venerdì 28 febbraio 2014



Alcune facezie del piovano Arlotto ( Firenze, 1396-1484).

                Mi hanno sempre affascinato i proverbi e gli aforismi, le filastrocche e gli stornelli, i detti, i soprannomi, gli indovinelli…fin da quando, bambino, ho cominciato ad apprenderli dalle mie nonne. Dai primi anni ’70 del secolo scorso ho iniziato a trascriverli, partendo proprio da quelli locali. Successivamente mi sono dedicato a raccogliere quelli sulla pastorizia, confluiti in un libriccino dal titolo  “Fiorin di cacio, facciamo finta di chiamare il micio…”,  pubblicato nel 1999 con la collaborazione di Claudia Vallini, e, per la parte grafica di Fabrizia Doloverti e Liliana Grazzini. Su questa spinta, nel 2006 è uscito il libriccino di Claudia “Fior di grano…profumo di pane” con illustrazioni di Margherita Cianchi. Parallelamente a queste trascrizioni e ricerche mi sono immerso in un segmento  specializzato appuntando diligentemente tutti i proverbi, modi proverbiali, arguzie, motti, locuzioni, detti, relativi all’immaginario della sfera dell’eros, che via via mi capitavano sotto gli occhi: dall’innamoramento all’amore, al matrimonio, alla voluttà, agli eccessi, al tradimento ed alla fiducia, alla fisicità del corpo umano, alla trivialità dell’invettiva, così come ci erano stati tramandati, molte volte soltanto oralmente, nel territorio  delle Colline Metallifere, in Maremma e in Toscana, con l’aggiunta di aforismi ed espressioni proverbiali moraleggianti, latine, italiane e straniere.
            Tra loro ho inserito qualche proverbio più leggermente allusivo, qualche indovinello, stornello e filastrocca, tra quelli che mi sono parsi nostrali e originali, lasciando, in tal modo, aperto un ulteriore spazio di ricerca in questo meraviglioso settore della cultura popolare, pubblicando nel 2009, in una edizione privata tirata in 350 copie, un fascicolo contenente 1200 proverbi licenziosi.
            Dopo tale pubblicazione (esaurita sul nascere), molte persone mi hanno segnalato nuovi proverbi, aforismi, modi di dire, stornelli, canzoni, da poter aggiungere, e testi da consultare.  Inoltre, man mano che procedevo nella raccolta, mi sono avvalso, oltre che delle fonti orali, di innumerevoli scritti di autori antichi e moderni italiani e toscani, fino a quando il materiale raccolto non è diventato così consistente  che ho dovuto sospendere la ricerca a 3585 proverbi e aforismi, scegliendo, con la mia sensibilità, tra i modi proverbiali, motti, detti sentenziosi, aforismi e indovinelli., iscrizioni funerarie, sortilegi e pronostici, escludendo, quasi del tutto, le “battute” e i “motti” delle gazzette e pubblicazioni degli ultimi  decenni.
Ritengo tuttavia che la raccolta abbia soltanto aperto una finestra sul grande universo de “li vulgari proverbi”, del quale il lettore potrà facilmente intuire la vastità, in particolare per i proverbi regionali, da me minimamente trascritti, e per un più attento confronto tra quelli dei paesi europei di cultura neolatina e germanica ed i nostri, provenienti da un’area assai più limitata, dalla quale siamo usciti raramente per raccogliere soprattutto proverbi e aforismi italiani, latini, greci, francesi, inglesi, tedeschi, sardi, lombardi, napoletani, veneti e spagnoli, a tema generico “licenziosità” e virtù morali.  Sono molto contento di poter pubblicare sul blog GRAZIEALLAVITA alcune facezie del piovano Arlotto, mitico prete toscano del secolo XV.

1)

Al tempo che era giovane e gagliardo, il Piovano Arlotto una sera, tentato da desideri libidinosi andò al fondaco maggiore cioè al bordello, e nell’oscurità, non vedendo la mercanzia, entrò in una stanza e vi trovò una donna grassa, grossa, corpulenta e molto formosa, sia nel corpo che nel viso. Dopo essersi scambiati gesti d’amore e carezze, disse la donna al Piovano: - Mio dolce fratello, tu vedi come sono carica di carne; se stasera mi metto a giacere su questo letto, durerò molta fatica a rialzarmi. E’ meglio che io mi chini e che appoggi il capo alla spalliera del letto e che per consolazione tua e mia, tu me lo faccia alla maniera del cervo. Rispose il Piovano: - Io sono contento di farti un piacere. La donna si chinò e si mise i panni e la camicia in capo; il Piovano allora vide delle anche così larghe e delle cosce così spisurate, che sembravano non di una donna, ma di una grandissima vacca, - e l’ altro sesso era così grande che pareva di forma diversa dagli altri -, cosicchè quello spettacolo visto da dietro gli parve una cosa mostruosa: restava meravigliato e stupefatto e non sapeva che fare.Gli venne un tale disgusta che la voglia e anche il desiderio gli passarono completamente. La donna, visto che non faceva niente, si meravigliò molto perché il Piovano gli sembrava giovane e gagliardo: voltata col viso verso di lui lo rinfrancava con vigore dicendo: - Che stai a pensare? Perché non lavori il podere? Sbrigati! Il Piovano Arlotto le rispose: - Non lo farei mai, perché questa è una cosa preparata per un Cardinale e non per un povero chiericotto di campagna come sono io, sicchè, sorella mia, consideratemi scusato, perché non oserei mai toccarti. Tuttavia desidero compiere il mio dovere verso di te e non voglio che tu abbia perduto il tuo tempo con me. La fece alzare e le dette un bolognino. Dopo averla salutata, se ne andò senza aver commesso peccato.

2)

Il Piovano Arlotto e Bartolomeo Sassetti andarono a desinare con quell’uomo dabbene che era Francesco Dini; dopo essersi messi a tavola disse Francesco: - Piovano, io ho della malvasia; la volete prima di desinare o dopo? Il Piovano non rispose se non con una parabola e disse: - La beata Vergine Maria fu vergine prima del parto, durante il parto e dopo il parto. Da uomo intelligente e generoso Francesco volle che a tavola non ci fosse altro che malvasia.

3)

Gli uomini più savi che ci siano al mondo sono i frati, perché fottono le donne nostre e noi diamo le spese a loro e ai figlioli. Quando vanno a cacare sempre si puliscono il culo con l’erba e noi siamo così matti che ce la mangiamo.

4)

Mentre una sera durante una cena parlavano di vari argomenti, uno dei commensali propose agli altri che ognuno dicesse il suo parere nel giudicare quali fossero gli artigiani più puliti. Tra loro c’erano molte opinioni diverse: chi lodava uno e chi un altro. Il Piovano disse: - Io sono di opinione contraria a tutti voi e dico che quelli che impastano con le mani la mota per fare i mattoni, sono i più puliti che ci siano. Tutti cominciarono a ridere l’uno con l’altro del giudizio insensato e sciocco che pareva loro avesse dato. E il Piovano: - So che vi ridete di me, a non per questo voglio cambiare opinione, e affermo che i fornaciai che sempre stanno tra la terra, mattoni e calcina, sono i più puliti artigiani che ci siano, perché non vanno mai a cacare senza prima lavarsi le mani. Tutti risero e ammisero che il Piovano aveva giudicato più giustamente di ognuno.

5)

Uno, a cui pareva di esser saggio, si meravigliava di molte cose. Rispose il Piovano: - Ancor più io mi meraviglio di te; ma soprattutto di quattro cose vorrei che tu mi levassi il dubbio; sono queste: Perché in mare piove pur essendovi sempre tanta acqua e come mai non cresce e perché l’acqua del mare puzza benché sia salata; perché i topi dei pagliai non si cavano gli occhi; perché i poveri non derubano i ricchi, pur essendo in maggior numero; perché alle donne non cadono le budella quando salgono le scale e aprono le gambe.

