, bande e distaccamenti, tralasciando gli avvenimenti della fascia costiera da Grosseto a Livorno e dell’area senese-amiatina, ove operarono, prevalentemente la Brigata Garibaldi Spartaco Lavagnini e il Raggruppamento Patrioti Monte Amiata, la prima di tendenza comunista, la seconda monarchica.

            La bibliografia su questo tema è ampissima, sia storica che memorialistica e nella Biblioteca Comunale credo troverete i miei libri e quelli di Jader Spinelli, Mauro Tanzini, Aroldo Salvadori, Aldo Merlini, Michele Fontanelli, Ugolino Della Gherardesca, Brunello Ticciati, Paolo Ferrini, Giovanni Batistini, Lelio Lagorio, Enzo Giustarini, Katia Taddei (è una vostra professoressa), Fosco Sorresina ed altri. Nel libro di Jader Spinelli, La liberazione a Pomarance, i fatti della Resistenza sono praticamente e minuziosamente descritti quasi giorno per giorno e forse alcuni di voi li conosceranno già.  
            Dopo la prima guerra mondiale 1914-1918, che costò all’Italia un numero altissimo di morti, mutilati e feriti (circa due milioni in tutto), si aprì un periodo di caos politico caratterizzato da una gravissima crisi economica. Lo sbocco di tale crisi portò alla guida del Paese il Partito Fascista capeggiato da Benito Mussolini. Nel 1922, dopo il tentativo del “falso golpe” con la marcia su Roma degli squadristi fascisti, il Re offrì la guida del Governo a Benito Mussolini ed ai suoi camerati. Si istaurò una vera e propria dittatura e tutte le libertà democratiche furono soppresse mentre si intrapresero azioni di guerra in Africa (1935) e in Albania (1939) alla vana conquista di un “impero”, stringendo alleanze con la Germania nazista di Adolf Hitler e con il Giappone imperialista. Come atto di sudditanza a Hitler vennero proclamate in Italia, nel 1938, le “leggi razziali” che comportarono per tutti gli insegnanti e studenti ebrei l’espulsione dalle scuole, il sequestro dei loro beni e l’impedimento dei matrimoni misti. Migliaia di ebrei furono costretti ad emigrare all’estero.
           
            La Germania iniziò la seconda guerra mondiale nel 1939 invadendo la Polonia e Mussolini, come alleato, la seguì il 10 giugno 1940, aggredendo vilmente la Francia, già stremata dall’invasione tedesca.

            Dopo una prima  fase di guerra favorevole alle armate hitleriane, alla fine del 1942, con la vittoria dei russi nella battaglia di Stalingrado nella quale oltre 80 mila soldati e ufficiali tedeschi furono fatti prigionieri, iniziò l’irreversibile declino che porterà l’Italia, l’8 settembre 1943, alla firma dell’Armistizio (cioè di un trattato di pace) con le armate delle potenze Alleate, cioè americani, inglesi e francesi d’Oltremare del generale De Gaulle. Il giorno seguente nasce il CLN, costituito dai rappresentanti di tutti i partiti antifascisti che avevano operato all’estero e nell’illegalità. Ormai i tedeschi e gli italiani sono stati sconfitti in Africa, mentre sul fronte orientale le armate russe avanzano verso la Germania e gli anglo americani sbarcano sulle coste della Normandia, in Sicilia e successivamente a Salerno. Anche in Asia le armate giapponesi, alleate dei nazifascisti, cominciano a cedere agli americani, ai cinesi ed ai francesi.


                                                                                              (continua)



venerdì 28 marzo 2014

70° della Resistenza e della Liberazione
nelle Colline Metallifere Toscane.

13 Marzo 2014, giovedì, ore 8-10, incontro con gli studenti delle Terze Medie di Pomarance.
21 Marzo 2014, venerdì, ore 10-12, incontro con gli studenti della Terza Media di Larderello.

Introduzione (I).

                        Mi chiamo Carlo, sono nato a Castelnuovo nel settembre 1938, in una famiglia  di operai e mezzadri. All’età di 13 anni, sono entrato in fabbrica per 4 anni di scuola-teorico-pratica, alla fine dei quali, come manovale, ho iniziato a lavorare. In questa fabbrica ci sono rimasto ininterrottamente per 40 anni. Fin dal 1964 ho cominciato a fare ricerche  storiche ed a raccogliere documenti sulla Resistenza, pubblicando alcuni libri. Sono tra voi per portare la mia testimonianza.

Mio zio Gualfredo, unico maschio tra sette sorelle, richiamato al servizio militare e destinato sul fronte di guerra nei Balcani, non aveva più dato notizie dal 1943 e alla fine sarà dichiarato “disperso”.