6)

Al tempo che il Piovano era giovane e non ancora prete ed era un bel ragazzotto da fatica, tentato da diabolica istigazione andò da una suora, che era molto innamorata di lui. Quando stavano per congiungersi, tale era in lei la voglia sfrenata del piacere, che non sentiva quasi niente; e con gran desiderio carnale, toccava il Piovano come una donna che volesse rimettere a posto le masserizie; nel toccarlo trovò i testicoli e gli chiese: - Che sono questi e come si chiamano? A lei rispose: - Si chiamano i trastullini. Rispose la buona suora: - Cacciatemeli qua dentro, perché noi suore non abbiamo bisogno di tanti ornamenti esterni.

7)


Il Piovano Arlotto diceva: - Ci sono molti che dicono che è davvero peccato grave che un prete baci una donna, io dico il contrario. Quando bacia la reliquia e tanti sacramenti, è pur vero che è un segno di bene, e quando bacia una donna è segno di meglio!

giovedì 27 febbraio 2014




Karol Wojtyla e me.



Non so bene come abbia fatto a diventare “un libero pensatore” e d’altra parte nessuno mi ha indirizzato su questa strada. Non sono uomo di studi filosofici, né uno scienziato e, per essere sincero, nemmeno un marxista o un anarchico. All’interno della mia stirpe ho appreso che vi sono stati preti, come Angelo e Giacomo e frati, come Stanislano ed anche due bisnonni, Natale e Rosa, religiosissimi. Mio padre, pur non praticando la chiesa ed i sacramenti, era molto attratto dal Vangelo, una delle sue letture preferite. Io assomiglio molto a lui, e non ho mai interrotto una personale ricerca della Fede, anche se, per essere sincero, non l’o ancora trovata. Nel cammino ho incontrato molti religiosi, e praticamente quasi tutti mi hanno voluto bene. Non dico delle mie tre Sante protettrici, alle quali, senza promettere nulla, sono rimasto molto simpatico, tanto da tirarmi fuori da situazioni delicatissime…ed una mi ha addirittura chiamato per incontrarla! Sono stato battezzato, comunicato e cresimato dal vecchio prete paesano, figura un po’ altezzosa, ma non assillante verso noi monelli, cresciti negli anni della guerra e del primo tumultuoso dopoguerra, in un periodo di accese contrapposizioni ideologiche; poi, nell’adolescenza e nel primo contatto con il lavoro, ho visto i preti asserviti ai ricchi, ai padroni, ai ruffiani, alle spie, rendendosi complici di un disegno oscurantista e discriminatorio verso chi non la pensava come loro, e me ne sono allontanato tanto mi pareva tradissero il messaggio di Cristo. Infine, crescendo, ho imparato ad apprezzare il buono che scaturisce da ogni parte, ed a dividere quel che appartiene a Dio e quel che appartiene a Cesare. Il rispetto e la tolleranza, insieme ad altri valori morali, sono entrati a far parte della mia quotidianità. Sono stato, e rimango, per quelli ancora in vita, amico di molti sacerdoti e vescovi. Devo infine a Giovanni XXIII, il buon Angelo Roncalli, la cancellazione della “scomunica” lanciata contro gli iscritti al Partito Comunista Italiano, e l’affermazione della distinzione tra “errore” ed “errante”. Tra i preti ho amato don Saltarelli, don Renzo, don Bocci, don Ceccuzzi,  padre Lombardi, don Campinoti e don Meini; tra i vescovi Bertelli e Santucci. Infine ho stretto la mano, con molta simpatia, ad un futuro Santo, Giovanni Paolo II,  il Papa Wojtyla, polacco, un Karol, mio omonimo! Pensate un po’ tra settecento anni, quando l’attualità entrerà nella storia o nel mito e i miei discendenti mostreranno questa immagine, un santino, che soddisfazione! Intanto la mostro a voi, cari amici ed amiche che ogni tanto navigate nel mio personalissimo piccolo blog!  

martedì 25 febbraio 2014

Alla “Buca del Tommi”.


Son trascorsi dieci anni da quando accompagnai, in due memorabili giornate, l’amico professor Didier, alla ricerca delle allumiere medievali tra Castelnuovo e Sasso Pisano. La fama della “allumiera del Sasso”, all’origine del “sacco di Volterra” nel 1472, e troppo nota perché mi ci dilunghi. Naturalmente oggi non ne resta quasi traccia, se non il nome ad un podere, nelle vicinanze dei resti del cosidetto “Bagnone”, le terme sacre degli etruschi, ancora in uso sotto i romani e travolte da un movimento franoso nel IV secolo, il cui scavo e riscoperta si devono alle indagini della dottoressa Anna Maria Esposito, funzionaria della Soprintendenza Archeologica di Firenze nell’anno 1985. La ricerca della allumiera di Castelnuovo si rivelò molto complessa e solo dopo pazienti ricerche “sul campo” riuscimmo a d identificarne il sito. Era una vera e propria miniera, non superficiale, attiva tra il XV ed il XVI secolo, travolta da una frana, forse per l’abbandono a causa dell’esaurirsi della vena, fu ricoperta dal terreno, oggi prato-seminativo, che tuttavia non ne nasconde del tutto le tracce, specialmente dopo l’aratura. In un tardo pomeriggio gli feci vedere anche due luoghi conosciuti da tutti i borghigiani, la “Buca della Concia” e la “Buca del Tommi”. La prima uno scavo artificiale, la seconda una cavità naturale. In entrambe erano evidenti le mineralizzazioni di zolfo e di allume. Ricordo che il professore vedeva per la prima volta, e con entusiasmo, le pareti e la volta brillare alla luce delle torce elettriche. Fu contento di raccogliere alcuni bei campioni. Oggi sono ritornato alla “Buca del Tommi”, c’è ancora, ma di non facile individuazione e soprattutto di pericoloso accesso. Non sono più, infatti, il ragazzo di 10 o 12 anni che giocava a fare l’esploratore, agile, ardimentoso, diciamo che “si pericolava” riuscendo sempre a non farsi male, entrando carponi nella grotta per asportare “la mica” e qualche frammento di zolfo…M’ha sempre affascinato il fosso sottostante, il “Riputido”, nel quale oltre ai liquami dei borghigiani si sversavano i reflui della centrale geotermoelettrica,  e da sempre le acque dei “lagoni”, correndo verso il torrente Pavone e…non arrivandoci mai! Seppi più tardi che questo fosso scorreva in un letto sempre più basso, dato che era costituito da un terreno molto antico, il “retico”, ossia le anidriti ed il calcare del Trias, che l’acqua riusciva a sciogliere ed orodere, fino a che esso non si trasformava in un vero e proprio “depuratore naturale” inghiottendola. Per questo  solo raramente arrivava al torrente, dove le acque si mantenevano pulite e ricche di pesci, bisce, rane e bottericchi. 









domenica 23 febbraio 2014

L’Italia è sempre stata questa?




L’Italia non è sempre stata questa, dico, forse per consolarmi. No, non è sempre stata questa, ossia, non l’ho vista mai con gli stessi occhi e con lo stesso amore. Adesso che a forza di guardare lontano la vecchiaia m’è piombata addosso, e m’accorgo di lei, indulgo al pessimismo. Eppure, nell’età prima che aveo molti désiri, giocavo tra le macerie fumanti delle case del Borgo bombardate dagli americani, mentre sotto la palma di destra entrando nel Piazzone c’erano ancora una decina di soldati tedeschi uccisi, in attesa di essere seppelliti nel camposanto sotto una croce di legno senza nome, con l’elmetto infilato sulla sommità, e poco più in là, non cessava il via vai di donne, vecchi e bambini, al “vallino della morte” dove erano stati trucidati 77 minatori…e noi, monelli, giocavamo alla guerra, con pietre, archi, archetti ed anche con una vera spada d’acciaio, mentre i più grandi maneggiavano polvere da sparo, micce e dinamite! Il Borgo era grigio, buio nella notte, finestre senza imposte, case senza WC, ma con una buca puzzolente, e tanta fatica a portar legna, carbone, fascine…e d’inverno i vestiti non ci riparavano mai dal freddo, avevamo le vacche nelle cosce per covare i caldani ed il braciere, ed tante volte la nonna mi mandava a letto presto con lo scaldaletto, a rischio di morire per il gas e bruciare le lenzuola. D’altra parte non ricordo pigiami o camicie da notte, noi s’andava a letto tutti vestiti, naturalmente senza le scarpe! Non abbiamo patito la fame e, come diceva mio padre, l’importante era non far debiti e alla fine del mese andare da Liberino a pagare il libretto della spesa. Con una paghina della Larderello e tremila lire di pensione della nonna, deve essere stata molto dura la vita. Per questo la nonna, Enèlida, ultrasessantenne, andava ad opre dai mezzadri e dai contadini. Una tragedia se per me non ci fosse stata la giovinezza! Comunque, poiché innamorarsi non costava niente, ossia, qualche volta, la domenica, un gelato da dieci lire e raramente un ascaro da trenta lire o un bicchiere di spuma S. Francesco d’estate alla pista, ed anche il profumo del glicine era gratis e quasi tutti i frutti in un raggio di quattro o cinque chilometri dal Borgo (a parte un paio di sandali vecchi, tanto mi costò far ragia al Tommi), ed anche  i due o tre baci che ricordo, la vita e tutto ciò che offriva mi pareva meravigliosa. C’erano inoltre le prime letture ideologiche, dato che in casa mia gli attivisti comunisti, il Cinci, il Costagli, Fabbrino, ci portavano, la domenica, l’Unità ed una volta al mese il Calendario del Popolo, con i quali guardavamo al luminoso avvenire di una società socialista, sul modello dell’Unione Sovietica, “il paradiso di Lenin e di Stalin”. Intanto studiavamo con ardore e benché giovani ci industriavamo a cercare lavoretti, fare i garzoni nelle poche e modeste attività commerciali paesane, o tagliar fascine e pedagna per il forno della cooperativa; poi far funghi, battere la coccola, raccogliere le castagne, pescare nel torrente…in attesa di diventar grandi, forti, ed entrare nel mondo del lavoro, che accoglieva tutti. Le cose iniziarono ad andar meglio (o peggiorare, per certi versi) con il cosiddetto miracolo economico degli anni ’60. Racconterò soltanto un episodio personale, su questo miracolo: dopo quattro anni di scuola-lavoro, nel febbraio 1956 fui assunto in economia, attraverso una Cooperativa, dalla Larderello SpA e immesso fin dal primo giorno in un ufficio (geologico) con la qualifica di manovale ed un salario di circa trentamila lire al mese. Dopo tre anni e mezzo, il 15 settembre 1959, la Larderello SpA mi assunse in pianta organica, sempre nello stesso Ufficio, con la stessa qualifica di manovale ed un salario di circa quarantasettemilalire. La Larderello SpA fu nazionalizzata ed entrò ufficialmente nell’ENEL il 1 giugno 1963. Mi ritrovai “promosso” impiegato, con la categoria più bassa esistente, C1 o CS, e la paga era decisamente aumentata credo intorno alle sessanta o settantamila lire. Quando nel 1991 sono andato in pensione, dopo 35 anni 6 mesi e 1 giorno di lavoro ininterrotto, e con la categoria A, notammo che fin dal primo giorno di lavoro mi erano state messe tutte le marchette sull’apposito libretto, ma che, purtroppo, nel conteggiare gli anni della “liquidazione”, mi erano stati tolti  più di 8 anni, dato che negli iniziali passaggi venivo liquidato. E così con 40.000 lire avevo perduto circa 20 milioni finali. Era il prezzo che dovevamo pagare al miracolo economico, anche se su di esso molti vantaggi e molti sprechi si erano via via stratificati, almeno per i settori più “forti” dell’industria. Abbiamo sempre lottato per migliorare il sistema sociale e politico dell’Italia, ottenendo molti successi, con la partecipazione di grandi masse di popolo e di lavoratori e lavoratrici, rigettando la teoria del terrorismo e della violenza e confinando in esigue minoranze le tendenze estremistiche, malattia mondiale del comunismo, da sempre presenti nella sinistra. Fieri di essere italiani. E ottimisti. Forse è per tali motivi che non sono diventato qualunquista, come la maggior parte dei vecchi, e riesco ancora ad apprezzare la vita e i regali che essa ci dona ogni giorno, nel ciclo della natura e degli affetti, e dei ricordi e delle speranze. Sono iscritto al PD, all’ANPI, ad una Associazione Culturale del mio paesello, IL Chiassino,  ho la tessera Coop, quella dell’AIRC, e di altre associazioni umanitarie…Sono rimasto molto male al gesto di Letta nel riconsegnare il campanello a Renzi, nel momento della fine del suo mandato, addirittura di Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana! Un po’ di amarezza, per il modo di tale trapasso di poteri la posso comprendere, ma non quella di affilar lame e cercar gente per “fondare” un nuovo partitino! Non era meglio, come esempio, che si rimboccasse le maniche e ritornasse tra il suo popolo ad operare per il bene comune?  

sabato 22 febbraio 2014

Ancora movimenti franosi sulla variante a Monte di Castelnuovo V.C. e sulla SR. 439 località Piana:










Frane…frane!

La chiusura totale agli automezzi della variante a monte del paese invoglia ancor di più le persone a utilizzare la bellissima strada panoramica per footing e passeggiate. Ed anche per incontri e discussioni. Ieri sera ci siamo scambiati  i punti di vista, sulle frane, con un amico intelligente, un ingegnere, il quale, a differenza di me, conserva abbastanza fiducia sulla soluzione dei problemi franosi che si stanno manifestando per quasi tutto il tratto dei 2,2 Km. complessivi del tracciato. Il mio scetticismo deriva da tre cose: non aver fiducia nei politici, aver vissuto 76 anni in questo luogo e conoscere bene il territorio, avere nozioni di geologia del medesimo avendo lavorato all’Ufficio Geologico della Larderello SpA, poi Enel e, praticamente, per quasi trentacinque anni al Servizio Minerario. La morfologia del Monte di Castelnuovo è mutata nei secoli, con l’espandersi del centro abitato e della popolazione e con la necessità della medesima di procacciarsi cereali, fieno, legna e mandare al pascolo il bestiame sulle pendici esterne al perimetro del Borgo, sempre di più, in alto e in basso, fino a lambire il “piede” stesso del macigno sul quale in centro abitato è costruito ed anche a lambire verso l’alto il monte che lo sovrasta. Per quest’opera di espansione coltiva è stato abbattuto il grande bosco di castagni domestici e selvatici che si estendeva dal torrente Pavone alla vetta del Monte (tra le curve di livello di 360 ed 850 metri slm). Tutti sappiamo che l’espansione urbanistica antica del Borgo si era arrestata almeno 7 secoli fa, salvo riprendere nel 700 lungo la via Leopoldina, incontrando ad Est, Sud e Nord le barriere naturali di due profondi fossati e una ripida sbalza (le Rocche), nonché l’uscita dalla solida roccia arenaria per avventurarsi su un terreno mosso e più instabile costituito da flysch argilloso e detriti del macigno. Verso Ovest si ergeva il Monte, alto 850 metri, e lungo la sua dorsale di levante il terreno era costituito da detrito e flysch  che ricoprivano lo zoccolo del basamento autoctono del macigno (nella parte più alta) e, scendendo verso la valle, in particolare lungo la faglia tettonica dove erano localizzate le manifestazioni geotermiche, lasciando affiorare i terreni della serie toscana, molto laminati, del cretaceo e del retico, ossia scisti, anidriti e calcari. Tuttavia gli antichi agricoltori ed anche i terrazzani e ortolani, che possedevano minuscoli appezzamenti di terra dati a livello dalla Comunità, avevano una grande cura del terreno, fonte delle poche risorse alimentari della famiglia. Drenavano bene le acque convogliandole, con i solchi, ai fossati laterali, costruivano muri a secco e piantavano frutti…andando verso l’alto avevano lasciato addirittura una notevole striscia di terreno incolto, tra due aree disboscate, nella quale crescevano robuste specie arboree e sgorgavano sorgenti, la “Serretta”, una cintura di sicurezza che arrestava lo scorrimento delle acque e garantiva per la solidità del terreno sottostante. Proprio al di sotto della “Serretta”, in direzione della prima grossa frana sulla variante della 439, c’era inoltre una attiva “putizza”, dalla quale si sprigionava il classico odor di zolfo, mentre fuoriusciva l’acqua giallastra, rossastra e biancastra delle mineralizzazioni di zolfo, ferro, manganese e alluminio. Era evidente, in quel punto e poi scendendo giù giù per il Riputido un’area di contatto tra terreni alloctoni ed autoctoni ben evidenziata da una faglia. Verrebbe quindi da temere che le frane localizzate lungo la variante, non siano fenomeni circoscritti, ma rappresentino un movimento molto più ampio e profondo di “scivolamento” dei terreni di copertura su quelli del basamento autoctono,  attivati dal taglio della sede stradale e dalla sottovalutazione dello stesso in fase progettuale. Questa lunga e dilettantesca descrizione, e tema della chiacchierata di ieri sera, non vuol dire che la variante stradale non dovesse essere costruita, ma solo che doveva essere costruita BENE valutando accuratamente l’impatto geologico e il peso complessivo dell’opera e dell’uso che se ne sarebbe dovuto fare, cioè il transito dei mezzi pesanti e non un ampio viale da passeggio. Anche se nessuna persona fisica, tra quelle che in questi decenni si sono interessate del progetto e dei controlli, non ha tirato fuori di tasca nemmeno una lira o un euro, si deve ricordare che i 10 o più milioni di euro finora spesi, SONO SOLDI PRELEVATI DALLE TASCHE DEI CITTADINI ITALIANI. Adesso ascoltiamo e leggiamo dichiarazioni ottimistiche sul futuro dei lavori, sulla disponibilità delle risorse ecc. ecc. ma non dobbiamo dimenticare che i recenti violenti eventi atmosferici hanno messo in evidenza non solo la franosità delle opere viarie della “variante a Monte”, ma di tutto il Centro abitato di Castelnuovo di Val di Cecina e della viabilità regionale in direzione di Massa Marittima e Siena, ma addirittura delle vie comunali di accesso al Borgo, sia da Porta Fiorentina che da Porta Romana ed anche più in alto fino a lambire le abitazioni e la Canonica. Rispetto a questa situazione, veramente drammatica, oscurata dai media che si sono concentrati sui 30 metri di frana di un tratto delle mura medievali di Volterra, pare che non si faccia praticamente niente, se non iniziative parziali, dovute principalmente alle autorità Comunali.