Nel 1944 cominciarono a passare dalla mia casa di borgo soldati sbandati, mongoli, slavi, fuggiti ai tedeschi e mio padre li accompagnava, di notte, sui monti della Carlina dov’erano i partigiani…

Durante i bombardamenti e mitragliamenti degli anglo-americani, al suono dell’allarme, fuggivamo nei fossati e nelle grotte intorno a Castelnuovo. A “cose normali” non disdegnavo un piatto di minestra che ricevevo dai soldati tedeschi accampati in piazza XX Settembre, compresa qualche carezza, dati i miei capelli biondastri che gli ricordavano qualcosa della patria lontana.

Alla Liberazione, nell’estate del 1944, mi accodavo ai ragazzi più grandi in cerca di armi, esplosivo, indumenti, entrando in possesso di una vera e propria spada, che mi fu quasi subito tolta  dai carabinieri. Intanto sotto la palma a destra dei giardini venivano stesi sull’erba i cadaveri di alcuni soldati tedeschi trovati nelle fossette delle strade…ma di essi ho un ricordo molto vago e per anni questi 12 soldati furono sepolti con una croce senza nome ed un elmetto d’acciaio infilato sul palo.

Andò male anche ad alcuni giovani di Castelnuovo, ne ricordo due, che nel maneggiare la dinamite rimasero uccisi ed altri mutilati, mentre i tragici effetti della guerra continuarono durante la bonifica dei campi minati, specialmente intorno a Sasso Pisano, dove morirono diverse persone tra le quali Duccio Maccari, figlio del grande pittore Mino.
                                                                                 

                                                                                  (continua)



Celal Salik.

“Una volta ho scritto di un principe che ha abbandonato tutti i suoi averi per trovare se stesso, ritirandosi in un capanno a vivere solo con i suoi sogni. Il principe alla fine arrivò alla dolorosa consapevolezza che senza gli oggetti, il mondo e la propria vita sono entrambi privi di significato. A quanto pare non è possibile scoprire il segreto degli oggetti senza avere avuto il cuore spezzato. Dobbiamo umilmente sottometterci a questa definitiva, segreta verità”.

Meditiamo su due degli undici comandamenti di Pamuk:

 9°) Se gli oggetti non sono privati del loro ambiente e delle loro strade, ma vengono sistemati con cura e ingegno nelle loro case naturali, racconteranno da sé le proprie storie.

11°) Il futuro dei musei è dentro le nostre case.

Le “case della memoria” realizzate in Europa negli ultimi venti anni, insieme ai piccoli musei della civiltà contadina o industriale, a quelli della moda e del costume, della caccia e dello sport, della fotografia e film d’amatore, dei santini, dei giocattoli, delle bambole…, rispondono bene a questi due comandamenti.

Altra cosa è invece la stratificazione sociale di provenienza degli oggetti. I più dei quali non riconducibili ad uno o pochi proprietari, ma raccolti su un territorio ampio, da anonimi. Mentre si passa da un museo territoriale, nel quale gli oggetti sono appartenuti generalmente al popolo minuto – sostanzialmente povero – delle città, dei borghi, paesi e campagne,  ad un museo “personale”, si ascende alla classe “dominante”, peraltro ristretta e non rappresentativa, se non per un segmento, della rappresentazione della vita. E’ in questa classe sociale che possiamo oggi trovare piccoli musei, generalmente legati alla vita creativa e quotidiana di artisti famosi, imprenditori, capi di stato e capitalisti.

Molti degli oggetti e delle memorie sono raggruppati per tema: ad esempio quello diaristico, sonoro, fotografico, della Resistenza, Liberazione, Foibe, della Shoah ecc. ecc.; altri sono nelle case dove hanno vissuto personalità illustri: Pirandello, Proust, Hugo, Leonardo da Vinci, Antonidias, Anna Frank, Edith Piaf, Balzac, Bourdelle, S. Caterina, Zadkine, Palazzo Viti, ecc. ecc. e raccontano storie personali e familiari.

Essendo la mia famiglia di origine abbastanza povera, e senza proprietà, in più precocemente divisa e dispersa, nulla dei fragili oggetti d’uso comune è stato conservato, ma gettato nell’immondizia ad ogni trasloco da ciascuna delle sette case in affitto e sostituito da prodotti  “moderni” ed anonimi, di basso costo. L’unica possibilità di mantenere una “memoria” è stata affidata pertanto alla economica “scrittura”, fogli di carta usuale, lapis copiativo, una penna con pennino a torre o lancia, una bottiglietta d’inchiostro blù. Successivamente alla invenzione del signor Bìro, un ungherese, le penne a sfera BIC hanno quasi del tutto soppiantato le penne ad inchiostro, comprese le stilografiche, fino all’attuale prevalenza della scrittura elettronica.