Ecco le foto di ieri:

venerdì 21 febbraio 2014

Segue itinerario, terza ed ultima parte:


Nascoste dalla boscaglia le mura dell'eremo di S. Bernardino.


Le "fonti di San Bernardino"


Lorenzo Badii con la moglie Maria, lapide nel piccolo cimitero di Montecastelli Pisano.
Lorenzo Badii fu fucilato per errore dai partigiani della XXIII Brigata Garibaldi il 4 giugno 1944.
La sua vicenda è raccontata nel volume "La piccola banda di Ariano", pp. 38, 63-67.



Bucci Alfiero e Donati Fidalmino sono due dei quattro giovani di Montecastelli Pisano fucilati proditoriamente per futili motivi dai partigiani della XXIII Brigata Garibaldi l'11 maggio 1944 sui monti della Carlina ( gli altri due sono: Valentino Gonnelli e Cherubino Francioli). Vedi pp. 54-63 del volume "La piccola banda di Ariano".


Il mitico carbonaio Cesare Pacini, "Il Lupo" che raccontava, davanti ad un fiasco di vino, nelle veglie del garage di Artimino Martignoni a Montecastelli, storie meravigliose, di carbonai, lupi, amori in maremma e nel viterbese.


Oggi, primavera in mare...i mandorli sfidano la "coda" dell'inverno e ci offrono speranza per osare.
Segue itinerario, seconda parte:


 La chiesa della "Madonna alla Casa".


Ricordo dei miracoli e della fede popolare.


La imponente Rocca Sillana, a dominare le Colline Metallifere. Il 10 agosto, osservazione delle stelle con il GAV (Gruppo Astrofili Volterrani).


L'ingresso alla Rocca.


Particolare della muraglia.

Tu Fu, 712 – 770.

Anni di nostra vita senza più rivederci.
Divisi come Sheng e Shang.
Ma questa, oggi, qual sera!
Insieme, qui, ci rischiara ancora lo stesso lume.

Breve fu il tempo della giovinezza,
già alle nostre tempie sono grigi i capelli.
Gli amici? passati, la metà, da la vita:
l'angoscia mi stringe il petto, cocente.

Come saperlo? Tra venti anni
risalito sarei, gentile amico, alla tua casa.
Allora che divisi andammo non avevi una sposa,
oggi di figli mi sorprende la schiera,

che festosa saluta l'amico del padre,
mi chiede da dove vengo,
e domande continue e risposte non hanno fine,
mentre essi, giovanetti, fanciulle, portano vino denso.

Nella notte alla pioggia colgono i porri di primavera,
li presentano freschi col miglio giallo.
Tu dici: - E' rara cosa rivedersi! -
e levi in alto la tua coppa dieci volte di fila.

Pure, di dieci coppe, ebbri non siamo:
tu mi commuovi, il tuo lungo ricordo.
Domani, tra monti e colli,
quel che viene del tempo si perde in lontananza.

Forse è perché ieri sera mi sono addormentato dopo aver letto questa poesia, che amo, che ho fatto sogni confusi e meravigliosi e mi sono svegliato con il desiderio di ritornare sui luoghi di giovinezze lontane, per incontrare di nuovo i mandorli fioriti, la tomba etrusca, i cieli, le antiche muraglie, la Pieve, la chiesa, il cimitero di campagna, le croci e le acque impetuose dell’incombente primavera. Ora son qui, a fissare le emozioni che già svaniscono ed a scegliere qualche fotogramma per gli amici, ripercorrendo la breve gita (165 minuti; 20+20 chilometri con l’auto, più alcuni chilometri a piedi).
                

Partenza da Via Renato Fucini, immagine del Borgo di Castelnuovo di Val di Cecina; al bivio del Ricavolo immagine del cippo che ricorda l’uccisione del partigiano Guido Nenciolini; immagine della chiesetta di S. Antonio da Padova alla borgata La Paganina; sosta alla tomba etrusca di epoca villanoviana (VII sec. a. C.) ed antichi fregi sul pilastro centrale; sosta ai ruderi della antica Pieve di S. Giovanni Battista a Sillano, in stile normanno-pisano, già eretta nel 945; sosta alla Madonna della Casa, chiesa costruita sul luogo di un “miracolo”; sosta nei pressi della Rocca Sillana e, lasciata l’auto, ascesa alla Rocca per la durata di circa un’ora; panorami bellissimi. Inizia il viaggio di ritorno, con sosta al Ponte sul torrente Pavone e ai ruderi dell’antico eremo di San Bernardino Albizzeschi (vissuto a Siena e nato a Massa Marittima), ed alle “sorgenti di San Bernardino” (siamo nei luoghi del Santo testimoniato dai toponimo ancora in uso: Molino di S. Bernardino, Pozzo di S. Bernardino, Eremo di S. Bernardino e sorgenti di S. Bernardino); si risale a Montecastelli Pisano con visita al camposanto per salutare i tanti amici che sono lì sepolti, e dei quali serbo un ancor viva memoria. Chiudo con l’immagine di un  mandorlo in fiore, luminoso augurio della primavera, non solo per me, ma anche per chi mi vuol bene.  