Non rispetto perciò il comandamento 11. I piccoli reperti che prendono la polvere nella mia casa, ed anche quelli riposti non so’ bene dove, e che ogni tanto riscopro con emozione, sono in gran parte il combustibile per la tarda immaginaria poesia. Per questo li mostro e li amo.   





mercoledì 26 marzo 2014

L’innocenza degli oggetti.

Mentre stavo leggendo il romanzo di Pamuk “L’età dell’innocenza” mi resi conto che anch’io, senza conoscerlo e a distanza di migliaia di chilometri, stavo lavorando, inconsapevolmente, da più di sessanta anni, ad un progetto simile che avevo chiamato “L’età fiorita”. Vi avevo virtualmente e materialmente collocato senza alcuna classificazione ed ordine, in cassetti, bauli, armadi, cantine, e stanze della mia casa, le poesie (a partire dalla prima che scrissi all’età di quattordici anni), le foto bianco e nero (a partire dai quindici) e, dopo, il diario dei primi venticinque anni, i racconti, gli oggetti della quotidianità e le immagini delle ragazze amate. Successivamente, e con la stessa innocenza, stupore e amore per la vita, son venuti  gli oggetti e i ricordi del lavoro, dell’impegno politico e sindacale, dei gatti e dei cani, degli amici, dei figli e nipoti; nonché le perdite delle persone care ed anche  una vena di malinconia cantando “ciò che si perde”. Ora ho il libro-catalogo di Orhan Pamuk “L’innocenza degli oggetti. Il museo dell’innocenza, Istanbul”, pubblicato da Einaudi nel 2012, e lo sto leggendo con emozione. Me l’ha portato mia figlia, direttamente dal Museo. Non trovo altre parole per suscitare curiosità se non quelle dell’ultima di copertina: “…Orhan Pamuk ha fatto ciò che sembrava esclusiva dei maghi delle fiabe o del Genio delle Mille e una notte. Ha preso ciò che esisteva tra le pagine del suo ultimo romanzo, Il Museo dell’innocenza, e l’ha trasformato in qualcosa di materiale, di fisico, uno spazio da esplorare con tutti i nostri sensi: ha costruito il Museo dell’innocenza. Un luogo unico al mondo, un tesoro nel cuore incantato di Istanbul: la celebrazione dell’amore, della memoria, del potere dell’immaginazione di plasmare la realtà”. Il futuro dei musei è dentro le nostre case! Io lo alimento nell’anima.








lunedì 24 marzo 2014

Norma Parenti, di Irene Paoletti.


Il terzo lavoro teatrale incentrato sulle donne nella Resistenza italiana e, in particolare, su Norma Parenti (dopo quelli di Colle di Val d’Elsa e Montecastelli Pisano), è stato bellissimo! Irene Paoletti, regista dello spettacolo e interprete di Norma è stata di una bravura eccezionale ed ha trasmesso una forte carica emotiva alle centinaia di spettatori che ieri sera stipavano il salone di San Bernardino a Massa Marittima, ricevendo alla fine un vero e proprio “trionfo”. Il gruppo teatrale da lei diretto, Arts & Crafts”, è stato di una bravura eccezionale…e così l’ambientazione, le luci, i suoni…non vorrei sembrare esagerato negli elogi, ma invito chi mi legge a non perdere il prossimo spettacolo che si terrà a Grosseto il 27 aprile. Dobbiamo dire Grazie! a chi ha permesso la rappresentazione, in primo luogo al Terziere di Borgo ed al suo presidente Bartolozzi. Aggiungo che l’abbraccio che mi ha offerto Irene dopo la fine del dramma, è stato per me un regalo bellissimo, perché, ancora immerso nelle emozioni sceniche, ho percepito non solo la sua corporeità, ma quella spirituale di Norma medesima. Ho sempre pensato, nella mia modestia letteraria, che l’arte e la creatività possono vedere oltre il visibile della storia, anticipandone la verità ed indicando strade nuove nella ricerca.  Dunque, al di là, della emozione provata e della condivisione, ritengo che il dramma di Norma Parenti rivisitato e reinterpretato da Irene possa offrirci inattese sorprese nell’intento di colmare, non solo il silenzio che per troppo tempo è calato sull’eroina massetana, ma di consentirci il raggiungimento della verità. Credo che da oggi, parlando di Norma, dovremo aggiungere: “la Norma di Irene Paoletti”, così come diciamo comunemente di Galileo Galilei “il Galileo di Brecht”.