Prima parte. (seguiranno altre 6 + 5 immagini in due successivi post)

 Il Borgo di Castelnuovo di Val di Cecina, vista da Nord.
 Qui, nel giugno 1944 fu ucciso il partigiano della XXIII Brigata Garibaldi, Guido Nenciolini.
 Ingresso della tomba etrusca a camera del VII sec. a.C. Iscrizioni paleo cristiane sul pilastro centrale.
 La facciata in stile normanno-pisano della pieve matrice di San Giovanni a Sillano.
 Il portale centrale.

Scultura antropomorfa su un capitello cieco.
Particolare di un capitello portante.

giovedì 20 febbraio 2014



Nebbia.


In De Senectute, Bobbio incita i vecchi a tentare di scendere nella più profonda memoria, e anch’io, man mano che la perdo, tento l’esperimento. Si tratta di calarsi in un “regno” di nebbia quasi impenetrabile, molto diverso da quello che tra settanta anni troveranno i miei nipotini, aiutati dalle immagini, voci, suoni, diari cartacei…perché nella mia primissima infanzia nulla c’era di tutto questo! Ho tentato di aiutarmi con le pagelle scolastiche e con il cambio delle “case”, con  due fotografie di gruppo scolastico in IV e V elementare, per  fissare l’immagine di ragazzi che ancora mi sono amici, ma per il resto credo di ricordare soltanto una immagine abbastanza nitida di mia nonna paterna, nell’atto di donarmi una o due arance, credo nell’inverno del 1946, quando avevo otto anni. Credo di aver “memoria di tutto”, perfino delle emozioni, a partire dall’età di undici anni, allorché andai ad abitare nella quarta casa, in via della Repubblica. Questo vuoto mi rattrista, anche se i ricordi non sarebbero stati di felicità, ma di dolore, per gli eventi tragici della mia famiglia, e, allo stesso tempo, mi fa bene, in quanto mi ringiovanisce dato che, come sappiamo, un uomo nasce soltanto quando ha la percezione di “esserci” e del mondo circostante. Solo allora si “viene al mondo”, come si dice. Infatti, fintanto permaniamo nel non essere, anche il mondo permane nel non essere, nello stato cioè che riacquisterà dopo la nostra scomparsa. Con questo salto temporale, tra la registrazione anagrafica (3 settembre 1938) e la percezione di essere al mondo e nel mondo (1946), ho guadagnato dunque ben otto anni di vita! Questi pensieri son frutto della nebbia che stamani avvolge il mio paesello, che in parte vi mostro; ma l’anima mia è lieta.

mercoledì 19 febbraio 2014










Libreria Antiquaria CAPPELLINI…con una sorpresa!

Ho ricevuto il Catalogo  N. 2 Febbraio-Marzo 2014 della Libreria Antiquaria Cappellini, Corso Tintori, 27r. 50122 Firenze,  pagine 48 con 858 libri segnalati e, come faccio sempre, l’ho letto da cima a fondo. Credevo si trattasse di un cambio di gestione con un’altra libreria antiquaria, ma invece ho notato una novità sostanziale di presentazione ed anche dei prezzi più contenuti. Vi ho trovato troppe cose che mi sarebbero interessate in un momento più “florido”, ma adesso si deve fare a “miccino” per gli effetti pesanti, sia dell’assottigliarsi dell’unica fonte di reddito familiare, la mia pensione, che della crisi più generale dell’Italia. Ma tuttavia lo metto sul blog per segnalarlo, data la cortesia nell’avermelo inviato. La sorpresa l’ho trovata  a pagina 44 con la segnalazione di un’opera in due volumi: (Fotografia Olimpiade Berlino 1936), in realtà si tratta sia dei Giochi Olimpici di Berlino, sia dei Giochi Olimpici Invernali di Garmisch-Partenkirchen. Si aggiunge in nota al prezzo di vendita (350 €). Celebre e ricercata opera. Ho capito subito che possedevo quest’opera, avendola acquistata nell’agosto 1988 ad un mercatino nella cittadina di Lensahn,  di ritorno dalla Scandinavia, per la non piccola cifra di 140 DM (al cambio con la lira poco meno di  centomila lire italiane). Ma, nonostante il prezzo ritenni trattarsi di un’opera unica, eccezionale nella sua completezza iconografica e stato di conservazione. Infatti i due volumi uscirono dopo l’effettuazione dei Giochi in una edizione senza le centinaia di immagini, che vennero emesse successivamente ed incollate negli appositi riquadri. Perciò non è facile trovare opere complete, visti gli anni di guerra che praticamente sarebbero iniziati poco dopo. Tra l’altro, rispetto a quanto descritto sul Catalogo Cappellini, i miei due volumi conservano ancora le sopracoperte originali illustrate!

Per i curiosi e gli appassionati di sport (tra l’altro queste Olimpiadi sono ormai celebri per le quattro medaglie d’oro conquistate dal nero americano Jesse Ovens, 100, 200 metri piani, staffetta 4x100 e salto in lungo, e il saluto che gli rivolse Adolf Hitler, presente alla gara di salto in lungo), metto alcune immagini.
Eccidio minatori di Niccioleta.

77 morti nel "vallino" di Castelnuovo di Val di Cecina, 14 giugno 1944, trucidati dai soldati del III Bataillonen Italien al comando di Emil Block, coadiuvato dai manovali assassini italiani della RSI.

Onore a chi nei primi dieci anni curò il luogo sacro, tra i quali mio padre con Mauro Tanzini, Astenio Di Sacco, Angiolino Rossi, Marconcini Niccolò.



Monterotondo Marittimo (GR).

Onore ai nostri Partigiani.



Biblioteche. Letture. Libri.

Dopo 14 mesi di chiusura, ieri è riaperta la Biblioteca Comunale “Edmondo De Amicis” di Castelnuovo di Val di Cecina (Pisa). E’ una Biblioteca con radici lontane, probabilmente nell’anno 1897, ma già nel 1867 il Consiglio comunale, “stante le ristrettezze economiche”, rigetta una proposta per la costituzione di una Biblioteca Comunale  perché “l’istruzione nel nostro comune è appena incominciata e una biblioteca sarebbe inutile; considerando che in una popolazione agricola come è quella appunto del nostro comune nessunissimo frutto si ricaverebbe da una simile fondazione”. Dopo trent’anni dalla prima proposta, e con il nome prestigioso dello scrittore Edmondo De Amicis, nome conservato fino ad oggi, sulla spinta associativa dei socialisti, insieme alle Società Operaie, Filarmoniche, Circoli e Cooperative di consumo, inizia il suo cammino la Biblioteca, che fu molto valorizzata ed incrementata durante il periodo fascista, anche con libri di letteratura e saggistica di autori socialisti, anarchici  e comunisti, sia italiani che francesi, russi e tedeschi. Ancora oggi il fondo storico della Biblioteca comunale è costituito da due armadi con centinaia di volumi, quasi tutti editi dalla Utet nei primi decenni del secolo XX, con il meglio della cultura italiana ed europea. Dopo la seconda guerra mondiale, la Biblioteca, depredata di moltissimi libri, si ricostituì nel 1963 e fu riaperta il 1° febbraio 1964. Da allora, con spostamenti di sede e tentativi di  più moderne catalogazioni, la Biblioteca ha sempre funzionato, anche se il suo ruolo non solo è cambiato, ma si è marginalizzato di fronte alla continua espansione degli strumenti elettronici. Il futuro resta dunque incerto.

Personalmente, la forte passione per la carta stampata e la lettura, pur in una penuria di risorse economiche, hanno fatto sì  che piano piano potessi costituire una “biblioteca privata” con un capitale di alcune migliaia di volumi, della quale è in corso, e durerà diversi anni, la catalogazione, che adesso è arrivata a circa 2500 testi. Dunque non sono un “cliente” della Biblioteca comunale,  pescando sempre, nella scelta delle letture e riletture, tra i libri che possiedo. Non leggo più, come nella giovinezza, 100 libri all’anno, ma soltanto  una decina e, naturalmente, non seguendo assolutamente le novità e le classifiche dei “libri più letti” che appaiono sugli inserti settimanili dei principali giornali e riviste.  Ad esempio, dopo la grande fatica della lettura del romanzo Notre-Dame de Paris, di V. Hugo, una lettura molto interessante, ho letto l’”Album Proust” nella prima edizione de I Meridiani-Mondadori del 1987. Di Proust avevo letto – tra il 1971 ed il 1975 - “Alla ricerca del tempo perduto”, nell’edizione dei Millenni Einaudi del 1961. In questo momento sto’ leggendo “Via Nowolipie. A Varsavia prima del ghetto”. Di Jòsef Hen, edito da La Giuntina, Firenze, 1993, che mi riporta nella Polonia che ho conosciuto e dentro la vita delle comunità ebraiche spazzate via dalla follia da nazismo, la Shoah.

martedì 18 febbraio 2014




Elvira

Nella tua camera non entrava il sole
e disadorno il letto odorava di muffa e pianto.
Ubriaco tuo padre ti russava accanto,
sognando d’esser come una rondinella
che vola nell’azzurro cielo:
vola, vola, in braccio alla sua bella!
Ma per me tu eri un tesoro
con le tue storie di vita cittadina,
inverosimili, baci di carta, amori,
tradimenti, lacrime e sangue,
come nei romanzi di Carolina.
Sopra il tuo letto giacevano tra i lenzuoli
Tipo, Sogno, Bolero e gli incorrotti eroi
acquistavano presto la patina antica
di un film eterno senza vita e senza noia.
Tardivamente ti sei fatta sposa.


lunedì 17 febbraio 2014




Campo ai Bizzi, 16 febbraio 2014.

NOTE 

1 - Tutti i paragrafi di questo capitolo son tratti da Diario partigiano di M. Tanzini, mns., inedito, redatto nel periodo 1943-1944, andato successivamente perduto e riscritto, con alcuni allegati, nel 1960, Larderello.

2 – Il profilo biografico di Mario Chirici è collocato nel capitolo “I comandanti partigiani” del volume "La piccola banda di Ariano" ed. II. 2003.

3 – In seguito si saprà che l’animatore della sfortunata resistenza al podere Campo al Bizzi era stato il partigiano Remo Meoni. Remo Meoni e Otello Gattoli saranno decorati con medaglia d’argento al valor militare (alla memoria). Otello Gattoli darà il suo nome ad un distaccamento della XXIII bis Brigata Garibaldi, poi inglobato nella III Brigata Garibaldi. Il cavallo “Sauro” morì bruciato vivo nella stalla. Per testimoniare l’amore che i partigiani nutrivano verso i loro amici, “Sauro” e “Mondiale”, Nella Franceschi ha scritto (La Torre Massetana, a. XXXIX, n. 4, aprile 1995): “…dopo tanti decenni le madri si scambiano le loro lacrime nei cimiteri, i figli riposano in pace…ci sarà un Paradiso per Sauro e Mondiale e sulla lapide della memoria incideremo le parole di Kipling: Sei partito con gli altri, sei ritornato solo con te”. Luigi Tartagli, partigiano della banda “Camicia Rossa”, rievoca l’episodio nel libro di memorie Alla macchia!, op. cit., offrendoci una versione particolareggiata dell’eccidio di Campo al Bizzi: “...erano le 5 del mattino del 16 febbraio 1944 quando uno dei partigiani dette l’allarme, rendendosi conto che da ogni parte brulicavano militi repubblichini. Era un numeroso gruppo proveniente da quasi tutta la Toscana: Siena, Livorno, Grosseto, Pisa e Massa Marittima. Occuparono la frazione del Frassine, bloccarono ogni strada, circondarono i poderi Le Stallette, Fonte Larda, Poggio Rocchino, Campo al Bizzi. In due di questi poderi, quella notte, avevano dormito una ventina di partigiani. La loro formazione era dislocata a circa 4 chilometri all’interno del bosco. Erano gli addetti a costruire nuovi capanni…, ci fu un informatore che poi confessò il proprio misfatto… il gruppo che si trovava nel cascinale Campo al Bizzi fu subito attaccato dal fuoco nemico, i partigiani risposero finché non finirono le munizioni, i fascisti appiccarono il fuoco alla casa e i partigiani si arresero uscendo con le mani alzate… solo Canzio Leoncini, malgrado una ferita, riuscì a gettarsi da una finestra e fuggire… sull’aia del podere furono assassinati, dopo essere stati ripetutamente seviziati e deturpati onde impedirne il riconoscimento: Silvano Benedici di Volterra di anni 23; Pio Fidanzi, di Prata (Massa Marittima) di anni 19; Otello Gattoli di Massa Marittima di anni 35; Salvatore Mancuso di Catania di anni 23; Remo Meoni, abitante all’Accesa di Massa Marittima, ma nato a Montale (PT), di anni 27. Nell’altro podere, Poggio Rocchino, furono arrestati i mezzadri: Angelo Galgani e Armido Mancini e arrestati i partigiani: Guido Mario Giovannetti, Fosco Montemaggi e Mario Guarguaglini (rimasti feriti), Aldo Campana, Libero Corrivi, Primo Lorenzi, Giuseppe Fidanzi, Dino Gentili, Fortunato Granelli, Eros Granchi, Nimo Gualerci, Fulvio Guarguaglini, Fosco Sorresina, Eligio Martellacci, Gino Superchi di Boccheggiano, Eros Gronchi di Riparbella, Gino Gualerci di Livorno e infine due giovani dei quali nella zona si ricorda solo il nome di battaglia “Compagna” di Firenze e “Balilla” di Riparbella. I feriti ricevettero le prime cure da un medico e da un prete antifascisti proprio nella casa di Ugolini, tra Prata e Niccioleta.Tutti i prigionieri vennero legati e trasportati al Frassine, di li a Massa Marittima dove furono fatti sfilare nelle strade e sottoposti a sputi, insulti e cazzotti da parte della folla fascista appositamente radunata… la visione di quella scena tragica provocò una reazione tra la massa dei cittadini. Alcune decine di donne richiesero il rilascio dei prigionieri. Furono condotti alle carceri di Grosseto e dopo alcuni giorni cinque di loro furono portati alle  "Murate" di Firenze” e denunciati al tribunale militare”.


4 - Una dettagliata ricostruzione storica, con lo schema cartografico del rastrellamento fascista al Frassine del 16 febbraio 1944, e la biografia del comandante Mario Chirici, si trovano in P.N. Martelli, La Resistenza nell'alta Maremma, Drammi, contrasti, passioni politiche e generosità, presentazione di Mario Tobino, Giardini, Pisa, 1978, pp. 21-27. Tutti i prigionieri del rastrellamento del 16 febbraio 1944 al podere Campo al Bizzi furono portati al Frassine e disposti con le spalle al muro di una casa nelle vicinanze del santuario della Madonna. Giovannetti, attendendo la fucilazione, disse all'orecchio di un'altro partigiano (Sorresina): "Prima di morire gridiamo Viva Stalin! Viva l'Italia Libera! passa parola". Ma fu soltanto un atto di terrorismo psicologico e i prigionieri furono portati a Massa e fatti sfilare in fila per due nel corso, laceri, sporchi e sanguinanti, tra due fitte ali di donne che urlavano e piangevano mentre i fascisti cantavano la truce canzone presaga di morte: Battaglioni del Duce battaglioni...condotti alla Casa del Fascio furono di nuovo picchiati e il repubblicano Ovi prese a calci il Giovannetti malgrado fosse ferito e sputasse sangue...Il giorno seguente i prigionieri furono trasferiti al carcere di Grosseto e dopo qualche giorno di permanenza, cinque di loro, tra i quali Fosco Sorresina, tradotti al carcere le “Murate” di Firenze. Alle “Murate” Fulvio Guarguaglini intonò la canzone Pino solitario, per esprimere la malinconia e l'angoscia dei prigionieri: erano venti partigiani a cui si aggiunsero altri tre catturati a Radicondoli e tra loro ricordiamo il castelnuovino Martellacci Eligio. Con la caotica situazione determinatasi intorno a Firenze nell'estate del 1944 furono tutti rimessi in libertà provvisoria il 23 luglio e molti entrarono immediatamente nelle formazioni dei GAP fiorentini riprendendo la lotta contro i tedeschi e i fascisti. V. Guidoni, in Cronache grossetane, cit., p. 87, così commenta il rastrellamento e l'uccisione dei cinque partigiani al Frassine: "...il 16 febbraio a Campo Alberi (Frassine) in comune di Massa Marittima la GNR con la polizia federale, sorprende una formazione di ribelli abbastanza consistente che subisce la perdita di cinque uomini. Feriti diversi ribelli e diversi son fatti prigionieri: qualche ferito leggero anche nella GNR e nella polizia federale. Nella stessa operazione, in località Poggio Rocchino (poco lontano dal Frassine) un reparto della GNR sorprende nel sonno una quarantina di renitenti alla leva disarmati. Catturati ed avviati al Tribunale di Firenze, verranno condannati a tre mesi di reclusione ed avviati ai reparti operanti...intanto il Pretore di Massa Marittima che intende indagare sui fatti del Frassine, è minacciato di arresto dal Capo della Provincia". Ercolani Alceo, capo della provincia di Grosseto; Barberini Ennio e Maestrini Angelo, comandante e vice-comandante della 98^ Legione GNR; Pucci Generoso, ufficiale e triumviro della federazione della GNR di Grosseto, risultarono aver organizzato in provincia di Grosseto, dopo l’8 settembre 1943, numerosi rastrellamenti di partigiani e di inadempienti alla chiamata alle armi, in occasione dei quali furono catturati e barbaramente trucidati decine di giovani, furono trattenuti ostaggi e messi in atto soprusi e violenze di ogni sorta in tutto il territorio della provincia con la complicità presunta di altri 55 camerati, tutti sottoposti a processo presso la Corte di Assise di Grosseto il 18.12.1946. Al Frassine c’erano sicuramente anche Scotti Liberale, vice questore di Grosseto, con De Anna Michele, Pucini Inigo, Ciabatti Vittorio, Gori Armando, Zullo Carmine, Santini Mario, tutti accusati della cattura e uccisione di 5 partigiani il 16.2.1944. Fu il secondo rastrellamento effettuato su larga scala in Maremma e come ebbe a scrivere il Presidente della Corte d’Assise di Grosseto “...nel periodo febbraio primi di aprile si verificano gli episodi più crudeli e sanguinosi e la Corte non può non mettere in relazione tale fatto con la più attiva campagna, che è di quell’epoca, per l’arruolamento dei richiamati e degli sbandati dell’esercito italiano e per la repressione dei partigiani che si andavano organizzando militarmente e che si facevano sempre più arditi e pericolosi per fascisti e tedeschi; e di tale campagna più attiva ne sono prova i numerosi documenti esistenti in atti e specie al volume sesto, nei quali il capo della provincia sollecita le autorità periferiche ad una più intensa e più energica azione…così gli episodi appariscono come esecuzione di un unico disegno per indurre il popolo della provincia di Grosseto ad uniformarsi ai voleri dei dirigenti di quel governo fascista repubblicano che i tedeschi avevano voluto per l’attuazione del loro piano politico militare. E tale convinzione viene rafforzata dalla considerazione che i tre episodi più gravi e sanguinosi, quelli del Frassine, di Monte Quoio-Scalvaia e di Monte Bottigli, che si verificano in breve lasso di tempo, hanno tutti un identico svolgimento. Tutti si svolgono in due tempi: nel primo si hanno le vere e proprie azioni di rastrellamento, condotto anche con azioni di fuoco che nel corso di quello di Frassine e di Monte Quoio-Scalvaia producono anche dei morti e feriti tra i partigiani e i renitenti, in un secondo momento, immediatamente successivo e senza processo, si procede alla fucilazione di quelli che erano caduti prigionieri nelle mani del governo fascista. Necessita notare che nell’azione di Frassine due colonne agivano contemporaneamente, una indipendente dall’altra contro due distinti capisaldi tenuti dai partigiani e posti a notevole distanza l’uno dall’altro: Campo al Bizzi e Poggio Rocchino. I reparti dell’uno e dell’altro si arresero e furono fatti prigionieri, ma metre quelli di Poggio Rocchino, sebbene maltrattati e minacciati, ebbero salva la vita, gli altri, subito dopo, vennero fucilati sul posto. Il reparto che attaccò a Poggio Rocchino era comandato dal tenente Ciabatti, l’altro era comandato dal capitano Nardulli. E’ indubbio che tutti quelli che parteciparono al rastrellamento devono rispondere del delitto di collaborazione secondo l’ipotesi preveduta dall’art. 51 del CPMG in quanto partecipanti ad un’azione che mirava ad indebolire l’azione bellica delle forze armate del governo legittimo italiano contro il tedesco invasore e, comunque, a nuocere alle operazioni delle forze armate italiane ed a favorire lo sforzo bellico del tedesco invasore. Nel caso del rastrellamento del Frassine, come per tutti gli altri nei quali si verificarono delle uccisioni tra i partigiani ed i renitenti od altri, la difesa si fa a sostenere la sussistenza di un solo reato: quello di collaborazionismo. La Corte non può accogliere tale tesi perché il fatto della uccisione non costituisce elemento costitutivo o aggravante del reato di collaborazionismo il quale è perfetto con il fatto del rastrellamento. Gli imputati nel compiere le uccisioni, che erano per se stessi delitti, venendo a violare nello stesso tempo la norma di cui all’art. 51 del CPMG e perciò, ai sensi dell’art. 81 C.P. nei suddetti casi vi è concorso formale di reato. Ma la Corte non può ritenere colpevoli di omicidio tutti quelli che parteciparono alla complessa azione del Frassine in quanto per poter affermare ciò necessiterebbe avere la prova che essi sapevano che quelli che sarebbero stati arrestati sarebbero stati passati per le armi. Necessiterebbe, cioè, la prova che essi fossero stati a conoscenza degli ordini impartiti dalle gerarchie fasciste per la fucilazione dei partigiani fatti prigionieri in alcune determinate condizioni. Ora se per i gregari del reparto Nardulli si può affermare la responsabilità in quanto misero in atto le istruzioni impartite dall’alto in ordine alla sorte dei prigionieri, lo stesso non può dirsi per il reparto del Ciabatti per il quale non vi sono prove sufficienti della sua partecipazione all’esecuzione. Il tenente Ciabatti, individuo crudo e freddo, incapace di commuoversi, al Frassine, a Monte Quoio-Scalvaia, a Monte Bottigli, a Monte Cucco…dove ci sono dei morti e dei feriti, lo troviamo sempre. Al Frassine comandava una delle due colonne, quella che investì il capisaldo dove non ci furono fucilazioni, e non risulta se e quale parte il Ciabatti ebbe nella decisione della fucilazione dei giovani fatti prigionieri all’altro caposaldo. Ammette il Ciabatti che alla invocazione di soccorso dell’altro reparto, terminate le operazioni a lui assegnate, si avviò in soccorso del Nardulli, ma data la forte distanza giunse quando il combattimento era finito e le fucilazioni erano state eseguite e la Corte, non avendo elementi per contestare le affermazioni del Ciabatti, deve assolverlo con la formula del dubbio dall’omicidio di quelli fucilati al Frassine… Lucio Raciti è la figura più abbietta del processo. E’ colui che per una manciata di soldi (poche migliaia di lire) non si è peritato di provocare l’uccisione di 11 giovani in combutta col capo della provincia e dell’ufficio politico della questura di Grosseto... E’ lo stesso maresciallo dei CC operante a Volterra, soprannominato “Capobianco” per il colore dei  capelli, tristemente noto perché disonorò l’Arma dei carabinieri?

 Nel processo di Grosseto (18.12.1946) vengono comminate le seguenti condanne:
a morte mediante fucilazione – Maestrini e De Anna; Pucini; Ciabatti; Gori. A 30 anni di reclusione- Ercolani, Scotti. A 6 anni di reclusione – Barberini. Vengono assolti: Pucci e Zullo mentre per Santini si ritiene di non dover procedere per estinzione del reato di collaborazionismo. La Corte Suprema di Cassazione con sentenza 23.3.1948 annulla le condanne con rinvio alla Corte d’Assise di Perugia. Il 20.10.1949 la Corte di Appello di Firenze converte e riduce la pena: Maestrini, De Anna, Pucini, Ciabatti, Gori: all’ergastolo Ercolani e Scotti: 20 anni di reclusione. Barberini: 1 anno di reclusione. La Corte Suprema di Cassazione Sez. 2 penale con ordinanza 5.5.1954 rinvia De Anna a nuovo giudizio alla Corte di Perugia…e poi, come sarà andata? Pighini Leonelida, nata nel 1928, racconta: “…abitavo a Monterotondo Marittimo e mio padre faceva di professione il vetturino,  nel 1944 non aveva muli in proprietà, lavorava per un certo Bernardini di Venturina a Frassine. Si abitava nella Fattoria dentro il Frassine. Erano quattro vetturini, il mio babbo, Adalindo Moretti, Morello Moretti e Agostino Moretti, cioè il suocero e i cognati del Bernardini. C’era tantissimo lavoro perché l’esercito richiedeva tanto carbone, anche per i treni. I carbonai cuocevano e i vetturini lo trasportavano. Un imposto era vicino alla Cava dell’allume, dove c’era un uomo, il segnasome, che annotava tutti i viaggi. Mario Chirici chiese a mio padre che era pratico dei luoghi di costruirgli alcuni capanni a Poggio Rocchino con l’aiuto di alcuni partigiani. Questi partigiani erano troppo imprudenti, e la sera quando dalla macchia scendevano al Frassine cantavano. Venivano a farsi accomodare le selle e i finimenti dei cavalli, credo che ne avessero due o tre. C’era anche un calzolaio, Mancuso, siciliano, e un barbiere che si chiamava Biagio. Mancuso stava a Campo al Bizzi con quella donna, c’era una vedova in quel podere con un figliolo piccolo di dieci o undici anni e un altro era in guerra, questa donna teneva Mancuso come un figliolo e lui l’aiutava a lavorare il podere, solo che la domenica scendeva giù a fare il calzolaio in uno stanzone messo a disposizione dal fattore. Così guadagnavano qualche soldo. Era uno sbandato dell’8 settembre. Il fattore gli disse a questa donna tenetelo nascosto, vi aiuta a lavorare. La mattina presto del 16 febbraio 1944, quando ci si alzò si notò un gran movimento di soldati repubblichini. Erano tante camice nere venute da tutta la Maremma, anche da Castelnuovo, da Larderello, da tutte le parti. Il mio babbo era sopra il podere chiamato “La Capannina” e andava a lavoro. Era a cavallo e aveva affunati i muli. Dietro aveva un canino nero che portava sempre con se. Ad un tratto sentì raffiche di mitra indirizzate contro di lui. Il Bernardini cominciò ad urlare a squarciagola cercando di fermare i fascisti “E’ un operaio mio! Và a caricare il carbone!” e andò incontro al mio babbo. I fascisti cessarono il fuoco e lui ritornò a casa. Allora si sentì sparare e crepitare la mitraglia, su in alto, verso Campo al Bizzi. Ci dissero di stare riparati nei fondi della fattoria, dietro spessi muri. Io avevo sedici anni, mio fratello diciotto e mia sorella aveva sei anni. Fecero una strage: Canzio Leoncini e Mancuso si gettarono da una finestra di cucina tentando la fuga. Leoncini, benché ferito, ci riuscì, Mancuso si ruppe una gamba e fu ucciso sull’aia e poi, non solo, dopo averli ammazzati gliele fecero nere. C’era uno, un certo M, che stava alla fattoria di Vecchienne, gli mise un pugnale in bocca e gli disse “Noi si mangia il pane te mangia questo!” gli squarciò dalla bocca tutta la faccia. Si può essere più cattivi? I partigiani erano andati a fare il pane e furono presi alla sprovvista, erano indisciplinati, ragazzi avventurosi. Poi a Poggio Rocchinoi ne arrestarono tanti. Li misero tutti in fila al muro della fattoria del Frassine, dietro al chiesa, tra loro c’era anche Primo Lorenzi, di Massa Marittima. Li picchiarono a sangue, gli sputavano in faccia e poi gli fecero fare da mangiare e li costrinsero a mangiare per forza dicendogli “Vedete come si trattano i prigionieri! Cercate di farlo anche voi se vi riuscirà a farci prigionieri!” questi delinquenti! Li fecero mangiare per forza, te lo immagini che voglia ne avevano con le botte che gli avevano dato! Prima li portarono a Massa Marittima e dopo a Grosseto e poi alle “Murate” a Firenze da dove riuscirono tutti a fuggire. Ne avevano buscate tante perché erano tutti conci, ridotti in uno stato pietoso. Alla cantoniera ci stava Celide, aveva un figliolo in guerra, al cimitero c’era un carraio il fattore gli dette delle tavole per fare le casse le portarono al cimitero del Frassine, venne il Prefetto, le bare allineate e c'erano i genitori di quelli di Massa che piangevano. Questa Celide riconobbe un cugino che era tra i fascisti ed era venuto ad ammazzarli! Era lì e faceva finta di piangere insieme agli zii. Questa donna cominciò ad urlare “Assassino! Assassino!” Fu fatto allontanare dai militi repubblichini. Dopo perseguitarono anche il mio babbo accusato di essere collaboratore dei partigiani. In realtà lo era perché andava coi muli a macinargli il grano perfino al Mulino di Adarbia e noi dietro a spazzare le orme dalla polvere; gli ha fatto i capanni e riparato i finimenti…rischiava sempre. Ai ragazzi diceva di non cantare, di non tenere i lumi accesi…Dopo questo fatto mio padre chiese al Bernardini di essere mandato all’imposto del Rio Secco, c’era una casina con una camera, la cucina e una stalla grande. Cominciarono a passare i soldati tedeschi e si corsero moltissimi pericoli. Catturarono mio padre e lo fecero salire su un camion, lo picchiarono, lo sfilarono e per il resto della vita fu costretto a portare un busto, e per fortuna lo fece liberare il fattore di Vecchienne, Ristori, che lo riconobbe. Lo riportò lui col “mezzolegno” al Rio Secco. Al Frassine ti può dire qualcosa un certo Fidanzi. Della battaglia di Monterotondo non so’ niente perché quel giorno mi fermarono al Ponte della Lumiera mentre in bicicletta venivo in paese a fare le spese. Al cimitero del Frassine non c’è rimasto niente, nemmeno una lapide. In fin dei conti la cerimonia si svolse qui. Vedi il filmato di Faccini, Canto per il sangue dimenticato, parlano due sorelle di un fucilato… si vede Campo al Bizzi, la finestra, dove è caduto Mancuso e ce l’hanno ammazzato…lo vidi con grande emozione. Mio padre era repubblicano, come mio nonno, poi quando ci fu La Malfa col centrosinistra, si allontanò: “Partiti punti, il voto lo do’ al Partito Comunista!” Ma nel cuore era rimasta l’antica e fiera fede repubblicana”.

5 - Una versione analoga sulla sorte del cane "Mondiale" è stata fornita da Mauro Tanzini a Fosco Sorresina e pubblicata in, Camicie rosse dal Frassine alle Murate, ANPI, Grosseto, 1991. Vedi inoltre F. Sorresina, Memorie, Tip. Grossetana, Grosseto, 1996, pp. 63-66, nelle quali è riportato l’epitaffio a “Sauro” e “Mondiale”:

Oh….Intelligenti e fedeli amici,
fra monti nevosi e verdi vallate
ci seguiste fino alla morte!
Questa memoria,
dedicata ai vostri bellissimi nomi,
annoverati fra i caduti per la libertà,
sia segno di dovuta reverenza.